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Kurdistan: il problema della legge (III)

Sul rapporto tra rivoluzione e diritto da Istanbul, Cizre e Diyarbakir

Leggi la prima parte

Leggi la seconda parte

Nulla è più noto ai canali d’informazione indipendenti dell’attuale virulenza della repressione turca contro il dissenso politico interno (di matrice sovversiva turca o curda), repressione che sconfina ampiamente nella guerra guerreggiata. Ciononostante, sebbene da circa due anni l’attenzione politica verso la Turchia sia aumentata, i processi repressivi non nascono oggi, come non nasce oggi l’autogoverno delle comunità curde (che pure nel 2015 ha fatto un salto di qualità) o la difficoltà a esprimere un’opposizione politica in tutta la Turchia.

Dalle proteste di Gezi alle stragi dei minatori, passando per le rivolte in favore di Kobane fino agli assalti contro polizia e magistratura, gli oppositori politici turchi sperimentano talvolta forme di repressione analoghe a quelle dei compagni curdi, che peraltro restano, nella maggior parte dei casi, un punto di riferimento per la sinistra radicale turca in genere. Abbiamo intervistato due avvocati che, in Turchia, si occupano di questioni di movimento.

Keren, giovane avvocatessa turca, ci parla del problema del rapporto tra avvocato e movimenti urbani e/o militanti; un problema che ci troviamo ad affrontare molto spesso anche qui in Italia, e che ci interessa molto da vicino.

Puoi dirci qualcosa sui processi contro gli avvocati in Turchia?

Durante gli anni Novanta gli avvocati venivano uccisi. Poi, vista anche la possibilità di entrare nell’Unione Europea, il governo e la polizia hanno cambiato di metodo. Gli avvocati potevano in qualche modo operare. Il 21 novembre 2011 il governo ha fatto un’operazione contro gli avvocati curdi arrestandone 45 con l’accusa di appartenere al Kck, una sorta di organizzazione legata al Pkk. Le sole prove erano le loro attività in quanto avvocati: erano gli avvocati di Ocalan, facevano conferenze pubbliche e parlavano con la stampa circa la sua situazione detentiva, visto che si trova isolato su un’isola e credo si tratti dell’isolamento più pericoloso in tutto il mondo. Cercavano solo di comunicare tutto questo al pubblico perché è una situazione detentiva che va contro i diritti umani, e la prima prova era questo.

Da quando il processo è cominciato, ossia quando abbiamo potuto vedere le prove (prima il processo era tenuto segreto) abbiamo realizzato che hanno fatto intercettazioni telefoniche, messo videocamere nelle case e ascoltato le conversazioni tra avvocati e clienti; tutto le prove di questo tipo erano illegali. Hanno preparato e continuato il processo sulla base di queste prove. Le altre prove erano delle testimonianze chiamate “testimonianze segrete”, nessuno sa chi le ha fatte, e i testimoni dicono “so che lui fa parte di questa organizzazione, che andato lì, ecc.”. C’è stato anche un giornalista accusato.

Il processo è continuato per anni, anche se nessuno è in prigione perché dopo il 2011 il governo e il movimento curdo hanno ricominciato il processo di pace durante il quale hanno rilasciato gli accusati e hanno anche chiuso la corte anti-terrorista. In verità dicono soltanto di averla chiusa, ma in realtà le hanno solo cambiato nome e tutto continua come prima, visto che il sistema è come prima. Visto che ormai questa corte è comunque ufficialmente chiusa in questo momento stiamo insistendo per ricominciare tutto da capo: se questa corte era illegale, se queste prove erano illegali non avrebbero dovuto servire come base per accusare chicchessia, dovrebbero chiudere il caso e ricominciare.

Il 18 gennaio 2012, invece, hanno fatto un’operazione contro il Chd, l’associazione degli avvocati progressisti. È un’organizzazione che ha trenta diverse sedi locali in tutta la Turchia, 800 membri solo a Istanbul, 3.000 in tutto il paese. Al suo interno ci sono persone molto diverse, avvocati di sinistra, vicini al movimento curdo o socialdemocratici, ma Abbiamo alcune visioni comuni: cerchiamo di difendere i diritti del popolo, può trattarsi di questioni ecologiche, diritti delle donne, dei curdi o di altri gruppi etnici ma anche la difesa di persone che si definiscono rivoluzionarie e che sono state uccise o torturate dalla polizia.

