Intervista all’occupazione di Starbucks all’Università Boğaziçi di Istanbul
dal nostro corrispondente a Istanbul Josef Yusuf un’inchiesta\intervista agli occupanti di Starbucks.
L’occupazione di Starbucks all’università pubblica Boğaziçi, che va avanti da oltre un mese, è nata per dare voce ad una battaglia per chiedere pasti economici e sani nel campus, oltre che la gratuità dei certificati e dei trasporti per gli studenti. Queste richieste sono state soddisfatte, e dall’occupazione sono nati nuovi bisogni e desideri?
Çiçek: In realtà le nostre richieste non sono state accolte, anche se secondo alcune voci le navette potrebbero diventare gratuite, ma non credo che sia grazie all’occupazione…
Esra: Al principio non potevamo immaginare che ci sarebbe servito uno spazio come questo, avevamo alcune richieste ed eravamo – siamo tuttora – contrari ai processi di gentrification nel campus, al costo elevato del cibo, al costo del servizio navetta e così via. Ma quando siamo arrivati qui ci siamo resi conto che ci serviva uno spazio in cui incontrarci, non solo per studenti e studentesse, ma anche per i lavoratori e le lavoratrici e per il personale accademico. Non avevamo alcun contatto con queste persone prima, neppure i nostri professori.
Çiğdem: Ho notato che esistono varie stratificazioni all’interno dell’università, e quest’occupazione ha un effetto su ciascuna di esse. I professori ad esempio si sono resi conto che non sono soliti discutere dei loro problemi in università, e ora hanno iniziato a farlo da sé e qua con noi. Gli studenti hanno capito che erano soliti frequentare solo una certa tipologia di persone prima dell’occupazione. Io sono venuta qua con i miei amici del gruppo di traduzione, che non sono mai stati politicizzati ma che condividono gli stessi problemi delle persone qui – perché vivono nel dormitorio sovraffollato, o perché chiedono cibo dignitoso ad un prezzo economico – e anche loro si sentono di voler contribuire al processo. Una volta arrivati qui hanno anche cominciato a riflettere sulla loro istruzione, e su come funzionano i dipartimenti. L’occupazione ha creato qualcosa in comune fra studenti e professori, e credo che sarà così anche per l’amministrazione. Ci eravamo dimenticati che l’università esiste per noi, che noi ne siamo i soggetti reali. La nostra occupazione ha stimolato una consapevolezza e nuove azioni in molte altre università, almeno sette di cui abbiamo avuto notizia, ed ora le persone parlano di una “primavera in mensa”…
Considerando che la produzione di sapere ha un ruolo centrale nel capitalismo cognitivo contemporaneo, cosa pensi della produzione di sapere all’interno dell’università in Turchia?
Çiğdem: Starbucks, Burger King, Dunkin’ Donuts e varie banche stanno invadendo i campus; questo è ciò che si vede ma è anche ciò che ci insidia, perché l’istruzione tende ad andare verso le necessità delle aziende private. I parchi della scienza come il Teknokent qui a Boğaziçi vogliono essere aggiornati sulla ricerca accademica che va avanti nei dipartimenti. Vogliono che produciamo saperi a beneficio delle aziende private.
Esra: Le aziende private fanno lavorare gli studenti come ricercatori per il loro profitto, e giustificano la mercificazione dell’istruzione con la scusa che altrimenti gli studenti non troverebbero un lavoro.
Çiçek: Una professoressa all’interno di un corso pubblico ha affermato che l’istruzione è così connessa alle aziende che esse non possono produrre “sapere neutrale né obiettivo”.
Esra: Non credo che possa esistere un sapere neutrale; le università non l’hanno mai prodotto e da questo punto di vista non credo ci sia differenza fra università pubbliche o private. Tutte le università pubbliche e private sono collegate al Consiglio Supremo dell’Istruzione (YÖK), dunque non possiamo parlare di alcuna università senza parlare del YÖK.
