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Media e polizia attaccano, Milano risponde

È stata una settimana molto intensa nei quartieri di Milano. Corvetto, Giambellino, Ticinese, San Siro. Il governatore della Lombardia Maroni ha trovato, di fronte a sé, una risposta che non si aspettava. Ciò che ha contraddistinto sette giorni di lotta strada per strada è stato proprio il livello di coinvolgimento delle famiglie sotto sfratto (la Regione ha annunciato duecento sfratti per “farla finita con l’abusivismo e ripristinare la legalità”): in interi quartieri si è diffuso un senso di intolleranza verso queste operazioni di polizia portate avanti con una brutalità consueta, ma che ha assunto l’aspetto di un attacco militare alle zone di resistenza quotidiana di decine di famiglie.

Oggi, al centro sociale Cox18, si è svolta un’assemblea partecipatissima (300 persone, gente accalcata dentro e fuori) che ha discusso a lungo sulle iniziative di risposta da mettere in campo all’attacco portato contro le situazioni di lotta che si muovono sul terreno dell’occipazione delle case e la resistenza agli sfratti. Tra queste,la proposta di una giornata di mobilitazione generale sull’abitare per sabato 6 dicembre, nel capoluogo lombardo. Un’ulteriore ipotesi, vedrebbe questa giornata seguita, domenica 7, da un’assemblea al mattino (sempre a Milano) e un’ulteriore mobilitazione contro la passerella politico-imprenditoriale-finanziaria della prima della Scala (sempre il 7 dicembre), cui sarà presente anche Renzi. Due giorni per esprimere, assieme alle tante famiglie occupanti e sfrattate presenti in assemblea, la rabbia che il piano sgomberi di Maroni (che sembra già corso ai ripari, iniziando a moderare i toni bellicosi di una settimana fa) ha provocato e continuerà a provocare. Nei prossimi giorni i comitati milanesi discuteranno queste proposta nelle loro assemblee.

Sul breve periodo si tenterà invece, a partire dalla settimana entrante, di coordinare sul territorio anche le risposte agli eventuali sgomberi. Una prima proposta concreta, assunta dall’assemblea, è quella di una giornata di lotta e mobilitazione diffusa nei quartieri in cui operano comitati anti-sfratto per gioved’ 27 novembre. Giovedì 4 dicembre si terrà un’altra giornata di iniziative coordinate nei diversi quartieri milanesi,

L’assemblea al Conchetta non ha mancato di elaborare un’analisi della situazione attuale, dove la battaglia contro l’art. 5 resta prioritaria intorno al problema casa, con l’opposizione alle politiche amministrative di stacchi di luce e altri servizi alle occupazioni, contro l’infamia dei sanitari divelti dalle amministrazioni negli appartamenti vuoti al fine da rendere impossibile la riappropriazione concreta delle case. L’assemblea (che si è aperta con la proiezione di un video-racconto della settimana che si è appena conclusa) ha anche rilanciato la partecipazione degli occupanti e delle famiglie sotto sfratto allo sciopero generale previsto per il 12 dicembre.

 

Media e polizia all’attacco

La celere si è mossa nella settimana passata, a Milano, con una certa decisione, gestendo la piazza senza esitare a colpire con violenza donne, uomini, bambini gettati fuori dalle loro case con i propri averi. I comandanti nella piazza si erano presentati fin dalle prime ore, il primo giorno, minacciando di morte gli sfrattati e solidali presenti: e alla fine il morto l’hanno ottenuto, un feto di sette mesi. Le manganellate sul corpo della madre incinta mercoledì, l’accertamento della tragedia venerdì mattina. Per tutto il giorno un rincorrersi di voci, poi la sera il corteo che è partito da via Gola ha urlato la propria rabbia attorno ai Navigli. Il commissariato di zona è stato bersagliato nella notte con pietre e petardi da un centinaio di persone.

I giornali hanno dedicato paginoni interi alla rabbia milanese di questi giorni, i telegiornali lunghi servizi. Un’attenzione mediatica che ha seguito passo passo l’evolversi della situazione, ma che in realtà era emersa già prima: diversi talk-show e trasmissioni televisive avevano inviato giornalisti a documentare (si fa per dire) il “problema” delle occupazioni connotandolo in senso allarmistico e cercando di fomentare l’astio dei senza casa che non hanno ancora occupato verso quelli che l’hanno già fatto, usando le liste dell’Aler come spada retorica nell’intento di contrapporre chi ha legalmente diritto alla casa da chi, legalmente, non ce l’ha.

Il discorso mediatico sull’emergenza abitativa milanese ha usato toni aspri, quasi rispondesse a una precisa strategia, funzionale al blocco di potere che governa l’Italia da un anno, che ha già saputo rispondere con il Piano Casa, in senso repressivo, alle pratiche di riappropriazione dei movimenti: un blocco che unisce il Pd di Renzi e ciò che resta dell’impero politico berlusconiano, associati nel comune interesse di mettere in atto la svolta ultraliberista e autoritaria della società italiana, con un effetto di altissima speculazione imprenditoriale e politica sugli effetti storico-economici della crisi. Un blocco di potere fondato da Renzi a Berlusconi sulla scienza dello spettacolo e radicato profondamente nel mondo giornalistico-mediatico della casta mainstream.

