La nuova scena rap nella Baltimora post-Freddie Gray
Dato che è sempre rimasta fuori dal giro dei grandi media e dei circoli culturali, Baltimora è abituata a vivere nell’ombra. Essere originari di una città non-troppo-famosa fa entrare facilmente nel circolo vizioso per cui si pensa che la propria città sia soggetta a una specie di maledizione e che quell’isolamento non dipenda da nessuno e perciò non lo si possa superare. Secondo l’autore dell’articolo, proprio quella sensazione di essere ignorati dal mondo sta alla base dei disordini verificatisi a Baltimora in aprile, quando la città occupò i media internazionali grazie alle proteste per l’omicidio di Freddie Gray. Quei disordini si sono trasformati in qualcosa di più ampio, in quanto hanno focalizzato l’attenzione generale sulle ingiustizie che i giovani afro-americani di Baltimora subiscono e hanno segnato una precisa volontà da parte di quei giovani di non voler più attendere l’avverarsi di vuote promesse rispetto a un futuro migliore. In quei giorni, non solo si è verificato uno scossone politico, ma questa rinnovata energia ha portato molti giovani rapper a pensare che finalmente i riflettori si accenderanno su Baltimora, proprio in un periodo di reale bisogno.
A voler essere precisi, non è che il rap a Baltimora sia piovuto improvvisamente dal nulla. In passato c’è stato qualche episodio di rapper sfiorati dalla notorietà. Nel 2002 il pezzo di B Rich, “Whoa Now” ha procurato all’artista un accordo con la casa discografica newyorkese Atlantic, che ha prodotto persino la sua entrata nella colonna sonora degli NBA del 2003. Ironia della sorte, tutto ciò non ha mai reso famoso B Rich, né a Baltimora né al di fuori. Nello stesso periodo, un altro artista (Tim Trees, rapper originario dell’area est di Baltimora) aveva raggiunto una certa fama, almeno a livello locale, con il pezzo “Bank rolls”, grazie alla sua immagine di “ragazzo del popolo” e alla sua scelta di affidarsi al produttore del leggendario Baltimore Club, Rod Lee. Nella prima metà degli anni 2000, la casa discografica Def Jam, accolse il rapper adolescente Comp nella sua scuderia. Tuttavia, nonostante il giovane artista partecipò alla colonna sonora del video-gioco, “Def Jam: Fight For NY” ed ebbe il proprio singolo “Do sumptin” incluso nella colonna sonora del film “Cradle 2: The grave”, non venne mai prodotto un album di Comp dall’etichetta. Nel 2004 l’inno di Baltimora “Oh!” procurò al rapper Bossman un contratto con la Virgin Records, ma anche in quel caso ciò non portò a nessun tipo di seguito importante nella sua carriera.
Man mano che internet ha assunto un ruolo sempre più determinante nella divulgazione della musica, il rap baltimorese ha cominciato a differenziarsi, a partire dalla fine degli anni 2000 fino ai primi anni ’10. Nello specifico degli ambienti di strada, per esempio, nel 2009 il pezzo “Go harder”
in cui veniva campionata la frase di Jay-Z “I go harder than Baltimore” contenuta nel brano “Go hard remix” fatto insieme a T-Pain e Kanye West
procurò al rapper Mullyman diversi passaggi nelle jam di MTV. Sebbene in una dimensione più locale, il pezzo “Hypnotized” dell’artista Smash (ormai deceduto) fu in cima alle classifiche per tutto il 2008. Altri artisti, come Spank Rock e Soul Canon, cominciarono a rivolgersi alla scena artistoide dell’area downtown di Baltimora, altamente popolata di studenti dell’accademia d’arte, il MICA. Un altro battle rapper, Go DDM (ora noto com Uncle Lulu del distretto di Bond Street) si esibiva per lo stesso tipo di pubblico ed è localmente riconosciuto come il primo artista hip-hop dichiaratamente omosessuale. C’è poi il caso della rapper baltimorese Keys, alla quale la “Diatriba con Nicki Minaj” (“Nicki Minaj diss”: una “diss”, abbreviazione di “disrespect”, è un pezzo rap in cui si litiga con qualcuno) procurò una certa fama in tutto il paese e un mini-tour con Lil Kim, grazie anche al pezzo rap ricevuto come risposta da parte della stessa Nicki Minaj. A cominciare dal 2008, dopo che il suo accordo con Bad Boy non andò a buon fine, Los, un altro artista conosciuto dall’inizio degli anni 2000 nella scena locale rap delle battle, è diventato un produttore infaticabile di mixtape. La sua tenacia lo ha reso il rapper baltimorese più conosciuto degli ultimi anni. Tuttavia, come nel caso di B Rich, il successo di Los su scala nazionale non lo ha ripagato con un grande seguito nella sua città, dove non è considerato un artista di rilievo.
