Ormai ci alziamo e ce ne andiamo: una scena per cui darei l’80% della mia libreria femminista
Riproponiamo di seguito la traduzione italiana del testo “Désormais on se lève et on se barre” di Virginie Despentes, in merito alla serata del Premio César, quando in reazione all’attribuzione del premio per la miglior regia a Roman Polanski (figura emblematica delle violenze sessuali e degli squilibri di potere che dilagano nell’industria cinematografica) l’attrice Adèle Haenel (la quale ha a sua volta denunciato gli abusi subiti in età pre-adolescenziale da parte del regista Christophe Ruggia) si è alzata ed ha lasciato la sala urlando “Vergogna”, seguita poi da diverse persone. Lo stesso Polanski non ha partecipato alla cerimonia, assediata da diversi collettivi femministe che contestavano la candidatura del suo film in ben 12 categorie, in un clima che ha spaccato in due l’intera società francese e ha portato alla dimissione della direzione dei Césars. La gestione del premio è stata definita opaca ed elitaria da più di quattrocento esponenti e professionisti del cinema francese. La sera stessa, dopo che il presidio femminista è stato sciolto con la forza dalla polizia, un gruppo di femministe si è spostato sugli Champs Élysées – la zona simbolo della richezza parigina dove si concentrano da più di un anno i momenti di massima tensione tra Gilets Jaunes e polizia – per un’azione di contestazione al ristorante di lusso le Matignon, dove il giorno prima era stato impedito di entrare a tre donne che portavano il velo. Il giorno successivo il primo ministro Philippe ha comunicato l’applicazione della 49.3, articolo costituzione che prevede di approvare un disegno di legge senza voto parlamentare (in questo caso la riforma pensionistica), salvo una mozione di censura firmata da almeno 58 deputati riesca ad opporsi facendo cadere il governo. Una concentrazione di eventi di cui la scrittrice Virginie Despentes riesce con intransigenza ad esplicitare i legami: un testo lungo, ma che non può che assumere un significato ancora più forte alle porte dell’8 marzo.
Nota sulla traduzione: Il testo francese beneficia della persona senza genere “on”, utilizzabile in numerosi scenari in cui nella lingua italiano si ricorre alla prima persona plurale; abbiamo dunque valutato nella traduzione di accordare al femminile alcuni aggettivi e participi in prima persona plurale.
Comincerò così: potete stare tranquilli, oh potenti, capi, pezzi grossi. Perché fa male. Per quanto ce lo potessimo aspettare, per quanto vi conosciamo, per quanto il vostro strapotere ci sia già stato schiaffato in faccia decine e decine di volte, fa sempre male. Tutto il weekend ad ascoltarvi piagnucolare e lamentarvi di essere costretti a far approvare le vostre leggi a colpi di 49.3, di non poter celebrare Polanski tranquillamente e di aver visto la vostra festicciola rovinata. Ma dietro tutti questi piagnistei non preoccupatevi, vi sentiamo gioire perché sapete di essere i veri padroni, i veri boss, e il messaggio passa forte e chiaro: questa nozione di consenso non avete proprio alcuna intenzione di farla passare. D’altronde dove starebbe il bello di far parte del clan dei potenti, se si dovesse tenere conto del consenso dei dominati? Non sono certamente l’unica ad aver voluto piangere di rabbia e di impotenza dopo la vostra dimostrazione di forza, di certo non la sola ad essersi sentita infangata dallo spettacolo della vostra orgia d’impunità.
