Le tribù naxalite tengono sotto scacco le multinazionali
«Quando avete ottocento paramilitari che marciano tre giorni nella foresta; che circondano un villaggio nella foresta, bruciandolo e stuprando le donne, cosa dovrebbero fare i poveri? Possono gli affamati fare lo sciopero della fame? Può la gente senza denaro boicottare i beni di consumo? A quale sorta di disobbedienza civile possiamo chiedergli di aderire?». La scrittrice ed attivista indiana Arundhati Roy, vincitrice nel 1997 del premio Man Booker per “Il Dio delle piccole cose” si è schierata apertamente dalla loro parte, dalla parte dei naxaliti, le migliaia di contadini e di popolazioni tribali che dal 1967 combattono contro l’idea di sviluppo della nuova India.
Il primo ministro indiano Narendra Modi l’ha definita «la più grande minaccia alla sicurezza interna che l’India affronta dalla sua indipendenza». Iniziata dopo la sanguinosa repressione della rivolta contadina di Naxalbari, un villaggio dello Stato indiano del Bengala Occidentale, la guerriglia comunista dei naxaliti, lungi dal mostrare la corda dopo quarantasette anni di conflitto permanente, appare più vitale che mai.
Il principale partito naxalita è il Partito comunista indiano-maoista (è considerato illegale in India). In India i maoisti hanno creato un vero e proprio corridoio rosso che attraversa il Paese da nord-est a sud-ovest, mettendosi alla testa delle lotte e rivendicazioni dei contadini e delle popolazioni tribali.
«I governi statali (l’India è una confederazione, ndr) hanno firmato centinaia di memorandum di accordo con le compagnie minerarie per operare sulla terra tribale. Molti di questi accordi non sono stati realizzati a causa dell’ostinazione e la flessibilità della lotta che le popolazioni più povere stanno portando avanti contro le corporation più ricche. Ma queste corporation minerarie sono nate storicamente per vincere le loro battaglie. Dunque, semplicemente aspettano come pigri predatori… Se non sarà il Salwa Judum (un gruppo armato supportato dallo Stato dello Chattisgarh per combattere i maoisti, ndr), sarà l’esercito. Siamo di fronte alla prospettiva di una democrazia militarizzata, se ciò non è un ossimoro», ha aggiunto la Roy.
Chattisgarh, l’epicentro del conflitto. L’allarmismo del premier indiano appare pienamente giustificato dopo aver letto il rapporto annuale annuale su questa ennesima guerra dimenticata, diffuso pochi giorni fa dal Centro asiatico per i diritti umani (Achr). «Il conflitto naxalista sta crescendo. Non tanto in termini di estensione geografica, quanto di concentrazione geografica e intensità del conflitto in un unico Stato, il Chattisgarh, diventato l’epicentro degli scontri con circa la metà delle vittime», ha spiegato Suhas Chakma, direttore dell’Achr.
Questo cambiamento rispetto al passato si spiega con l’avvio di una dissennata campagna anti-guerriglia da parte del governo statale del Chattisgarh nel sud di questa regione. La Salwa Judum, “campagna per la pace”, è iniziata nel giugno 2005, intensificandosi negli anni a venire. Le autorità l’hanno spacciata per una rivolta spontanea della popolazione locale contro i guerriglieri naxaliti. In realtà le forze armate indiane hanno costretto con la violenza le popolazioni indigene locali e i contadini poveri del posto a imbracciare le armi contro i ribelli maoisti, fomentando una sanguinosa guerra civile. «Per forzare la popolazione ad arruolarsi nelle milizie ‘spontanee’ del Salwa Judum, le forze militari terrorizzano la gente con esecuzioni extragiudiziali, torture e stupri. I villaggi e le comunità che, per non sopportare tutto questo, accettano di passare dalla parte del governo, finiscono poi nel mirino dei naxaliti. Presi tra i due fuochi, molti preferiscono fuggire. Ad oggi, nel solo distretto di Dantewara, si contano 93.740 sfollati».
Franco Fracassi, Popoff
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