Oggi, la scena rap di Baltimora è più ricca e diversificata di quanto non sia mai stata. Essa si può dividere in due filoni principali: il rap di strada e dei giovani artisti oppure quello più sperimentale. L’aspetto interessante è che entrambi i filoni finiscono inevitabilmente per interagire continuamente tra loro. I social media hanno reso piccoli successi molto più facilmente raggiungibili e concretamente possibili per giovani aspiranti artisti e la città ha cominciato a trovare nuovi modi per distinguersi grazie a un gergo tutto suo.
L’articolo in questione è arricchito, inoltre, da un elenco di artisti che caratterizzano l’attuale universo hip-hop a Baltimora, ciascuno seguito da una breve presentazione.
Cominciamo da Ygg Tay. Il rapper viene da Sandtown, West Baltimore, l’area nota per contenere i quartieri afro-americani più poveri, pieni di disagio, droga e “crimine”: quelli dov’è ambientata la serie “The wire”. Sandtown era il quartiere di Freddie Gray. Insomma, Ygg Tay (Ygg sta per Young Go Gettas e fa riferimento a un gruppo di rapper locali) è uno che viene dalla strada e, mentre sta ancora sviluppando le liriche per esprimere al meglio i suoi contenuti rabbiosi, il suo fascino e uno spiccato orecchio per ritmi scatenati gli hanno procurato un seguito sempre più ampio a Baltimora durante l’ultimo anno. Tra l’altro, non scomoda affatto che il rapper di Atlanta, Future, lo abbia accolto sotto la sua ala. Alla fine dell’anno scorso, il suo pezzo “Why You So Mad?” ha fatto furore in città, così come il suo mixtape che vede la collaborazione di artisti della scena hip-hop atalantina quali Young Scooter, Metro Boomin e TM88.
(https://www.youtube.com/watch?v=3naahpd9ius.5)
Poi c’è Tate Kobang. In un’intervista uscita un paio di anni fa sul giornale baltimorese City Paper, il rapper 21-enne racconta di essere nato nel quartiere povero di Greenmount e che sua madre lo spedì a York in Pensilvania per farlo studiare, cercando di valorizzare la sua passione per la musica. Poi suo nonno morì e lui scelse di tornare a Baltimora senza completare gli studi. E’ nella sua città di origine che ha coltivato la sua passione per l’hip-hop, insieme ai suoi amici, registrando tracce come un pazzo fino a produrre il primo mixtape “Varsity” nel 2011 insieme a Dem808, la crew di produttori guidata da Matic808. Il sodalizio è durato un paio di anni appena, poi l’artista si è messo in proprio seguito da un paio di vecchi amici che avevano collaborato con lui da sempre. La rabbia, la voglia di urlare le cose come stanno, la voglia di emergere dalla miseria e dal nulla hanno fatto il resto. Un elemento costante nella musica di questa estate baltimorese è il pezzo di Kobang, “Bank rolls”. Ciò che ha determinato tale esplosione di popolarità è il fatto che il rapper abbia ripreso il famoso pezzo di Tim Trees del 2002 e lo abbia trasformato in una specie di inno, grazie alla citazione di diversi quartieri poveri sparsi per la città. Il pezzo è stato davvero una bomba dell’estate tanto che ha procurato a Tate l’ingaggio della casa discografica newyorkese 300 Entertainment, di Kevin Liles e Lyor Cohen.
Un altro rapper, che in qualche misura ha riacceso in tutta la città una rinnovata passione per il rap di strada con la serie di mixtape “Still In The Trenches”, è Lor Scoota detto ScootaUpNext. Anche lui viene da West Baltimore, Pennsylvania Avenue per la precisione. Quella è un’area caratterizzata da robuste radici che affondano nella storia della musica nera, grazie anche alla presenza del Royal Theatre, un teatro icona che ha ospitato artisti come Billie Holiday, Nat King Cole, The Temptations ecc. La scorsa estate, il singolo di Lor Scoota “Bird Flu” ha inondato l’intera città come un pezzo rap non faceva da anni. E’ un brano che parla di droga, della realtà di West Baltimore. “I think I got the bird flu/I’m tired of selling packs I think I need a bird or two/We selling scramble, coke and smack/Keep them junkies coming back.” Essere affetto da “bird flu” vuol dire in gergo voler aumentare il carico di droga che si vuole vendere. Un “pack” è un “bustina” di cocaina. Le radio lo mandavano ininterrottamente e il giro dei Baltimore Club ha sfornato recensioni entusiaste. Lo stile graffiante dei suoi freestyle ha portato a Scoota il sostegno costante del più noto rapper Meek Mill. Attualmente Scoota si sta preparando a far uscire “Still In The Trenches 3”.
