May ends in June
Il voto delle elezioni inglesi di ieri è lo scenario peggiore per Theresa May: un cosiddetto ‘hung Parliament‘ che non assicura alcun tipo di maggioranza assoluta ai Tories e mette in crisi la tenuta politica della leader conservatrice e la possibilità di una Hard Brexit condotta da uno UK solido.
May aveva chiamato le elezioni anticipate nonostante avesse un governo solido e una maggioranza adeguata per affrontare i prossimi tornanti della Gran Bretagna post 23-6-2016. Ma perde così la sua scommessa politica, consistente nell’accrescere i suoi numeri in Parlamento per negoziare il ritiro dall’Ue, da concludere entro 21 mesi, e imporre una svolta ancora più reazionaria e trumpiana al paese.
Di fatto May perde la maggioranza stessa e potrebbe formare un governo – molto molto instabile- solo in caso di accordo con gli Unionisti Nord-Irlandesi, vincitori di 10 seggi, che avrebbero uno straordinario potere di ricatto sull’esecutivo e hanno gia affermato di essere pronti a negoziare in caso di maggiore trasferimento di risorse verso Belfast.
Guadagna molti seggi il Partito Laburista di Corbyn, che va oltre le sue aspettative e si dice disponibile anche a formare un governo di minoranza. A essere importante è in questo caso soprattutto il travaso di voti verso i laburisti dallo Ukip che sparisce dalle cartine parlamentari a solo un anno dal suo trionfo. Perde invece, in un trend opposto a quello nazionale, lo Scottish National Party che però senza dubbio beneficia in termini complessivi dal calo dei Tories nel resto del paese.
Per la Gran Bretagna si apre così un periodo di instabilità e incertezza, dato che ogni possibilità di grande coalizione è stata rifiutata da Corbyn, che si alienerebbe così il consenso giovanile fortemente anti-conservatore che è stato altro elemento del successo dei Laburisti.
Sarà interessante valutare più avanti la risultante del voto sia in termini spaziali e geografici sia in di composizione sociale, comparando con il voto che sancì la Brexit, partendo dal nodo rilevante dei voti persi dall’Ukip rispetto al voto del 2015, che nell’ambito dei milioni sembrano essere passati al Labour.
Un aspetto che parrebbe relativizzare le ipotesi di un voto pro-Brexit basato su un ampio consenso a politiche razziste e xenofobe, facendo invece risaltare l’importanza della questione austerità nell’orientare il voto del Giugno scorso. Da questo punto di vista forse l’eguaglianza tra rifiuto dell’Unione Europea e fascismo strisciante andrebbe rimessa in discussione.
Senza dubbio questo voto non è prova di alcun supporto alla costruzione europea come già gli euro-entusiasti – anche inglesi come Miliband – provano a far passare unendo la vittoria di Macron al dato di ieri. E’ piuttosto uno stop dato alle politiche complessive dei Tories che si distinguono da quelle UE quanto ad austerity solo per applicazione territoriale.
Da sottolineare in ultimo come anche l’azione sul voto degli attentati di Londra e Manchester non abbia prodotto l’effetto di indirizzare il consenso emozionale verso i Tories: anche questo sarà un dato su cui necessariamente dovremo tornare.
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