Marò & tarocchi
Di truffa in truffa. Ancora sulla tragicomica vicenda dei due Marò tra patacche, ingenieri auto-nominatisi con lauree a mezzo posta, nostalgici del Ventennio e pdiellini in cerca di riciclo elettorale…
Un’ottima ricostruzione a cura di www.giornalettismo.com:
Il perito che difende i Marò ha la laurea finta. Luigi Di Stefano ammette che il titolo è “un vezzo”. Ha anche redatto per Casapound una simpatica perizia sul caso Ilva che conclude dicendo che ormai inquina pochissimo e non deve essere chiusa.
Una vicenda che bisognerebbe trattare con i guanti di velluto, diventa il palcoscenico per le buffonate dell’estrema destra. Il confronto in punta di diritto tra l’India e l’Italia su chi debba processare i nostri due soldati, accusati di aver ucciso due pescatori indiani mentre facevano da scorta armata a bordo di una petroliera, è molto delicato dal punto di vista di Roma, che non è partita con le carte migliori in mano. Non giova quindi l’attivismo di qualche sventurato in cerca di visibilità che si è esibito sul caso, da La Russa in giù.
LE BUFALE – Ancora meno giova che siano accreditate patacche e che siano buttate in mezzo al dibattito pubblico sulla faccenda eccitando gli animi. Dibattito che ha visto volare di tutto, tanto che dall’ultimo tentativo di mettere ordine tra fantasie e realtà è nato il bell’articolo di Matteo Miavaldi sul sito dei Wu Ming, dove ha animato una discussione e una serie di approfondimenti che alla fine hanno reso perfettamente la misura dello stato di certa informazione.
GLI INDIANI CATTIVI E CASAPOUND – Da parte italiana, oltre ad alcune misuratissime dichiarazioni dei nostri diplomatici e una generale solidarietà per i nostri soldati, è emersa “a loro favore” una perizia prodotta da un esperto, che senza mezza parole accusa gli indiani di cialtroneria nelle indagini, se non di malafede. Luigi Di Stefano, l’autore, ha esposto il suo lavoro in Parlamento ed è stato citato con ovvio entusiasmo da Libero e Il Giornale (al solito, sobrio nel titolo come nei commenti dei lettori), ma anche da Il Sole 24 Ore lo ha presentato convinto ai propri lettori, illustrando le sue tesi con la massima serietà e senza tradire il minimo dubbio.
EIA EIA – Luigi Di Stefano è anche figura di spicco di Casapound, tanto da essere il padre diSimone Di Stefano, candidato della formazione destra alle prossime regionali laziali. Ma firma anche come “Dr. Luigi Di Stefano (E.E)” un progetto per una “Proposta per la realizzazione di Case Popolari nell’ambito del Piano Casa della Regione Lazio”. Un bizzarro progetto “ecologico” che replica in pianta il disegno del simbolo di Casapound, una buffonata come non se ne vedevano da quando il sindaco leghista marchiò con il sole delle Alpi una scuola, ma almeno questo fa ridere.
LA PATACCA – Perito di parte (per Itavia) ai tempi di Ustica, Di Stefano ha accrocchiato quella che ha definito la sua “analisi tecnica” usando riprese dei TG, voci di seconda mano e oltre, e un’evidente voglia di pervenire alle conclusioni alle quali è pervenuto. Un’analisi ridicolizzata nei commenti su Giap, ma che stranamente è stata presa per buona, in tutto o in qualche sua parte, da più di un quotidiano nazionale e da diverse trasmissioni televisive, che si sono guardate bene dal segnalare la sua affiliazione politica.
ANCHE LA LAUREA E’ UNA PATACCA – Tra le pieghe è anche saltato fuori che, quando l’autore della perizia si firma “Ing. Luigi Di Stefano”, millanta. La laurea che indica nel suo curriculum gli è stata conferita dalla Adam Smith University of America, un notissimo diplomificio che emette solo carta straccia, visto che nessuno dei “titoli” che distribuisce ha il minimo valore. Niente laurea, niente Dr., niente Ing.. Sull’Ing. o non Ing., Di Stefano, intervenuto nella discussione, aveva appena fatto in tempo a spiegare che è sì Ing., ma solo all’estero perché:
“La tesi di laurea è “Ipotesi di piano energetico nazionale basato sulla riforma del sistema elettrico, con l’inserimento di significative aliquote di produzione di energia elettrica da fonti non fossili”, e la qualifica è “Environmental Engineering”. Per iscrivermi all’Albo dovrei fare la conversione della laurea americana in Gran Bretagna e poi chiedere la conversione in Italia, ma proprio non mi interessa buttare un sacco di soldi”.