L’associazione è stato fondata negli anni Settanta, ma continua ancora. Hanno fatto un’operazione durante la quale, tra Ankara e Istanbul, hanno arrestato dodici persone anche se poi ne sono state tradotte in carcere solo nove. Questi nove avvocati sono rimasti 14 mesi in prigione prima di vedere un qualsiasi giudice. Le accuse erano molto simili a quelle contro gli avvocati curdi Dhkp-c [Organizzazione marxista-leninista dichiarata illegale dallo stato turco, NdR].

Facciamo un esempio. Quest’anno ho provato a difendere 300 persone che erano state arrestate e portate in una stazione di polizia, 290 di loro erano state accusate di essere membri del Dhkp-c e quindi questo significherebbe che potrei essere un membro del Dhkp-c. Hanno anche accusato le persone a causa di funerali, per esempio il fatto che si fossero recati ai funerali dei loro clienti uccisi dalla polizia, dicendo che si avevi partecipato a quel funerale facevi parte di una certa organizzazione, o li accusavano anche di aver partecipato a delle manifestazioni legali all’occasione del primo maggio o dell’otto marzo, per le donne; o, per esempio, organizziamo sempre proteste davanti ai tribunali o conferenze stampa…

Come associazione degli avvocati?

Sì, ma non solo, per esempio se io ho un caso importante, d’interesse pubblico, devo parlarne dopo il processo. Quindi facevamo quest’interventi [conferenze stampa, Ndr] e continuiamo a farli. Molte di queste conferenze sono state messe nei documenti dell’accusa come prove di essere membri dell’organizzazione Dhkp-c. Il processo non si è svolto a Istanbul ma in un’altra località, dove un anno dopo che ci sono stati gli arresti il governo ha costruito una prigione con una corte penale all’interno: questo è qualcosa di nuovo per la Turchia. In questo processo hanno partecipato più di mille avvocati in quanto avvocati della difesa; è stato qualcosa di storico per noi, ci sono stati anche 40 avvocati dall’estero che sono venuti per il processo, è stato qualcosa di molto grosso.

Un’altra differenza con l’altro processo [quello degli avvocati di Ocalan, NdR] è che gli accusati hanno optato per una “difesa politica”, non hanno risposto a nessuna domanda o hanno rifiutato di partecipare al processo. Per esempio, uno degli accusati che è ancora il presidente della nostra associazione ha fatto un’arringa che è durata un giorno e mezzo, è partito dalla storia di Antigone e l’ha messa in collegamento con i funerali, è stato un discorso perfetto per me, non sono rimasti nei limiti che il sistema ha tracciato, li hanno oltrepassati e hanno detto: “Ok, ci ha accusate di questo, ma allora non siamo colpevoli solo di questo, abbiamo partecipato anche a questo e quest’altro”. Hanno spiegato il loro diritto a fare queste cose partendo dalla filosofia, e altre esempi. Ê stato incredibile. Questo novembre c’è un’altra parte del processo che riguarda gli avvocati che non sono stati arrestati ma che restano accusati.

Su un piano politico, volevamo sapere come vedi il tuo ruolo di avvocato all’interno dei movimenti sociali e in generale dell’uso tattico del diritto e del fatto di muoversi su un terreno che non è il nostro, ossia quello delle leggi in uno stato capitalista.

Per me questo è un punto molto interessante. Intanto dovete sapere che il mio specifico campo è quello del Diritto del lavoro. In questi ultimi dieci anni ho osservato qui, e mi sembra che succeda la stessa cosa in Europa, che sfortunatamente gli avvocati prendono sempre più importanza nei movimenti sociali e politici. A me è una cosa che non piace e la trovo un po’ pericolosa per i movimenti. A volte ci si rinforza attraverso gli avvocati ma bisogna capire che ci sono dei limiti perché se sei un avvocato la legge traccia dei limiti per te. Io non sono semplicemente un avvocato che si occupa delle cause dei lavoratori, vado anche nelle lotte e partecipo a queste lotte con i lavoratori, etc. e cerco sempre di dir loro: “Questa roba è cosa vostra, non fidatevi della legge, la legge è una grossa bugia come anche le leggi sociali dello stato. Se lotterete, vincerete, se non lo fate la vostra causa [legale] continuerà per anni e si vedrà.