 

Medicina ufficiale e magistratura non saranno mai la nostra giustizia

Questo discorso si è imbattuto venerdì mattina nella morte prodotta da questi dispositivi speculativi, qui e ora, nelle strade della capitale economica italiana, per mano della polizia. La gestione della notizia è stata naturalmente oculata da parte dei media, e prima ancora delle autorità poliziesche e mediche (che, non dimentichiamolo, molto spesso mostrano un’intesa perfetta quando c’è da tutelare una piccola o grande ragion di stato). I medici che hanno constatato il decesso del bambino, ormai prossimo alla nascita, hanno diffuso la tesi che esso abbia avuto luogo indipendentemente dalle percosse subite dalla donna, precisando – in modo piuttosto sospetto – che la denuncia del fatto all’autorità giudiziaria era un mero “atto dovuto”. Questa la fretta, mostrata dal personale medico coinvolto, nell’assolvere moralmente la polizia. La questura si è di fatto chiusa nel silenzio, i pm incaricati hanno assicurato pronte indagini.

Cose che conosciamo alla perfezione; cose che hanno a che fare con il potere di chi ricopre ruoli che si interscambiano, dal poliziotto che può falsificare documenti o intimidire potenziali testimoni, ai medici di una clinica iper-tradizionalista come il Mangiagalli (massima concentrazione di antiabortisti a Milano e forte presenza del Movimento per la Vita), sempre pronti a colpevolizzare le donne che decidono di interrompere una gravidanza, ma che perdono tutta l’animosità della propria retorica sulla “vita” quando si deve coprire, con i sempre pieghevoli crismi della scienza di stato, un’interruzione di gravidanza non voluta, provocata dallo stato stesso.

I giornali ci raccontano che i pm lavoreranno alacremente sul caso, in modo indipendente. Eppure la magistratura non è un organo indipendente. Le procure non sono soltanto gli organi istituzionali all’opera tutto l’anno, all’offensiva dei comportamenti sociali devianti dalle regole imposte dalla classe proprietaria, delle categorie umane escluse dai diritti minimi (migranti), delle azioni politiche che sanno mettere in discussione l’esistente; esse sono anche – come i tribunali – il luogo, da sempre, della composizione degli interessi capitalistici del territorio (là dove questo o quel potentato economico può aver uno o più pm, o giudici, al proprio servizio), oltre che della governance giurisprudenziale delle contraddizioni che possono emergere in settori o rappresentanti delle istituzioni (e questo è senz’altro il caso).

La magistratura ci è quindi nemica: ricordiamolo sempre, non si tratta mai di distinguere tra pm “buoni” o “cattivi”. Nessun pubblico ministero potrà mai svolgere indagini indipendenti: non foss’altro perché è la sua polizia giudiziaria ad aver commesso il delitto che attraverso essa si dovrebbe appurare e punire, e perché il dettato giuridico cui pretende eventualmente di attenersi non è neutro, predisponendo procedure che di per sé consegnano alla storia sempre verità parziali (cioè di parte). Il giudizio sulla morte di Milano lo diamo quindi noi, qui e ora. Lo ha dato l’assemblea di oggi al Conchetta. Responsabile è il reparto celere, responsabile è la digos, responsabile è la questura. Loro hanno ordinato e messo in pratica la violenza. Che abbia prevalso il trauma fisico o psichico nel casuare questa tragedia, che abbia influito la salute di questa donna o lo stress a lei provocato da una vita tormentata dalle ingiustizie sociali e dalla repressione, sono dettagli insignificanti rispetto alla sostanza politica. Ognuno si prenda le proprie responsabilità.

Lasciamo che i giornalisti continuino le proprie insinuazioni sulla madre, sualla sua malafede o sulla sua vita turbolenta: cosa vale, per loro, la voce di una donna proletaria? Cosa vale la vita di un essere umano concepito e quasi nato dentro un’occupazione? Lasciamo che i magistrati seguano i propri riti separati e aridi, e lasciamo anche che gli avvocati svolgano il loro ruolo, che è necessario, ma che è sempre soltanto l’aspetto legale della questione, è sempre specifico, si situa giocoforza in un campo di rapporti definiti dalla controparte. I movimenti rivendicano giustamente la loro autonomia. Una simile autonomia vale anche rispetto a qualsiasi considerazione tecnica (anche sul piano legale) di fronte alla pratica e agli effetti dello scontro sociale. È un’autonomia politica che prevede il giudizio immediato e il giudizio di parte. È un’autonomia che diventa sociale quando riusciamo a propagare la giusta rabbia per la violenza e l’ingiustizia che noi non abbiamo scelto, ma che il nostro nemico non esita a diffondere nelle strade.

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