Un altro rapper che contende a Lor Scoota il primato di icona del rap di strada a Baltimora è Young Moose. Lui viene da Down The Hill (DDH), una zona di East Baltimore ed è stato più volte arrestato per questioni legate alla droga. In qualunque quartiere nero della città uno vada, di sicuro sente il rap di Moose uscire dai finestrini delle auto o cantato dagli adolescenti che girano per le strade. Il pezzo che lo ha reso famoso a Baltimora è “Dumb Dumb”, dove Moose gioca col gergo locale nel chiamare “dummy” un amico. E’ pure noto per le sue controversie con la polizia di Baltimora, la quale ha provato in tutti i modi a ostacolarne la carriera. Grande ammiratore del rapper Lil Boose, proprio il mese scorso Young Moose è entrato a far parte della di lui casa discografica Bad Azz Music Syndicate, realizzando un obiettivo che molti artisti locali continuano a sognare.
Un altro rapper di Sandtown, West Baltimore è Lor Chris. Fattosi conoscere negli ultimi anni con la serie dei mixtape “Unda-rated”, Chris ha aumentato la sua popolarità con un brano rap dedicato a Freddie Gray uscito subito dopo i disordini di aprile e considerato uno dei migliori tributi al ragazzo morto di polizia.
Al gruppo Ygg appartiene pure il giovane rapper Lor Stackks. Nonostante sia agli inizi della sua carriera, centinaia di adolescenti baltimoresi rappano i suoi testi. Ha da poco pubblicato l’album “Still no pressure” da cui spicca il pezzo “My woe”.
Uno che rappresenta una specie di eccezione è invece G-Rock, il quale può essere definito, in un certo senso, un vecchia gloria nella nuova ondata di rapper baltimoresi. Attivo dall’inizio degli anni 2000, nel 2011 fece un certo rumore con il brano “Flute”
dove il termine “flute” indica chi si atteggia a “nigga” ma non lo è veramente (“a wannabe, not a real nigga”). Questa estate è tornato sulla cresta dell’onda con due singoli, “Dboy Walk” e “Winning”. Purtroppo, alla fine di luglio G-Rock è morto ucciso da un colpo di pistola nel suo quartiere, Edmondson Village a West Baltimore. Sembra che il numero di omicidi a Baltimora nel mese di luglio del 2015 sia stato il più alto degli ultimi 45 anni. James Jones, vecchio amico e collaboratore di G-Rock, dice che i testi del rapper spesso parlano dei problemi di chi è cresciuto in una città violenta come Baltimora. “Io e G-Rock siamo cresciuti qui e abbiamo visto morire troppi, una follia. Il nostro obiettivo era proprio liberarci da tutto questo.” L’ultimo mixtape di G-Rock “Mayweather 3”, che era pronto per uscire, verrà pubblicato post-mortem.
Abdu Ali è un 25-enne rapper, promoter e dj molto amato a Baltimora, anche lui cresciuto in un quartiere di West Baltimore. Un paio di anni fa Abdul Ali si era trasferito a New York per tentare di fare il salto di qualità. Eppure lo scorso inverno è tornato a Baltimora, definendola una città difficile, piena di problemi e contraddizioni ma comunque una città “vera”, reale, dove non sei sopraffatto dalle regole fino a diventare matto come succede a New York. E da quando è tornato, gli va riconosciuto il merito di provare a creare un tipo di musica molto particolare e futuristica, che fonde il suono della “club music” con il rap. E’ anche conosciuto per essere l’organizzatore di un party, il Kahlon, attraverso il quale ha lanciato altri giovani artisti in città (vedi: Jungle Pussy, Juliana Huxtable, B L A C K I E, Lor Scoota, Princess Nokia e altri) formando un’unica squadra sotto lo stesso tetto, nonostante le notevoli diversità che contraddistinguono gli stessi artisti.
Nell’articolo sono citati altri giovani rapper (Butch Dawson, Al Rogers Jr., TT The Artist, Black Zheep DZ, JuegoTheNinety, Grey Dolf, Malik Ferraud) che arricchiscono la scena artistico-musicale baltimorese, sperimentando nuove modalità di espressione e facendolo spesso collettivamente. Musicalmente parlando, vale la pena di conoscerli.
