Il post 21D per la Spagna e per la Catalogna: un futuro prossimo lastricato di incognite
Ancora procedure e arresti per tanti catalani coinvolti nella giornata di lotta dell’ 1-O. La mattina del 27 Dicembre è toccato a due consiglieri della CUP di Reus, che non avevano riconosciuto l’autorità giudiziaria spagnola relativamente ai processi per l’1-0 i cui loro casi peraltro erano fondati su illazioni a dir poco gonfiate.
Ma sono centinaia i casi di ritorsione giudiziaria che si avvicendano giorno dopo giorno in territorio catalano e non solo a seguito dell’escalation dello scontro tra “marea indipendentista” e Stato centrale.
Come e più di prima dell’avviluppamento di questa fase in Catalogna, che ha smorzato il facile entusiamo catalanista del post -1 Ottobre, emerge il bavaglio a molti livelli di espressione di insofferenza riguardo allo stato monarchico e a un governo Rajoy,che si muove con la voglia di stabilire un ordine di natura quasi inquisitoria in Spagna.
Ciò a partire proprio dalla Regione con le maggiori asperità e complicazioni a riguardo, la Catalogna, dopo essere intervenuta sottraendo potere decisionale alla Giunta di Madrid e nelle ultime giornate aver proseguito nell’avallare passaggi del tribunale costituzionale che prevedono restrizioni in campo finanziario per la comunità Valenciana; passaggi che imporrebbero tagli alla spesa pubblica a cui la Generalitat di Valencia si sta opponendo.
La politica a dir poco aggressiva del Partido Popular è controbilanciata al richiamo costante verso il paese borbonico da parte dell’alta finanza europea, che vede di malocchio non solo le ripercussioni della “questione catalana”, ma la turbolenza dettata dall’ipotesi di un abbassamento delle stime da parte delle principali agenzie di rating internazionali. A corollario, la sequela di problematiche interne legate allo scandalo corruzione, che sta venendo in parte infangato non tanto dalla centralità dello scontro Stato Centrale-autonomia catalana, bensì dal latere di una critica ad ampio raggio all’ interno della società spagnola.
Non è un caso se la politica della sinistra salottiera imputa la mancanza di una qualsivoglia ondata di indignazione riguardo alle magagne del PP all’ onnipresenza mediatica del procés, quando in realtà le piazze critiche al Governo Centrale, tolte quelle catalane, non si mobilitano da molto tempo.
Eppure di argomenti su cui costruire opposizione al momento non mancano: dall’aumento sconsiderato della spesa in operazioni militari all’interno della sfera della NATO (+80% rispetto al passato), alla stessa volontà di reiterazione arbitraria dell’articolo 155, allo sdoganamento delle squadracce neonazi nei luoghi politicamente sensibili del paese iberico.
Per non parlare dell’ inasprimento, utilizzando il vettore del conflitto catalano, della famosa Ley Mordaza, efferato dispositivo di controllo sociale a 360° per quanto riguarda la libertà di espressione del dissenso.
Se da un lato dunque il conflitto tra indipendentismo in salsa neoliberale ed Esecutivo madrileno ha acuito il nazionalismo, con benestare e beneficio nell’immediato per le destre spagnole, dall’altra l’ asse dei conflitti inter-istituzionali e sociali si sposta su più livelli macro-regionali e proiettati da una parte alle vertenze per il mantenimento e l’assunzione di maggiore decisionalità o meno delle Comunità autonome, dall’altra per creare un retroterra adatto alle prossime elezioni generali.
Questo lo sa bene il Partido Popular, che incassata la sua batosta (ma non quella dell’impianto statalista) in Catalogna, dove penderà dalla voce di Arrimadas di Ciudadanos, cerca di calibrare gli assetti delle partite politiche che verranno a suo favore.
All’interno dello scacchiere catalano di fatto perde la possibilità di avere una voce nel tavolo parlamentare, dopo aver intimato a Arrimadas di formare un governo che però in ogni sua ipotesi coalizionista risulta impossibile. Tavolo parlamentare Catalano che dovrebbe vedere due portavoce di Ciudadanos appunto, due del partito di Puigdemont, due del partito di Esquerra Republicana, il cui leader e candidato presidente è tuttora in prigione, e uno del Partito Socialista Catalano.
Tornando alla Catalogna, gli attacchi della Giustizia spagnola sono avvenuti su diversi livelli: caso eclatante è la denuncia per tredici professori di che avrebbero ragionato nelle loro classi sulla giornata referendaria dell’1-0.
In un contesto istituzionale di difficile governabilità, in cui agli inizi di Gennaio potrebbero tornare alla ribalta le gesta e le dichiarazioni di Puigdemont, che pare disposto a restare a Bruxelles, la partita di Rajoy è quella di estendere il più possibile i campi di applicazione del 155 come norrmalizzazione (e normativizzazione) della vita e della riproduzione sociale dei catalani ed estendere questo modello nelle altre “nazioni senza stato” iberiche modulando l’impatto repressivo a seconda dei contesti.
In questo senso la presunta costituzionalità nell’applicazione del 155 è bypassata dall’agire, senza alcun ostacolo parlamentare, dell’Esecutivo nell’imporre misure come quelle che stanno iniziando a impattare fiscalmente nelle aree metropolitane della regione, con i rincari riguardo le bollette energetiche.
È evidente ora che, aldilà dell’ empasse istituzionale dei partiti indipendentisti riguardo i propri orizzonti politici, e il chiarimento di questi alle “proprie genti” in stato confusionale, la partita catalana sul doppio binario dello statalismo repressivo vs autodeterminazione travalica la Generalitat barcellonese e si misura direttamente nei quartieri popolari della capitale dove ha fatto man bassa Ciudadanos ed é invece regredito il sostegno alla Cup, per esempio.
Ritornare, dopo l’illusione di una “disconnessione” facile che avrebbe migliorato trasversalmente condizioni di vita e affermato prepotentemente l’identità catalana, ma che si è scontrata con un muro frontale spagnolo e della finanza europea ampiamente sottovalutato, ad essere voce e ascolto delle istanze popolari, è una chiave per rimettere in gioco le energie sociali che si sono date nelle giornate di Ottobre come apice di una mobilitazione decennale.
Frattanto, nella giornata ieri si é susseguita la voce che a livello parlamentare catalano ERC potrebbe cedere un suo deputato alla CUP cosicché la piccola formazione anticapitalista possa costituire un gruppo parlamentare proprio dopo la clamorosa flessione elettorale dl 21. Ciò potrebbe venire negato dagli stessi regolamenti che sanciscono l’ordine parlamentare catalano.
La proposta rientra in un gioco di intenti che vede il partito di Puigdemont trainare la volontà di non ripetere dei passaggi di rottura come quelli che hanno portato alla DUI, a cui ERC si accoda, ma a cui la CUP ha risposto con una levata di scudi, in quanto tradirebbe il mandato popolare assunto prima dello tsunami del 155 con la dissoluzione del Parlamento catalano. Parlament che ad ora non riesce a trovare configurazione alcuna, dopo l’anomalia delle elezioni appena trascorse imposte dal blocco unionista con l’accettazione della controparte sovranista/catalanista… Se di fatto non ci fosse un accordo tra JxSi ed ERC su un nuovo presidente, non é esclusa l’ipotesi che dalla costituzione del nuovo Parlamento per il 17 Gennaio si passi a una fase di stallo che porterebbe alla riconvocazione di elezioni per Giugno. Sempre sotto la spada di Damocle del 155..
Gli scenari restano molto aperti.
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