Non c’è niente di sorprendente nel fatto che l’accademia dei Césars abbia eletto Roman Polanski miglior regista 2020. È grottesco, insultante, ignobile, ma per niente sorprendente. Quando dai un budget di 25 milioni di euro ad un tizio perché ne faccia un telefilm, il messaggio è insito nel budget. Se l’aumento dell’antisemitismo interessa o meno al cinema francese, lo possiamo vedere. Invece la voce degli oppressi che si assumono in prima persona la narrazione del proprio calvario, questo sì che vi dà alla testa. Perciò quando avete sentito parlare del sottile paragone tra le pene di un cineasta silenziato da centinaia di femministe davanti a tre cinema e Dreyfus, vittima dell’antisemitismo francese alla fine del secolo scorso, non vi è sembrato vero di poter cogliere l’occasione. Venticinque milione per questo paragone. Ottimo. Un applauso agli investitori, dato che per mettere insieme un tale budget tutti, ma proprio tutti, sono dovuti stare al gioco: Gaumont Distribution, sovvenzioni fiscali [NDT Ogni produzione cinematografica francese che avviene sul territorio nazionale beneficia di un credito d’imposta del 30%] , France 2, France 3, OCS, Canal +, la RAI… mani ai portafogli e fondo alla generosità, per una volta! Serrate i ranghi e difendete uno dei vostri. Gli strapotenti si preparano a difendere le loro prerogative: tutto ciò rientra nella vostra eleganza e lo stupro è d’altronde elemento fondatore del vostro stile. La legge vi copre, i tribunali sono il vostro parco giochi, i media vi appartengono. Ed è proprio a questo che serve la potenza delle vostre grandi fortune: avere il controllo dei corpi dichiarati subalterni. I corpi che si tacciono, che non possono raccontare la storia dal loro punto di vista. È giunta l’ora in cui i ricchi rendano ancora più chiaro il messaggio: ormai il rispetto che pretendono da noi include i loro cazzi macchiati del sangue e della merda dei bambini che violentano. Che sia all’Assemblea nazionale o nel mondo della cultura, non avete neanche più la decenza di nascondervi e di dissimulare l’imbarazzo. Esigete rispetto totale e costante. Vale per lo stupro, per gli abusi commessi dalla vostra polizia, per i Césars, per la vostra riforma delle pensioni. Esigere il silenzio delle vittime è la vostra politica. Fa parte del gioco e, se si rende necessario farci arrivare il messaggio attraverso il terrore, non ci trovate niente di sconveniente. Il vostro morboso godimento viene prima di tutto. Ed attorno a voi sopportate solo i valletti più servili. Non c’è niente di sorprendente nel fatto che abbiamo incoronato Polanski: in queste cerimonie ciò che viene realmente celebrato è sempre il denaro, del cinema non gliene frega un cazzo a nessuno. Del pubblico tanto meno. È la pura forza della vostra ricchezza che vi ritrovate ad adulare. È l’enorme budget che gli avete accordato in segno di supporto che acclamate – e di riflesso è il vostro potere che noi dobbiamo rispettare.
Sarebbe inutile e fuori luogo, in un commento alla cerimonia in questione, differenziare i corpi degli uomini cis e quelli delle donne cis. Non vi vedo alcuna differenza di comportamento. È chiaro che i premi più importanti restano esclusiva degli uomini, perché il messaggio di fondo è che niente deve cambiare. Le cose vanno benissimo così come sono. Quando Foresti [NDT Attrice e comica presentatrice dell’edizione 2020 dei Césars, che si è rifiutata di tornare sul palco ed ha reagito alla premiazione di Polanski con un post Instagram] osa lasciare la festicciola e dichiararsi “nauseata”, non lo fa in quanto donna, ma in quanto individuo che si assume il rischio di mettersi contro tutta la propria categoria professionale. Lo ha fatto in quanto individuo non del tutto assoggettato all’industria cinematografica, cosciente che non siete abbastanza potenti da svuotare le sale di ogni cinema. È la sola che ha osato fare una battuta sull’elefante nella stanza, tutti gli altri sono stati zitti. Non una parola su Polanski, non una su Adèle Haenel. Ci si conosce personalmente in questo ambiente, tutti sappiamo quali sono le parole d’ordine e i codici di comportamento. Sono mesi che siete innervositi da una parte di pubblico che alza la voce, sono mesi che penate perché Adèle Haenel ha preso la parola per raccontare la propria versione della sua infanzia da attrice.
