Europee 2019: vince Salvini, crollo 5S. Ma vota uno su due…
A margine del voto europeo, analisi dei dati e qualche considerazione politica.
L’esito delle elezioni europee restituisce per quanto riguarda l’ambito italiano il più grande successo elettorale della storia della Lega. Il partito di Salvini supera ampiamente il 30%, diventando così principale formazione nazionale e all’interno del governo gialloverde. Si registra infatti dall’altro lato il crollo dei 5 Stelle, che si attestano intorno al 17%, facendosi superare di gran lunga dal Partito Democratico, che arriva quasi al 24%.
Si crea inoltre in ipotetiche elezioni politiche (ma cambierebbero diversi fattori) una maggioranza sovranista, grazie al fatto che la Meloni con Fratelli d’Italia sfonda il muro del 6%. Maggioranza che potrebbe in teoria ancora allargarsi, ma difficilmente succederà, a Forza Italia, che arriva al 8,5%. Ancora una volta non pervenuti partiti di sinistra più o meno “radicale”, si segnala solo al di là dei piccoli numeri il 2% dei Verdi che si lega in ad una tendenza all’aumento di queste forze politiche in tutta Europa (circa 70 seggi). Poco o niente per partiti neofascisti, ma come detto da Fiore in un recente comizio elettorale, le loro idee con Salvini sono già al governo..
Che succede ora? Difficilmente quanto successo non avrà ripercussioni sulla politica istituzionale. Complicato dire però se ciò porterà a una caduta immediata dell’esecutivo, dato che come del resto è storica prassi, il voto europeo ha risentito di una astensione molto forte (quasi uno su due non ha votato). Un dato che soprattutto al sud ha penalizzato il Movimento 5 stelle, il cui risultato è sicuramente falsato rispetto a quello che sarebbe probabilmente in una elezione per le Politiche nazionali. Il 5 Stelle rimane primo partito al sud nonostante la grande crescita della Lega anche al Meridione. Detto questo, ciò non vuol dire che un voto nazionale il 5 Stelle potrebbero raggiungere la Lega, anzi. Il dato di 6 milioni di voti persi in un colpo solo in 14 mesi è assolutamente shock.E permette anche di capire quanto l’astensione e il non-voto abbiano determinato la nostra visione delle percentuali, influenzando anche il “trionfo” di Salvini e la “rinascita” del PD.
Piuttosto quello che sembra è che con questa elezione il discorso grillino si sia plasticamente sgretolato, tra la mancata realizzazione di una promessa elettorale di qua, la delusione sul reddito di cittadinanza di là, la difesa di Salvini di su e un vero e proprio tradimento sulle questioni ambientali e della difesa dei territori di giù. Salvini potrebbe essere dunque tentato di far cadere il governo a breve. Sarebbe un rischio, ma è anche una ipotesi realistica. Altra idea per il ducetto padano potrebbe essere cercare di capitalizzare il più possibile questo successo minacciando i grillini di far cadere il governo quando vuole, e spingendo politicamente sui suoi cavalli di battaglia. Ovvero la questione della flat tax, e quindi della redistribuzione verso l’alto della ricchezza. Spingere sull’approvazione del decreto sicurezza bis. Il tema delle autonomie regionali. Ma anche il dossier TAV, che a questo punto diventa di nuovo argomento di scontro (la Lega ha preso più voti dei 5Stelle a Chiomonte..). Ciò a maggior ragione per il fatto che il centro-destra vincerà probabilmente, a traino leghista, le elezioni regionali in Piemonte.
Il PD di Zingaretti ottiene un voto in teoria positivo, in quanto riesce tornare seconda forza nazionale superando i 5 stelle. Eppure va detto che questo è un voto che tradizionalmente premia i partiti con elettorati europeisti, e quindi i voti generali del Partito Democratico sono probabilmente questi. Tralaltro neanche gli stessi ottenuti nel 2018 alle ultime elezioni, bensì 200.000 in meno. Vale dunque anche sulla percentuale piddina il discorso sul voto “drogato” dei cinquestelle. Finora il partito di Zingaretti si è dimostrato davvero troppo timido rispetto ai roboanti toni adottati per smarcarsi dalla precedente gestione renziana. Sembra decisamente fuori sincrono con la gran parte degli sfruttati del paese, e si afferma come partito “delle ZTL”, ovvero dei centri urbani.
Infatti, altro elemento da tenere in considerazione è la riproposizione della frattura centro-periferia. Se la Lega ha guadagnato in un anno 3 milioni di voti, lo ha fatto riconfermandosi forza in grado di drenare consensi soprattutto in periferia e nei centri medio-piccoli. Nelle grandi città, infatti, al nord vince il PD (per esempio a Milano, a Firenze, a Bologna) mentre al sud il 5stelle è ancora primo partito seppure in calo (Napoli e Bari). Di fatto si ripropone quella separazione tra centri e periferie che a livello globale sta premiando partiti abili nel giocare, spesso da posizioni di destra sovranista, su quelle che sono le diseguaglianze di classe, scagliandone le vittime contro falsi nemici.
Ad esempio, l’immigrato. La vittoria leghista a Riace e Lampedusa è un segnale della presa del discorso salviniano come dello stato comatoso di qualsivoglia alternativa partitica politica sulla questione. Da questo punto di vista è evidente che il tentativo grillino di recuperare, attraverso la politica del reddito di cittadinanza, alcune fasce di queste aree geografiche alla destra sovranista è evidentemente fallito. L’ennesima sconfitta interna ad un crollo pentastellato verticale quanto lo era stata la sua ascesa, solo un anno fa. E che lascia dietro sè un enorme spazio politico da conquistare.
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