Cerco veramente di non partecipare ai processi decisionali delle persone in lotta perché se inizi a pensare al posto delle persone iniziano a guardarti… cioè, per esempio: un gruppo di lavoratori vuole occupare un posto, se chiedono l’opinione a un avvocato che cosa può dirgli? “Occupare è contro la legge”. Questo è un problema. Quindi io dico solo: “Ok, occupare è illegale dal punto di vista giuridico, ma ci sono tanti esempi in cui, se i lavoratori sono uniti, le leggi diventano spazzatura; quindi se volete potete, ma non aspettatevi una risposta da me”. Io cerco di fare così, anche se in generale in Turchia gli avvocati hanno una grande importanza. Per esempio, durante la protesta di Gezi eravamo ovunque, ma per esempio con la mia associazione diciamo sempre che non siamo solo avvocati, informiamo anche le persone dei loro diritti prima degli arresti.

Lo facciamo anche per i lavoratori, informarli dei loro diritti previsti dalla legislazione sul lavoro. Io, per esempio, in una stazione di polizia so cosa è grave o cosa no, se ti hanno preso per un manifesto so che cercheranno di farti confessare qualcosa e ti lasceranno andare, per anni abbiamo avuto questo genere di problemi all’università e non chiamavamo gli avvocati. Ora invece gli avvocati sono diventati più importanti, la gente tende e vederla in questo modo: “Qualcuno è stato portato in commissariato, un avvocato dovrebbe andarci”; ma per prima cosa dovrebbero fidarsi tra di loro, tra militanti, essere sicuri di sé stessi, ecc. Magari avrai migliori risposte da altri avvocati io come vedi non sono una persona molto indicata…

Come militante, secondo te qual è la buona attitudine da avere contro la repressione? Sostenere i prigionieri, continuare la lotta?

Due anni e mezzo fa eravamo in strada durante la protesta di Gezi, milioni di persone erano per strada, in tutta Istanbul e in tutta la Turchia. Credo che i numeri officiali fossero di 5 milioni di manifestanti quindi puoi immaginarti i numeri non ufficiali. È stato un grande momento, una cosa grossa per la Turchia. A livello repressivo la situazione era la stessa, certo in quel periodo la polizia non uccideva la gente per strada con le bombe ma c’era una forte repressione e hanno anche cominciato a vietare la vendita di alcool dopo le dieci, che è un fatto significativo qui. Il governo era nelle nostre case e quindi la gente ha reagito.

Questa protesta ci ha mostrato alcune cose, questa è la mia opinione almeno. Abbiamo visto che molte delle nostre organizzazioni, delle organizzazioni di sinistra non sono pronte per un grande movimento specialmente per un movimento in cui le persone chiedono il loro proprio diritto a esprimersi, di essere più indipendenti. Le organizzazioni di sinistra avevano i loro giri e non sono riuscite ad entrare in contatto con le persone. Questa è la prima cosa che ho sentito.

La seconda è forse più interessante ed è perché non abbiamo potuto continuare. Sicuramente c’è il fatto che la polizia ha iniziato ad attaccare e ci sono stati molti manifestanti che sono stati uccisi. C’è anche il fatto che le elezioni erano vicine. Un altro elemento è che i lavoratori non erano in strada, non avevano legami col movimento perché i sindacati in Turchia spesso sono gialli, anche quelli “di sinistra”, e quindi non hanno voluto fare questo passaggio di collegamento col movimento, e questo è stato un problema. E anche il movimento curdo era lì ma soprattutto nella prima settimana molti giovani curdi erano per strada a battersi senza che il movimento curdo organizzato, all’inizio, capisse la situazione.