E dunque tutti i corpi che se ne stavano seduti in quella sala erano chiamati ad adempire la medesima funzione: verificare il potere assoluto dei potenti. Oh se ai potenti piacciono gli stupratori. O meglio, gli piacciono gli stupratori loro simili, coloro che sono altrettanto potenti. E non è che li apprezzano per il loro talento e nonostante gli stupri. No, gli sono riconosciuti talento e stile proprio in quanto stupratori. È questo il loro punto forte. Il coraggio di rivendicare la morbosità del loro godimento, la loro schifosa e sistematica pulsione a distruggere l’altro, anzi a distruggere tutto ciò che toccano se è per questo. Il vostro piacere sta nella predazione, è la sola marca stilistica che potete concepire. Siete estremamente consapevoli di cosa fate quando difendete Polanski: pretendete che la nostra ammirazione si prostri fin ai piedi dei vostri crimini. È per effetto di questa pretesa che in quella cerimonia tutti i corpi presenti sono sottomessi alla stessa legge del silenzio. Si parla tanto di politically correct e di social network, come se questa omertà fosse una novità e fosse tutta colpa delle femministe, quando sono decenni che le cose vanno così: durante le cerimonie legate al cinema francese non vola una mosca che possa urtare la suscettibilità dei grandi capi. Così tutti si tacciono e sorridono. Se lo stupratore di bambini fosse un uomo delle pulizie, nessuna pietà: polizia, prigione, dichiarazioni tonanti, difesa della vittima e condanna collettiva. Ma se lo stupratore è un potente, rispetto e solidarietà. Non bisogna mai parlare in pubblico di ciò che succede durante i provini, tanto meno di quello che succede durante le preparazioni, le riprese e i tour di promozione. Se ne parla, lo si sa. Tutti lo sanno. Ma la legge del silenzio prevale sempre. E tutto il personale viene selezionato al fine di rispettare tale consegna.
Nonostante si sappia tutto ciò da anni, la verità è che ci sorprendiamo sempre davanti alla presunzione del potere. Ed è proprio questo che è spettacolare: funziona ogni volta, per ogni vostra porcheria. Rimane umiliante vedere i vari partecipanti succedersi sul pulpito, che sia per annunciare o per ricevere il premio. È inevitabile identificarsi – non solo la sottoscritta che fa effettivamente parte di questa cerchia, ma qualsiasi spettatore si identifica e si sentirà umiliato per procura. Tutto quel silenzio, tutta quella sottomissione, tutta quella premura nello schiavizzarsi. È in questo che ci riconosciamo. E ci sentiamo morire. Perché alla fine della fiera sappiamo che lavoriamo tutte nella stessa merda. Ci sentiamo umiliate per procura quando li vediamo starsene zitti nonostante sappiano che, se Portait de la jeune fille en feu [NDT Film nominato ai Césars di cui è attrice protagonista Adèle Haenel] non riceverà alcun premio importante, è solamente perché Adèle Haenel ha osato prendere parola. Si tratta dunque di far capire alle vittime che potrebbero ancora avere per la testa l’idea di raccontare le loro esperienze, che farebbero meglio a pensarci ancora un po’ prima di rompere la regola del silenzio. Ci sentiamo umiliate per procura quando vediamo che vi permettete di invitare due registe che non hanno mai ricevuto – e probabilmente mai riceveranno – alcun premio per la direzione di un film, solamente per far loro consegnare il premio proprio a Roman Polanski. Proprio a lui! Che schiaffo in faccia. Non vi vergognate davvero di niente. Venticinque milioni, equivale a quattordici volte il budget de Les Misérables, e sto stronzo non si degna neanche di piazzarsi nella classifica del botteghino dei cinque film più visti nell’anno. E voi pensate bene di ricompensarlo. E siete estremamente consapevoli che l’umiliazione subita da tutta una parte del pubblico ripercuoterà i suoi effetti fino alla consegna del premio successivo, assegnato a Les Misérables. Siete consapevoli che quando fate salire sul palco i corpi più vulnerabili in sala – i corpi di coloro che rischiano la pelle ad ogni controllo di polizia – possiamo tutti vedere che, nonostante l’assenza di donne tra di loro, hanno con sé l’intelligenza per riconoscere fino a che punto la situazione dei quartieri periferici da cui provengono e l’impunità degli stupratori osannati durante la serata siano strettamente legate. Le registe che si trovano ad assegnare il premio simbolo della vostra impunità, i registi il cui premio è sporcato dalla vostra ignominia: è la stessa lotta. Gli uni e le altre sanno che in quanto dipendenti nell’industria cinematografica, se un domani vogliono continuare a lavorare, devono tacere. Non una battuta, non una frecciatina. Ecco cos’è lo spettacolo dei Césars. E le coincidenze vogliono che il messaggio funzioni per tutte le testate: tre mesi di sciopero per protestare contro la riforma delle pensioni che non vogliamo e che voi invece volete far passare con la forza, il messaggio viene dagli stessi mittenti ed è diretto allo stesso popolo: “Zittitevi, chiudete quelle cazzo di bocche, il vostro consenso ve lo mettete su per il culo e vedete bene di sorridere quando ci incrociate, perché noi siamo onnipotenti, abbiamo i soldi e vi comandiamo”.
