La “dirigenza” si sfalda, il blocco sociale non si solidifica
A proposito di complotti e progetti ben congegnati.
A 48 ore dall’annunciata mobilitazione nazionale dei forconi – ribattezzata dai media “marcia su Roma”- la presunta compattezza di un nuovo soggetto politico a destra perde i pezzi: Ferro e Chiavegato prendono le distanze da Calvani perché hanno paura dell’infiltrazione dei fascisti; Casa Pound si scava un posto al sole perché crede di poter diventare l’avanguardia di nuovi fascisti, a loro volta troppo spaventati dai fascisti veri che gli insozzerebbero la piazza; Calvani tira dritto, con o senza Jaguar, convinto di poter fare il pieno di consensi per future elezioni.
Un ex-leghista che vorrebbe stare in Carinzia, un fascista da operetta che assomiglia a Cetto Laqualunque e un trombato di Forza Italia non trovano neanche il modo di convergere su una manifestazione unitaria… come si può pensare che riusciranno a sovvertire “l’ordine democratico” che sta tanto a cuore a certa sinistra resta un mistero. Non ci sarà alcun golpe, solo il tentativo di un ceto politico male in arnese di rappresentare un malessere sociale diffuso e in larga parte refrattario a ogni traduzione/tradizione politica. Segno che la tanto esorcizzata sintesi organizzativa non avrà luogo.
La liquidità della composizione spuria che ha attraversato alcune piazze rimane scomposta, in attesa di qualcosa di nuovo in cui riconoscersi, o forse solo di una nuova occasione per contare senza essere immediatamente recuperati dall’ennesimo ceto politico di turno. Perché a conti fatti i vari Chiavegato, Ferro, Cavani… ecc non sono nient’altro che aspiranti occupanti delle poltrone altrui, ceto politico in erba, solo un po’ più sfigato e rancoroso, incapace di dare una linea alle piazze che ha evocato. Per farsi un’idea della confusione che regna nella testa di questi, si può prendere l’emblematico caso di Andrea Zunino, tra i leader del coordinamento torinese, all’incrocio tra New Age e nostalgie di piccole patrie perdute, convertito all’islamismo Sufi e frequentatore delle teorie complottistiche sugli Illuminati (e i banchieri ebrei). Lo scorso lunedì era in piazza Derna e proprio non gli riusciva di farsi ascoltare da quei giovani che, ostinati, volevano per davvero bloccare tutto. Due ore dopo, sconsolato, stava sotto il Comune lamentandosi del fatto che in piazza Derna la situazione era sfuggita di mano perché “egemonizzata dai centri sociali” (i giovani del presidio avevano semplicemente deciso di disertare quella rotonda per bloccarne altre due più a nord, lontane dal suo paternalismo). Di questi soggetti dovremmo aver paura? Di chi teme le conseguenze legali per aver depositato il nome in questura che gli accordava il permesso di bloccare una rotonda?
Ci sembra tanto che gli spettri evocati siano ben lontani dal materializzarsi. La piazza romana del 18 vedrà sicuramente convogliare la parte peggiore di quanti sono scesi in piazza in questi giorni, perlopiù fascistelli in cerca di consenso e sostenitori di Calvani. Gli altri pezzi “organizzati” aspetteranno momenti e favori migliori dalle proprie lobby politiche di riferimento. Il problema dell’agibilità della piazza per i compagn* dei movimenti per il diritto all’abitare e dei rifugiati semplicemente non si porrà perché quei percorsi hanno numeri e legittimità per prendersi lo spazio di cui hanno bisogno. Giustamente, come sempre avviene in questi casi, i divieti si rompono e le piazze si prendono.
Quello che a noi continua ad interessare, è la composizione sociale, perlopiù giovanile (ma non solo), che si è materializzata in piazza tra il 9 e l’11 dicembre: i nuovi poveri della metropoli, senza tradizione, senza agganci con le cordate politiche o economiche che gestiscono la governance dei territori, gli arrabbiati che si sentono espropriati di tutto e che si son messi in gioco perché attirati a una promessa di rivolta cha hanno forzato dal di dentro, rimanendone probabilmente delusi. Torneranno, perché rimangono sul tappeto i bisogni che li hanno spinti in strada e le contraddizioni che sono venute a galla, sopravanzando le finalità corporative del coordinamento. Ancora una volta, bisognerà scegliere se ignorare queste presenze, demonizzarle a priori o provare a misurarcisi, con tutte le difficoltà del caso. Dopo quattro giorni di frequentazioni, non abbiamo dubbi: alla prossima tornata di mobilitazione dal basso (perché questo è stata, a Torino e dintorni, anche se non nelle forme che i/le compagn* vorrebbero!) saremo a fianco di chi si solleva contro l’esistente, anche se il suo pantheon simbolico non coinciderà esattamente col nostro.
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Per chi vuole un riepilogo di un dibattito vivace, a tratti astioso: #nonsoloforconi
Per chi vuole continuare a discutere: Cosa succede in città? Racconti e impressioni dalle mobilitazioni del 9 Dicembre
Su alcuni aspetti della piazza torinese: Salvatore Cominu – I nodi vengono al pettine: i “Forconi” a Torino
Un’altra testimonianza di un operaio del torinese: Considerazioni di un lavoratore Abit sul 9 dicembre
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