Non so, magari è stata anche una cosa positiva, perché una maggiore implicazione del movimento curdo avrebbe potuto causare altri problemi. In ogni caso per me questi sono stati i problemi. Dopo Gezi, invece, ci siamo solo concentrati sulle elezioni e molti hanno pensato: “Siamo uniti e potremo vincere con le elezioni”; ma non è così che funziona, perché siamo molto lontani dai lavoratori, dalla gente povera, dagli abitanti delle altre città della Turchia. Gezi si è rivelato un movimento stabilito da studenti, alcuni tipi di lavoratori dei servizi, spesso con un alta educazione, e alcuni militanti politici. Questo è stato un altro problema.

Ora non mi aspetto nulla delle elezioni: non credo che cambieranno qualcosa, anche se sono importanti. So che l’Hdp riuscirà a passare la soglia di sbarramento per entrare in parlamento e penso che ciò sia importante per far vedere alla gente che i curdi ci sono e possono fare le proprie scelte. Penso sia molto arrogante dire: “I popoli hanno il diritto di scegliere il proprio destino, ma questo non è il modo giusto”; se hanno scelto questa strada è questa strada che dobbiamo sostenere.

Questo è importante, ma non credo che i problemi si risolveranno con le elezioni, ne abbiamo già avute e il risultato è stato lo stesso. Penso che i movimenti dovrebbero tornare in strada dopo le elezioni, abbiamo bisogno di essere per strada e batterci, credo che sia la nostra sola opzione per cambiare la situazione perché, se la situazione cambia senza questo tipo di azioni, la nuova situazione sarà tradita all’Unione Europea o dagli USA: diranno che abbiamo bisogno di stabilità e che il clima politico non è buono. Se vogliamo una vera soluzione essa si farà solo con la pressione della gente, ma non sembra qualcosa di vicino, abbiamo bisogno di più tempo.

 

Ibrahim, avvocato curdo, è difensore di Abdullah Ocalan e ha pagato questa difesa con diversi anni di carcere, come lui stesso racconta.

Dove e quando sei stato arrestato?

Il 22 novembre 2011 hanno detto che tutti gli avvocati di Ocalan erano terroristi. Hanno detto “voi vedete Ocalan e poi passate gli ordini al Pkk”. L’accusa principale è questa. Ma non è vero, siamo solo gli avvocati di Ocalan, d’altra parte ogni volta potevamo parlargli solo per un’ora e c’è sempre un ufficiale del governo che siede con noi e registra tutto ciò che ci diciamo. Quindi è semplicemente impossibile che Ocalan ci abbia dato degli ordini per il Pkk, è una bugia. Quando ci hanno arrestato abbiamo detto che non è vero.

Quanto sei stato in prigione?

Io e 9 colleghi siamo rimasti due anni e mezzo, altri colleghi un anno, un anno e mezzo o due. ora siamo tutti liberi ma la procedura continua

Quindi era una misura cautelare?

Sì, esatto.

Che tipo di detenzione era?

La prigione era di tipo F, un tipo di isolamento. Solo tre prigionieri insieme ed è vietato entrare in contatto con gli altri detenuti. Solo due volte al mese era possibile vedere altri sei prigionieri. Ci era consentito fare incontri aperti con la famiglia una volta al mese e altre tre volte al mese divisi dal vetro.

Vuoi aggiungere qualcosa rispetto alle tue condizioni di detenzione?

Il cibo era veramente spazzatura, pessimo. I secondini erano abbastanza tranquilli con noi perché sapevano che eravamo avvocati. Le regole di detenzione delle prigioni di tipo F però erano abbastanza brutte, per esempio quando ci portavano dalle celle all’ospedale o ai colloqui ci perquisivano all’andata e al ritorno. Ogni volta che uscivamo dalle celle c’erano perquisizioni. Anche dopo le telefonate ci perquisivano!

Quindi insomma è per umiliare la persona…

Sì, poi c’erano alcuni libri che non potevamo leggere. Per esempio i libri di Ocalan, quando invece siamo i suoi avvocati.

Secondo te perché questo attacco giudiziario è proprio arrivato in quel momento?