Al di là dell’interesse specifico riguardante il discorso musicale, la disamina precedente suggerisce una serie di riflessioni. Innanzitutto, viene da chiedersi perché in una città molto viva sul piano culturale, artistico e musicale solo ora cominciano ad emergere, localmente e non solo, gli artisti afro-americani, mentre possiamo elencare una serie di gruppi musicali indie “bianchi” noti a livello internazionale (Animal Collective, Dan Deacon, Future Islands, Wye Oak, Beach House e Lower Dens). Questo è tanto più contraddittorio se si tiene conto che la popolazione baltimorese è prevalentemente nera.
Alcuni spunti che possono contribuire all’analisi emergono da un altro articolo, pubblicato su Pitchfork il 28 luglio scorso, scritto da Yana Hunter, la cantante dei Lower Dens, in cui viene riportata una specie di chiacchierata che l’artista ha fatto col rapper baltimorese Abdu Ali. Quanto succede nella sfera musicale non fa che riflettere una situazione endemica molto più ampia che risiede in una lunga storia di segregazione e di oppressione della comunità nera baltimorese. A Baltimora le prime leggi degli USA sulla segregazione hanno cominciato a entrare in vigore nel 1910. Molti dei benefici che la esigua comunità bianca si è conquistata nei decenni lo ha fatto a spese della più popolosa comunità nera. E’ come se ci fossero due Baltimora. Come afferma Abdu Ali, “Tutt’ora esiste una divisione netta tra la Baltimora ricca e bianca e chiunque altro. Lo si può vedere anche dalla geografia della città e si capisce che Baltimora è stata disegnata per segregare. Sembra incredibile, se si considera quanto essa sia piccola, eppure segregazione e razzismo hanno lasciato che l’ombra del capitalismo e la gentrificazione si impossessassero della città.” Complessivamente, Baltimora è una città molto povera. E’ vero che ci sono anche bianchi poveri ma la grande maggioranza di chi non ha nulla sono i neri; per loro è come se non ci fosse speranza e quel senso di impotenza e di vuoto ha prodotto rabbia, violenza e droga. Secondo Abdu Ali, “7 neri su 10 tra i 18 e i 27 anni sono disoccupati. Il sistema educativo è marcio da fare schifo. Anche a guardarsi intorno, dall’architettura e dal paesaggio si vede bene quanta desolazione c’è. Qua abbiamo 16.000 case vuote. E tutto questo ha un profondo effetto sulla psicologia delle persone.”
Eppure, secondo Yana Hunter, nel 2015 a Baltimora anche parecchi bianchi devono fare i conti con un potente senso di insicurezza, risultato di una società sempre più esigente che pretende performatività e successo, pena l’esclusione. E poi c’è chi comincia a prendere coscienza di aver contribuito, più o meno direttamente, proprio in quanto bianchi al mantenimento del razzismo e della segregazione. Quando Freddie Gray è stato ucciso, molte voci si sono sollevate a condanna del razzismo perpetrato nei confronti della comunità afro-americana. E probabilmente per Baltimora è stata la prima volta che parte della comunità bianca ha preso posizione pubblicamente con una risonanza di quelle proporzioni. Anche Ali sostiene che in quei giorni si respirava un clima incredibile. Si stava per le starde tutti insieme, per la prima volta si comunicava veramente. Certo, quando i riflettori dei media si sono allontanati, quel livello di interazione è scemato, ma sembra aver lasciato un segno; forse chi c’era ha imparato qualcosa come comunità, innanzitutto che Baltimora ha bisogno di spazi di integrazione. E poi Ali aggiunge: “Non dobbiamo avere paura di metterci a confronto, di comunicare, di metterci in discussione, di essere criticati e criticare. In questa epoca non abbiamo molto da perdere, dobbiamo metterci in testa che alcuni di noi sono nella stessa barca. Oltre a combattere il razzismo, dobbiamo fronteggiare il capitalismo che è la vera grande bestia! Quello che voglio dire è che penso che il capitalismo abbia generato il razzismo. Divide et impera, tesoro. OK?”
Chissà, forse quei giorni dopo la morte di Freddie Gray qualche segno lo hanno lasciato davvero. Piccoli segnali di una nuova presa di coscienza; magari, a partire dalla lotta al razzismo, il germe di una presa di coscienza di classe. E chissà che non sia proprio la musica a dare una spinta in quella direzione…
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