Çiçek: Un professore in un documentario che ho visto di recente raccontava che, appena un giorno dopo che il YÖK fu stabilito (dopo il colpo di stato del 1980), un militare venne a scuola per ordinare che cosa gli insegnanti dovessero insegnare e in che maniera…
Dunque non sembra esserci modo per voi di difendere l’università pubblica… Che cosa riporta la vostra esperienza rispetto alla produzione del sapere andando oltre il controllo dello stato o delle aziende all’interno di questo spazio occupato?
Esra: Non avevamo questo tipo di esperienza collettiva prima di venire qui. Un giorno qualcuno iniziò a leggere Spinoza al megafono laggiù, e quella è diventata l’”aula Spinoza” (sì, in questi giorni tutti leggono Spinoza). Ora, ciascuno ha qualcosa da insegnare, e tutti/e ascoltano e fanno domande. Questo è un processo che ci manca all’università, dove si possono solamente fare domande e forse fare un breve intervento. Non c’è alcuna relazione fra il docente che tiene la lezione alla lavagna e noi; in questa situazione gerarchica noi non siamo altro che oggetti. Qui, durante le nostre lezioni pubbliche e momenti informali di istruzione noi siamo tutti soggetti, ma questa vale anche anche per i professori. E’ un altro tipo di processo, completamente diverso dall’istruzione formale a cui siamo abituati. Alcuni dei professori vengono qui alle assemblee o per darci una mano. L’altro giorno un mio professore di sociologia mi ha detto che non sta soltanto supportandoci, ma che si sente anche un soggetto attivo nell’occupazione. Penso che i nostri problemi siano la stessa cosa. Puo’ essere che non dormano qui (cosa che posso capire) ma partecipano alle nostre riunioni, e quando vengono qui siamo in un modo o nell’altro tutti allo stesso livello. E ora conosciamo docenti di molti altri dipartimenti.
Çiçek: All’inizio, quando abbiamo deciso di occupare e ne abbiamo parlato con i professori, loro erano molto prudenti, ma quando sono cominciate le assemblee e le lezioni pubbliche – in maniera spontanea – si sono resi conto che parlavamo di problemi che condividono con noi; di questioni che ci accomunano.
Esra: Sì, come ad esempio lo sfruttamento che accade qui al campus. Sia che tu voglia entrare in un’azienda o entrare a lavorare all’università devi svolgere dei lavori da volontario o tirocinante, e fare un sacco di lavoro per accumulare esperienza. Io ho svolto un sacco di lavori volontari, che possono essere stati interessanti, ma come si suppone che io mi mantenga mentre lavoro e studio? Questa è una trappola, ed è ciò che si chiama precarietà. L’anno prossimo dovrò finire di ripagare il mio prestito universitario ma probabilmente non starò lavorando o non sarò pagato, dunque non so che succederà.
Çiğdem: I sussidi e i prestiti vengono tagliati se non si termina il corso universitario in tempo… Penso che dobbiamo affrontare collettivamente questo stato di precarietà. Abbiamo bisogno di creare insieme delle alternative, contro le costrizioni imposte sulle nostre vite; e non credo si tratti di trovare un lavoro regolare per ciascuno, ma piuttosto un reddito regolare.
Che futuro vedi per l’occupazione di Starbucks?
Esra: Forse lasceremo questo spazio, visto che troppe delle nostre energie sono convogliate nella gestione dello stesso. Se lasceremo lo spazio questo non significa che abbandoneremo la lotta; si tratta solo di un cambio di tattica, di trovare nuove forme di lotta.
Çiğdem: L’occupazione ha dimostrato che abbiamo bisogno di uno spazio in cui incontrarci. Ma questo spazio è troppo piccolo e non credo neppure che importi se dormiamo qui o no. Ogni studente e studentessa ha bisogno di un posto in cui stare, ma ora se vogliono avere un posto per incontrarsi devono affittarlo a pagamento – anche i gruppi ufficiali, come il gruppo di traduttori di cui faccio parte.
Çiçek: Abbiamo discusso in merito all’occupare altri spazi all’interno dell’università, cambiare il corso delle cose… Le nostre richieste vanno oltre i pasti economici: vogliamo far parte dei processi decisionali che riguardano tutto il campus.
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