Prendi Gemat, il guru gullenista. Ora li chiamano Stato parallelo ma prima, nel 2011, erano alleati di Erdogan. Il governo ha molto favorito i funzionari gullenisti. A mio avviso il governo e Gemat hanno concordato questo attacco per mandare un messaggio al Pkk e Ocalan una cosa come “guarda possiamo anche arrestare i vostri avvocati”. Dopo qualche tempo Gemat e il governo hanno iniziato a scontrarsi. E dopo questa rottura ci hanno rilasciati e hanno iniziato una nuova politica, hanno ricominciato a parlare con Ocalan e poi c’è stato il cessate il fuoco.

In quale anno che c’è stato il cessate il fuoco e il vostro rilascio?

Il cessate il fuoco credo alla fine del 2013 e siamo stati rilasciati a inizio 2014. È stato un caso tutto politico. Il giudice che ci ha arrestati e giudicati, ora non è neanche più un giudice. Tutti i capi della polizia dell’epoca sono in prigione ora.

Sono in prigione per dei motivi legati al vostro processo?

No, per un altro processo, legato alla vicenda Ergenekon [Operazione giudiziaria su vasta scala, avviata nell’aprile 2011, contro una presunta organizzazione clandestina di stampo laico e ultranazionalista presente nelle istituzioni, in particolare nell’esercito, Ndr]. I soldati nazionalisti turchi sono stati arrestati prima di noi. Visto questo caso lo stato ha arrestato alcuni poliziotti, giudici e procuratore. Tuttavia, i processi contro il Kck [Unione delle Comunità del Kurdistan: il processo contro questa istituzione è la più grande manovra repressiva contro il movimento curdo in Turchia negli ultimi cinque anni, a sua volta avviata nel 2011, Ndr] continuano mentre quelli dei nazionalisti si sono fermati, perché il governo ha si è riappacificato con i soldati nazionalisti.

Ci hanno riferito che durante il tuo processo sei stato vittima di inquinamento di prove e procedure illegali da parte della polizia, del procuratore e dei poliziotti.

Sì, hanno creato proprie delle proprio false per il nostro processo. Ma visto che siamo curdi, il processo continua.

Abbiamo parlato con Pervin Buldan di come la repressione è cambiata tra gli anni Novanta e oggi. Lei sosteneva che durante gli anni 90 la repressione era totalmente extra-legale con esecuzioni parallela, ora invece i massacri sono officiali. Che ne pensi?

Sono d’accordo. Fino a quest’anno il governo ha detto: “Non siamo come i governi passati; negli anni Novanta i governi uccidevano e noi non lo facciamo”. Questo era vero, anche se c’erano migliaia di arresti contro i curdi. A partire da quest’anno hanno cominciato a uccidere i curdi come negli anni Novanta. e ad uccidere civili e bambini come negli anni Novanta. A Cizre, a Sur, a Silvan, a Idil. Molti bambini e donne vengono uccisi come negli anni Novanta. Il governo non può dire: “Non siamo più come prima”. Lo fanno perché sanno che stanno perdendo terreno e quindi fanno di tutto. Per esempio per le prossime elezioni siamo preoccupati sulla correttezza, sul fatto che ci saranno frodi. Ma se le elezioni finiranno come le ultime, le cose cambieranno positivamente, questa è la mia speranza.

Da quello che ci hai detto il tuo rilascio è fortemente legato al cessate il fuoco con il Pkk. Secondo una cultura giuridica moderna dovrebbe esserci una separazione tra il potere esecutivo, che si occupa del processo di pace, e il potere giudiziario, che si occupa dei processi. Potremmo dire alla luce della tua esperienza che la magistratura non è indipendente dal governo?

Esatto: questo è un problema che c’è sempre stato in Turchia. Fin da quando la repubblica è stata fondata, nel 1923, non c’è stato un sistema giudiziario indipendente. Ora il sistema è nelle mani di Erdogan. Ora se la gente scrive un tweet contro Erdogan, la polizia arriva e lo arresta. Credo ci siano 200 persone che sono state arrestate per questo motivo, per dire che non amano Erdogan o che è un assassino. Se ad Erdogan non piace un giudice o un procuratore può mandarlo in un’altra città, quindi i giudici non hanno nessun tipo di tranquillità. [In Turchia il sistema è diverso dall’Italia: i procuratori non entrano per concorso, ma sono nominati direttamente dal governo, Ndr]

Durante il periodo kemalista c’era una magistratura più indipendente?

