Non devianza, ma dignità!
Si sfrutta l’allarme tramite l’eco compiacente di giornali e sedicenti esperti, si creano fobie collettive a cui rispondere con repressione. Una mossa che ancora una volta però testimonia l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti dei fenomeni sociali: ovvero quello di negarne le determinanti, di intervenire muscolarmente, senza mai di analizzarne le cause sociali che vi sottostanno.
Non che questo ci stupisca. Ci stupisce però che molti dei commenti, anche “da sinistra”, rimuovano in maniera diversa ma egualmente sbagliata una dimensione complessiva di analisi. A noi pare che l’elemento della crisi, intesa come attacco forte alla qualità della vita, abbia scaturito dinamiche interessanti che si sono incarnate nell’episodio di venerdì 13. E abbia riportato alla luce, sebbene in forme contraddittorie, il tema dell’odio di classe.
Si, odio di classe, usiamo questa locuzione forte ma a nostro avviso sensata. E’ infatti evidente che non siamo di fronte a una normale rissa di quelle che capitano a decine. Anche perchè ad esempio non c’è un oggetto materiale del contendere: c’è invece uno status sociale, un rapporto sociale in ballo. Da conservare da una parte, e da distruggere dall’altra.
Se è vero che alcuni ragazzi urlavano ad altri “pezzente, se voglio faccio licenziare tuo padre” oppure sventolavano da lontano banconote da 50 euro con contorno di insulti razzisti…è assolutamente un comportamento legittimo, da parte di chi riceve certi insulti, quello di non abbassare la testa. E questo non è un comportamento che ricade nel sistema delle devianze sociali che fior di sociologi prezzolati hanno ritirato fuori per commentare l’accaduto.
Queste devianze sociali altro non sono, ancora una volta, che delle categorie dove racchiudere tutto quello che non è compatibile con la pace sociale assoluta. Pace che può essere turbata solamente da persone incapaci e immeritevoli di stare in questa società, non-persone, subumani come definiti dal rettore dell’università Dionigi.
Ci interessa poi esprimere una riflessione sul ruolo di diverse cosiddette agenzie di socializzazione in riferimento a questa vicenda. Sono ormai diversi anni che una concezione della scuola come luogo di ascensione sociale è stata spazzata via dalla riorganizzazione della struttura economica dettata dalla crisi. Questo porta a tramutare le scuole in luoghi centrali di dibattito, di produzione e riproduzione di queste linee divisorie, rendendo ancora più importante lo sforzo di chi fa politica dentro gli istituti di indirizzare queste pulsioni.
Ciò in un processo in cui la frustrazione legittima di chi vede davanti a sè chiudersi le porte, si trasforma in rabbia nel momento in cui coloro i quali quelle porte continuano ad averle aperte scagliano la propria violenza di classe nei confronti dei primi, stigmatizzandoli sui terreni del reddito, della razza, e così via..lo stesso nome BoloFeccia non è certamente amato dai soggetti inscritti in questo gruppo, che nelle discussioni dentro e fuori le scuole, portate avanti da migliaia di studenti in questi giorni, hanno rifiutato un nome così spregiativo..
Anche sul tema degli operatori sociali si è discusso molto in diversi articoli e prese di posizione, e anche qui vorremmo porre qualche riflessione. Nessuno qui sottovaluta l’importante lavoro che su molteplici e complicati terreni è portato avanti da questo soggetto, sempre più vessato dai tagli governativi. Ma da qui a calibrare la questione sul tema “ci vogliono più fondi per gli operatori sociali al fine di evitare queste situazioni” ce ne corre. E bisogna stare davvero attenti, visto che – non a caso – ad invocare i Servizi Sociali in chiave pacificatrice è stata proprio l’assessore Frascaroli.
A noi quello che interessa è capire se questo genuino odio verso chi rappresenta il sistema di ricatto e di blocco sociale può indirizzarsi verso i bersagli giusti, verso i padroni del vapore, verso chi è responsabile di questa ristrutturazione sociale fatta di killeraggi in serie sul tema del reddito e della dignità.
Non abbiamo bisogno di retoriche assistenzialiste verso chi non ha bisogno di assistenza! Dobbiamo invece chiederci, attraverso la pratica della conricerca, come camminare insieme verso un percorso di lotta che sappia muovere a partire del riconoscimento di una subalternità comune agli interessi dei pochi che gestiscono questo sistema vessatorio.
Quando le prime esperienze di lotta del mondo della logistica a Bologna prendevano forma, era proprio il tema della dignità quello più interessante da inchiestare. Lotte sul salario erano, certo: ma vi si vedeva dentro anche l’istanza di ribellione verso le continue vessazioni che un sistema di caporalato infame come quello delle cooperative agiva nei confronti dei facchini.
Senza agitare paralleli troppo stretti, è però in questo elemento che ravvisiamo la cosa più interessante di questa vicenda. Un’ennesima conferma che esistono comportamenti sociali contro, che sebbene non prendano ancora direzioni capaci di mettere davvero a rischio la stabilità di questa infrastruttura sociale, iniziano ad agitare il vessillo della dignità nel dichiararsi indisponibili a subirne ancora le conseguenze.
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