NON SI FA – Peccato, messo con le spalle al muro Di Stefano alla fine ha ammesso che il titolo è “un vezzo”. Anche se secondo la legge italiana in realtà si tratterebbe di un reato, almeno secondo l’antico art. 1 del D.Lgs 262 del 13 marzo 1958, che punisce “Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, della qualifica accademica di dottore compresa quella honoris causa, di qualifiche di carattere professionale e della qualifica di libero docente, ottenute…” fuori dalle modalità previste dalla legge. Un piccolo reato punito con un’ammenda modesta, ma prima di essere un reato, fregiarsi di titoli accademici abusivamente è tutto fuorché un vezzo, piuttosto un’azione riprovevole che non depone a favore di chi la compie.
ALTRE PATACCHE – Di Stefano ha anche redatto per Casapound una simpatica perizia sul caso Ilva che conclude dicendo che Ilva ormai inquina pochissimo e non deve essere chiusa, e per conto suo un’altra “analisi tecnica” su diversi elementi che lo portano a concludere che Berlusconi sia stato incastrato con gli scandali sessuali grazie a dei fotomontaggi. Non manca nemmeno l’analisi del pelo pubico dell’ex presidente della Repubblica Ceca Mirek Topolanek, ritratto nudo nella villa di Berlusconi. Secondo lui è falso come altre parti del corpo, secondo Topolanek quello era proprio lui.
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A QUALCUNO UN DUBBIO ERA VENUTO – A seguito della sua esposizione in parlamento, una pattuglia di deputati si era chiesta e aveva chiesto al ministro degli esteri quali fossero le qualifiche di Di Stefano e perché in parlamento di andato a parlare Di Stefano e non i due esperti balistici provenienti dai reparti delle investigazioni scientifiche dei carabinieri, il maggiore Paolo Fratini e il maggiore Luca Flebus, nominati dal nostro governo e che hanno seguito le perizie sul posto. A differenza di Di Stefano che come sappiamo a fatto tutto da casa e non è chiaro che titoli avesse per essere audito. Gli interpellanti hanno poi sollecitato risposta altre 5 volte, ma Giulio Terzi ha fatto orecchie da mercante. Anche per la Camera Di Stefano è un ingegnere.
GLI AMICI SI VEDONO NEL MOMENTO DEL BISOGNO – L’incontro alla Camera sarebbe partito la gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri”,animato Giorgio Prinzi e amministrato da Fernando Termentini, con appena 1.300 membri, ma evidentemente le aderenze giuste. Sia Prinzi che Termentini, un ex generale, sono intimamente legati agli ambienti della Difesa. Si è trattato precisamente di una “riunione” nella Sala delle Colonne, il pezzo forte della quale è stata la relazione di Di Stefano, che ai parlamentari ha raccontato le stesse balle che poi non è stato in grado di difendere nel corso della discussione su Giap, che ha abbandonato nonostante i ripetuti inviti ad esprimersi in libertà. Nonostante la colossale figuraccia, Trementini lo difende ancora a a spada tratta facendo finta che si tratti di solo di una polemica sui titoli e ribadisce la sua fiducia nel patchwork di tarocchi, ormai svelato, in maniera stentorea in un messaggio sul gruppo Facebook:
“… il sottoscritto non può che CONDIVIDERE SUL PIANO CONCETTUALE LE VALUTAZIONI TECNICHE DI LUIGI DI STEFANO SEPPURE NELLE MORE DELLA NON DISPONIBILITA’ DI ELEMENTI CERTI DI PROVA MAI PRODOTTI DALL’INDIA . Buon 2013 !
Fernando Termentini, secondo Amministratore del Gruppo di Facebook “Riportiamo a casa i militari prigionieri” (https://www.facebook.com/groups/337996802910475/ ):
“FONTI” DEL GENERE PROSPERANO- La macchina del fango in versione patriottica anche questa volta è stata alimentata dal solito sottobosco di mestatori , il gruppo che si batte per i marò ha ottenuto il bel risultato di sollevare un putiferio e diffondere propaganda malfatta, grazie anche alla complicità di qualcuno che nelle istituzioni e anche a quella di Terzi, che quella propaganda non ha smentito, ma semmai cavalcato rivolgendosi all’opinione pubblica italiana. Ma soprattutto è stata decisiva la complicità delle testate che hanno diffuso la patacca e in senso più ampio quella di un sistema ormai incapace, da anni, di farsi argine a millanterie e operazioni poco chiare. Questa storia non è diversa da quella del finto leader dei moderati musulmani italiani che per anni è stato preso per buono da parte dei media e delle istituzioni, anche quando era già chiaro che si trattasse di una macchietta. Questa storia dimostra che anche il governo dei tecnici non è immune dal collaborare con questo genere di personaggi, talenti multiformi che al governo e a buona parte de media riescono a vendere patacche malfatte che poi diventano quelle “verità” che in Italia siamo soliti chiamare depistaggi.
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Editoriale Infoaut del 21 dicembre: Il prezzo di due assassini
L’inchiesta di Matteo Miavaldi per wumingfoundation.com:
I DUE MARÒ: QUELLO CHE I MEDIA ITALIANI NON VI RACCONTANO
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