Eletta l’Assemblea costituente venezuelana: l’exit strategy di Maduro alla crisi interna
Con oltre 8 milioni di votanti si sono chiusi nella serata di domenica i 14.515 seggi elettorali adibiti ad eleggere i 537 membri (più 8 rappresentanti delle comunità indigene) dell’assemblea costituente venezuelana per la riforma della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Una capacità mobilitativa straordinaria del fronte sociale del PSUV ha fronteggiato le guarimbas armate della destra, insediate soprattutto nei quartieri benestanti, che minacciavano la partecipazione al voto. Il 41.5% degli aventi diritto al voto venezuelani è riuscito a recarsi alle urne. L’ampia difesa dell’eredità del processo chavista espressa con il voto di ieri e l’oggettiva spaccatura che divide a metà il paese, conferma come quello della guerra civile dispiegata sia ormai un dato irrevocabile. Il ricorso al processo di riforma costituzionale è stata una carta politica giocata da Maduro al livello di questo scontro: più come exit strategy vincente nello scontro politico che ha minato le fondamenta istituzionali del paese compromettendo, per il perdurare della situazione di instabilità, alcuni livelli della riproduzione sociale complessiva, che come processo reale di pacificazione nazionale. L’aperto boicottaggio da parte delle opposizioni delle votazioni di ieri formalizzerà infatti un campo “democratico” legittimo rappresentato nell’assemblea costituente dove però troveranno spazio solo le forze della resistenza bolivarista e filo governativa. C’è un’alternatività politica che non è addomesticabile, un’irriducibilità non costituzionalizzabile in un nuovo ordine comune e universale. Una prima cosa può essere detta a riguardo: l’assemblea costituente non porterà la pace.
I media occidentali, soprattutto dalle nostre parti, quando non hanno apertamente scelto di tacere della situazione venezuelana, hanno sistematicamente lavorato a screditare il governo venezuelano e le sue scelte nel contesto della battaglia politica del paese latinoamericano: è dittatura, questo il coro unanime contro l’esecutivo Maduro, auspicando la sua disfatta, perché, ed è certamente vero, il saccheggio liberista del Venezuela farebbe gola a tanti. Eppure c’è curiosamente un dato che accomuna i potenti sostenitori del regime-change e i tifosi maduristi di sinistra di ogni paese: la legittimità del governo erede del chavismo passa per il suo grado di democraticità. Gli uni lo attaccano perché dittatore antidemocratico gli altri lo sostengono perché massima espressione della sperimentazione democratica e finanche democraticista. “Si vota! Che volete di più? Il socialismo?!” Anche per questa narrazione sulle sorti della democrazia passa la mistificazione dello scontro politico nel paese e, se vogliamo, dell’esperienza bolivarista. Noi che da comunisti a questa categoria del dominio occidentale, quella di democrazia, mai ci siamo sentiti affezionati una seconda cosa ci sentiamo di dirla: non è perché rappresenti un’eccezionale prova di democrazia che l’insediamento dell’assemblea costituente risulta un passaggio politico legittimo nello scontro politico-istituzionale. Il discorso sulla democrazia, che per le establishment occidentali serve a screditare Maduro, quando imbracciato dai partigiani di sinistra finisce per delegittimare l’esistenza di un conflitto irriducibile e la scelte operate nel contesto della sua interpretazione politica.
“Il modo più democratico per aggiornare una Costituzione è da sempre quello di eleggere un’assemblea costituente, dove tutti i partiti possono concorrere a determinare i princìpi fondamentali della Carta”. Fa specie leggere su un sito un noto “giornale comunista on line” formulazioni come questa. È il contraltare partigiano alle mistificazioni dei mass-media, ma che in fondo si rivela ingeneroso verso le stesse strategie profonde di sopravvivenza del processo rivoluzionario bolivarista impegnato a fare i conti con la crudezza della guerra civile. L’elezione della costituente non avvia, come detto, un processo di pace ma inaugura, con un atto extracostituzionale, un’iniziativa per costituzionalizzare nuovi rapporti di forza guardando anche all’esigenza, non più rinviabile dopo mesi di conflitto intensissimo, di comporre in un nuovo ordine le tensioni interne al paese. Un ordine parziale ma vittorioso sulla parte nemica che è quella dell’upper class del paese alleata con gli interessi rapaci fuori dai confini.
È in fondo al lavoro, anche nelle narrazione “di parte”, sul Venezuela, in quelle resistenti alla narrazione mainstream, tutto il corollario di attributi che si associano alle pose della sinistra campista che, una volta posizionatasi nel fronte antimperialista, deve fondare la legittimità dello Stato socialista come baluardo della resistenza alle forze che congiurano contro. Vecchie ossessioni, da vecchi comunisti. Ma in fondo, per lo schema che perseguono, sono valide solo per chi fa il tifo dall’esterno.
Beninteso, la difesa dell’esperienza bolivarista contro gli interessi del liberismo globale, da quelli americani a quelli del Brasile di Temer, è uno dei vettori che ancora aggrega la partecipazione popolare venezuelana anche nella chiave culturale della resistenza all’imperialismo. Ma il dato che resiste come possibilità di sviluppo a venire e approfondimento dell’alterità è che, per quanto regressivo sotto Maduro, per quanto compromesso con un modello estrattivista, il bolivarismo chavista ha comunque permesso ad ampie fette di povertà degli strati popolari del paese di accedere a livelli di consumo e istruzione decenti e di avere un protagonismo politico nella vita istituzionale del paese contro i ricchi, i grandi padroni, i nemici di sempre. Ogni ulteriore fondazione, per quanto pure appropriata dal movimento di trasformazione sociale complessiva, è una giustificazione politica utile al governo di questo stesso movimento di trasformazione più che al suo sviluppo… nello Stato, contro altri contendenti.
Quindi, dall’esterno, per riconoscere fino in fondo la natura della guerra civile in atto in Venezuela, per non scambiare le sue implicazioni con valutazioni perniciose perché astratte da un processo concreto, un’ultima cosa può essere espressa: il quesito su quanto sia ancora sostenibile il chavismo in un’ottica rivoluzionaria non riguarda più i venezuelani, i quali, in un senso o nell’altro, hanno già compiuto la propria scelta combattendo da una parte o dall’altra una battaglia che non ammette alternative. Solo chi ne sta fuori può permettersi il privilegio superfluo di questa domanda, oppure di fare il tifoso dell’antimperialismo accontentandosi del proprio schema preformattato…
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