L’esercito Marxiano. Intervista a Ramon Moreno
Come può un ex guerrigliero formare i massimi vertici militari? E non si sente a disagio?
Prima del governo Chávez sarebbe stato impossibile. E quel disagio lo abbiamo dovuto risolvere nella pratica, quando abbiamo costruito la ribellione civico-militare del 4 febbraio ’92, diretta dal comandante-presidente purtroppo prematuramente scomparso. Hugo lo abbiamo conosciuto tramite suo fratello Adan, che insegnava nella mia stessa università, militavamo entrambi nel Prv-Faln. La figura di Adan, un marxista rivoluzionario, è stata decisiva nella iniziale formazione del fratello minore. Nell’85, Hugo Chávez insegnava ai giovani dell’accademia militare. Ha svolto fin da allora un importante ruolo pedagogico nelle Forze armate. Ricordo un suo articolo sulla rivista interna in cui rilevava l’inesistenza del concetto di patria in un paese asservito agli interessi dei grandi potentati internazionali, e sosteneva che le Forze armate dovessero essere formate a partire dai principi di Simon Bolivar, il liberatore dei popoli. All’inizio non era socialista, anche perché il socialismo era parecchio ostracizzato, ci è arrivato dopo, subendo l’influenza delle correnti marxiste e rivoluzionarie. In quegli anni, tra civili e militari ci guardavamo con diffidenza, l’apporto delle organizzazioni popolari alla rivolta non è stato grande. Quando Chávez è stato arrestato, abbiamo però fornito il supporto organizzativo dentro e fuori il carcere. Tenevamo i contatti con i militari che non erano insorti per motivi logistici, ma erano controllati dall’intelligence militare. Dal carcere, Chávez tagliava i biglietti da 5 bolivar in due, ne inviava una parte ai suoi sodali attraverso militari amici, un’altra la dava a noi civili, visto che potevamo muoverci con più facilità. Sono restato un’ora in una caserma prima che l’ufficiale si decidesse a mostrare il suo mezzo biglietto, non ci fidavamo. L’unità si è andata formando nella lotta e poi nella pratica di governo. Ora parlo di marxismo e rivoluzione a compagni ufficiali che prima non sapevano niente di questo e adesso sono avidi di formazione ideologica, studiano come costruire un governo socialista e rivoluzionario, studiano economia marxista, imparano come si costruisce una nuova relazione tra popolo e Forza armata nazionale bolivariana, e si definiscono popolo in armi. Insegno a militari argentini, colombiani, brasiliani, nel rinnovato disegno della Patria grande, di un esercito di uguali.
Il generale Baduel, Guaicaipuro… Ogni volta che Chávez ha tentato di accelerare verso il socialismo, una parte dei militari non lo ha seguito. Cosa faranno ora i moderati con Nicolas Maduro?
E’ capitato che alcuni gruppi di interesse abbiano pensato di trovare un proprio tornaconto, immaginando che questo fosse solo l’ennesimo cambio di governo e non un processo rivoluzionario di lungo respiro. E vi sono episodi di corruzione che vengono perseguiti. Questo, però, vale sia per i militari che per i civili. In 14 anni abbiamo fatto i conti con quella parte delle Forze armate che ha rivolto le armi contro il popolo durante la IV Repubblica, identificandosi con i dettami nordamericani della Scuola delle Americhe. Perché la storia dei nostri militari è diversa: molti generali vengono dai quartieri poveri. Nella nostra storia ci sono generali rivoluzionari e indipendentisti. La rivolta del caracazo, nell’89, quando i militari hanno sparato sulla folla che protestava contro il neoliberismo, è stato uno spartiacque che ha lasciato il segno. Con il proceso bolivariano, i militari non sono più i garanti degli interessi borghesi, aiutano il popolo nelle più diverse funzioni sociali, partecipano alla costruzione di una società socialista: in cui niente si fa per decreto, ma per un processo di approssimazione e sintesi che ha dovuto prima di tutto garantire i diritti fondamentali attraverso la ridistribuzione della rendita. Ora si tratta di accelerare la costruzione di infrastrutture, la produzione interna: per trasformare il Venezuela in un paese-potenza, uno dei punti del programma di governo da qui al 2019. La forza armata nazionale bolivariana – che oggi ha unificato al singolare Guardia nazionale, Esercito, Aviazione e Milizia popolare – è della partita e garantisce il percorso. Le correnti esistono, alcuni militari sono più moderati, ma la fedeltà al lascito di Chávez, alla costituzione, ai diritti umani, è grande. Questo fa paura alla borghesia, al blocco storico che non si rassegna a perdere il potere che ancora detiene. Basti pensare che l’impresa Polar – che non abbiamo ancora la forza di espropriare – ha in mano 107 prodotti base di consumo. E lo stesso vale per i mezzi di informazione, che cercano di minare la credibilità dell’unione civico-militare enfatizzando lotte di potere interne.
Cosa ricorda dei suoi anni di lavoro con Chávez?
Era molto esigente, attento ai dettagli, un fine stratega, brillante, con una prodigiosa intelligenza intuitiva e visuale, capace di grande ascolto, di leggere libri in una notte e di metterli a frutto a modo suo. Non usava computer, solo negli ultimi tempi la figlia gli ha insegnato twitter. Una volta venne a sapere che un generale cospirava ai suoi danni e lo mise a un posto di potere, molto vicino a lui. Non capimmo, ma in seguito lo spiegò così: se ti dicono che un cane rabbioso verrà a morderti, puoi passare il tuo tempo a guardarti le spalle e a farti venire il torcicollo, oppure lo puoi mettere al tuo fianco, e quando vedi che sta per morderti, lo stronchi. Quando fece l’errore di ipotizzare una via blairiana per il Venezuela, gli facemmo leggere un libro su Gramsci e rettificò con umiltà quell’errore pubblicamente. E si pose con decisione sul cammino del socialismo. Riportando in patria l’oro e dislocando le riserve in banche diverse da quelle nordamericane, ha salvato il paese e molti imprenditori dal fallimento. Alla sua statura politica, hanno reso omaggio 55 capi di stato del mondo durante i funerali. Alla grandezza delle sue intuizioni rende omaggio il popolo venezuelano, che spesso è un passo più avanti di molti che lo governano.
di Gerardina Colotti per Il Manifesto
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