È per questo che quando Adèle Haenel si è alzata, era l’immagine di un sacrilegio vivente. Una lavoratrice recalcitrante, che non si sforza di sorridere quando viene infangata in pubblico, che non si sforza di applaudire allo spettacolo della sua stessa umiliazione. Adèle si alza esattamente come si alzò un’altra volta per dire la sua sulla storia di un certo regista e della sua attrice adolescente, per dire come lei l’aveva vissuta, come se l’era portata dietro e cucita sulla pelle. Perché potete metterla giù come volete, la vostra cazzata della separazione tra l’uomo e l’artista – tutte le vittime di stupro da parte di artisti sanno bene che non c’è alcuna divisione miracolosa tra il corpo violentato e il corpo creatore. Ci portiamo sempre dietro tutto quello che siamo. Venitemi a spiegare come dovrei fare per togliermi di dosso la ragazza violentata che è in me prima di entrare in ufficio e mettermi a scrivere. Banda di buffoni.
Adèle si alza e alza i tacchi. Questo 28 febbraio non abbiamo scoperto granché di nuovo sul cinema francese. Ma abbiamo piuttosto imparato come portare un abito da sera: come una guerriera. Come camminare su dei tacchi alti: come se stessimo andando ad abbattere l’intero palazzo. Come farlo con la schiena dritta, il collo irrigidito dalla rabbia e le spalle larghe. La più bella immagine in 45 anni di cerimonie: Adèle Haenel che scende le scale per andarsene applaudendovi e il resto sappiamo com’è andata, anche qualcun altro si rompe e vi manda a fanculo. Darei l’80% della mia biblioteca femminista per questa immagine. Per questa lezione! Adèle, non so se ti guardo in modo maschilista o femminista, so solo che non faccio che guardarti e riguardarti con adorazione sul telefono. Il tuo corpo, i tuoi occhi, la tua schiena, la tua voce, i tuoi gesti, tutto dice: “Sì, siamo le puttane, le umiliate. Sì, dovremmo solo starcene zitte e ingoiare, voi siete i capi, detenete il potere e l’arroganza che lo accompagna, ma non ce ne staremo sedute senza dire niente. Non avrete il nostro rispetto. Ci siamo rotte. Continuate pure con le vostre cazzate, ma da soli. Celebratevi, umiliatevi gli un gli altri, uccidete, stuprate, sfruttate, distruggete tutto quello che vi passa per mano. Noi ci alziamo e ce ne andiamo”. È forse una delle immagini annunciatrici dei giorni che verranno. La differenza non sta tra uomini e donne, ma tra dominati e dominanti, tra coloro che intendono appropriarsi della narrazione altrui e imporre le loro decisioni e coloro che si alzeranno e se ne andranno gridando. È la sola risposta possibile alle vostre politiche. D’ora in poi, quando superate la linea, ci alziamo, ce ne andiamo, gridiamo, vi insultiamo e, anche se stiamo in basso, anche se siamo coloro a cui il vostro potere di merda viene sbattuto in faccia, vi disprezziamo e vi schifiamo. Non portiamo alcun rispetto per la vostra pagliacciata di rispettabilità. Il vostro mondo fa vomitare. Il vostro amore più intenso è perverso. Il vostro potere è spettrale. Siete una banda di imbecilli funesti. Il mondo che avete creato per esserne re e despoti è irrespirabile. Ci alziamo e ce ne andiamo. È finita. Ci alziamo. Ce ne andiamo. Con tutta la voce che abbiamo. Vaffanculo.
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