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Non è un Salvinigheddon

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Bando alle ciance. Tocca essere sinceri nell’analizzare questa tornata elettorale senza cercare facili consolazioni, ma guardando in faccia la realtà e cercando di comprenderla.

Baloccarsi dell’astensione, tutto sommato stabile, o tentare astruse geografie elettorali dell’opposizione al salvinismo non può che essere illusorio.

Sicuramente queste elezioni europee non “pesano” quanto delle politiche e evidentemente le strategie di voto sono differenti, ma bisogna prendere atto del significato profondo di questo voto che si disloca su due piani: in primo luogo è un voto per “fare male” all’Europa, in secondo luogo è stato quasi un referendum sull’operato di Salvini. Una conferma di un mandato popolare, momentaneo e transitorio, che può essere ritirato, ma per il momento è saldo.

Nei nostri ambienti circola l’idea di una similitudine tra Renzi e Salvini in termini di parabola elettorale, ma ci si dimentica una circostanza di fondo: mentre Renzi parlava a una precisa base sociale che era via via sempre più ristretta, Salvini dà alcune risposte, falsificate, ma efficaci per il momento, al bisogno generalizzato di protezione che c’è nel paese.

Entriamo nel merito.
Di fatto l’unico progetto di rimessa in discussione degli assetti europei era quello, confusionario e contraddittorio quanto si vuole, portato avanti dai partiti sovranisti e organizzato da Salvini. Il PD e Forza Italia si sono posti nella loro abituale collocazione, mentre il 5stelle manca quasi completamente di un progetto politico di respiro europeo, sia in termini di proposta, altalenante e mediata, sia in termini di organizzazione, in pratica inesistente. Perché qualcuno avrebbe dovuto mandarli all’europarlamento?

Fin qui niente di nuovo, ma sarebbe illusorio pensare che queste elezioni abbiano valenza solo europea. Vanno integrate nel quadro internazionale e ricondotte anche alle questioni interne del nostro paese.
Nelle scorse settimane si era creata l’illusione complessiva, che non ci aveva lasciato affatto immuni, che il M5S fosse in recupero sulla Lega, che la battaglia politica a tutto tondo, e percussiva, di Di Maio avrebbe sortito qualche effetto, se non nel raccogliere i voti degli antileghisti, per lo meno nell’incrinare il consenso del Capitone. Così non è stato, anzi. Nonostante l’evidente nervosismo Salvini ha in un sol colpo chiarito chi comanda nel governo e ristabilito il comodo ordine naturale per cui l’avversario diretto è il PD di Zingaretti, perfetto bradipo avvinghiato al ramoscello.

Se da un lato le mobilitazioni antifasciste ed antirazziste delle ultime settimane hanno dimostrato la riemersione di una soggettività giovanile indisponibile al restringimento delle libertà proprio del securitarismo leghista, dall’altro lato hanno deformato il campo ottico, lasciando immaginare un inizio della fine di Salvini. Ma questi sono episodi che nel piano complessivo della politica e del consenso contano poco, spesso utilizzati da sinistra per tentare un recupero e un governo dei rapporti di forza. Già nella scorsa occasione (le elezioni politiche) si era dimostrato fallimentare urlare all’emergenza fascista e aveva se mai rafforzato la Lega. Tanto più in questa mandata, in cui il secondo Matteo si è trasformato in un moderato a chiacchiere, ha soltanto evidenziato una disconnessione.

Non è quello dell’antifascismo di per sé il campo del contendere su cui si può formare un’opposizione, ma soprattutto i codici super usurati della sinistra non generano consenso, persino quando agitati dai grillini in una nuova chiave spolitica e mediatrice, dei ragionevoli.

Il primo fatto che rimane è che almeno al Nord gran parte del voto operaio e proletario dopo essere transitato dai cinque stelle si è spostato su un nuovo vettore. Una tendenza dettata dall’inconseguenza dei grillini, ma non solo, anche da una volontà di ricontrattare sul piano europeo e di mantenere una stabilità interna. Un bisogno di protezione che per i (proletari) garantiti significa di non volere vedere i propri soldi delle tasse spesi nel reddito di cittadinanza, e in quelli non garantiti di non dover competere al ribasso con i migranti, in una millimetrata e frammentata guerra tra poveri. Una fusione a freddo piuttosto strana, ma per il momento efficace.

Il secondo fatto è una certa resistività del Sud Italia a Salvini, di cui però non bisogna eccessivamente bearsi, come se fosse un dato invariabile. Sicuramente la difficoltà del progetto salviniano nel conciliare le pulsioni autonomiste della base storica con il tentativo di rafforzarsi al sud rimane uno dei più grandi scogli e dei più evidenti limiti. Nonostante questo non c’è da illudersi, una base sociale di riferimento si sta delineando anche al Sud con medie che sfiorano il 20% e performance particolarmente significative nei territori dove la questione migranti assume più peso. Sarà da vedere se Salvini sarà in grado di trovare una sintesi assai difficile e un’eventuale contropartita alla autonomia differenziata, per il momento ci pensano i grillini a bilanciare il governo.

Sicuramente l’astensione ha punito brutalmente i Cinquestelle, specie a Meridione, troppe promesse mancate, troppi territori delusi. Ma nell’economia complessiva a farsi avanti è per ora un nuovo keynesismo “crescitista” nazionale con tratti corporativi che frammentano e organizzano i diversi settori di classe. Misurata la proposta riformista dei grillini adesso tocca ad altri.
Anche qui, però, non bisogna scandalizzarsi o tentare di rimuovere il dato.

Come lo stesso Salvini, con sbruffonaggine, ha dichiarato subito dopo la vittoria il quadro economico – politico che si prospetta è tutt’altro che liscio, sia sui piani superiori, europei, dove a farsi spazio come novità tendenziale è la crescita dei partiti verdi e dunque di un rilancio capitalistico in questa chiave, potenzialmente da scaricarsi ancora sul Sud del continente, e dove la competizione intercapitalista ristruttura gli assetti geopolitici pre-esistenti, sia sui piani più bassi, là dove comporre organicamente i diversi interessi in ballo nella società diventa sempre più difficile senza una grande promessa di medio periodo. In questo senso è necessario mantenere sì la calma e capire quale può essere una traiettoria anticapitalista che attraversi le contraddizioni che si approssimano.

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