No, non era indipendente; ma adesso è peggio.

Quando hai iniziato ad essere l’avvocato di Ocalan?

Nel 2002. Nel 2004 l’ho visto per la prima volta in prigione, ho continuato fino al 2008. Poi hanno cambiato le regole e hanno vietato ad alcuni avvocati di vedere i loro clienti e hanno usato questa regola per impedire a me e altri avvocati di vedere Ocalan per un anno. Poi ho ripreso le visite. La prigione di Ocalan somiglia a Guantamo, ma l’hanno costruita prima di Guantanamo, con la collaborazione, credo, proprio degli USA, della CIA. Quindi questo sistema di detenzione “eccezionale” non riguarda soltanto la Turchia, l’abbiamo rivisto a Guantanamo.

Durante le tue visite, che idea ti sei fatto di Ocalan come uomo e come pensatore politico?

Ocalan è un leader politico e lo sa. Quindi parlavamo del suo caso ma lui ci chiedeva molto della situazione in Turchia e in Kurdistan, ne parlavamo spesso. La prima volta che l’ho vista mi sono detto che era un vero rivoluzionario, un vero leader della rivoluzione. L’ho visto subito, non so da cosa, dal suo aspetto, i suoi vestiti, i suoi baffi. Potevi vedere una personalità potente. La prima volta che gli ho fatto visita è stato molto difficile lasciarlo lì in prigione, con le guardie speciali che ci facevano spogliare e ci guardavano nella bocca e nelle orecchie, erano duri e ci vedevano come nemici, ci davano ordini. Dovevamo lasciare Ocalan con questa gente, era difficile per noi. È il mio cliente ma come curdo e come socialista Ocalan è una persona molto importante per me, per la maggior parte dei curdi è un leader.

Come vedi il tuo ruolo di avvocato dentro il movimento di liberazione curdo?

Se sei curdo, socialista o un oppositore in Turchia il tuo lavoro è difficile. Ogni giorno tante persone sono arrestate e le devi aiutare. Prima eravamo pochi ma adesso ci sono sempre più giovani colleghi. Dobbiamo stare con la nostra gente, difendere i loro diritti. Non c’è giustizia in Turchia, ma dobbiamo provarci ogni volta. E se non ci sono leggi possiamo provare ad andare nelle corti internazionali. Non possiamo arrenderci come avvocati, dobbiamo continuare.

Nel processo di pace Ocalan ha giocato un ruolo molto importante anche se era in prigione. Per noi è abbastanza difficile figurarci questa situazione, è un leader politico e un detenuto. Come hai percepito questa situazione particolare?

Ocalan è una persona diversa. Non ha paura di niente, davvero. E dice ciò in cui crede, indipendente dal posto in cui si trova. Se crede che qualcosa sia vero e dev’essere fatto lo dice che sia al governo, o ai deputati dell’HDP, il posto per lui non è importante. Sa benissimo qual è la sua missione rispetto al popolo curdo. Sa e sente che il popolo curdo è sempre dietro di lui, che le persone che sono morte durante questi trent’anni di rivoluzione le tiene sulle sue spalle. È con queste disposizioni che affronta questi incontri. È un po’ strano lo so ma il popolo curdo crede in lui, e lui crede nel popolo curdo, quindi non c’è problema. Ma ora ciò che il movimento dice è che per continuare gli incontri le sue condizioni detentive devono cambiare, dev’essere in regime aperto. Come Mandela, che era su un’isola ma dopo gli incontri col governo era libero. Lo dice lui stesso e lo dice il Pkk, ma il governo non è d’accordo. C’è un problema di fiducia. Il popolo curdo non crede al governo e lo Stato turco, ma Ocalan vuole comunque continuare a trattare per portare il governo da qualche parte.

 

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