Pandemia e spazi sociali: il cambiamento del S.A. Newroz
Sabato 29 maggio lo Spazio Antagonista Newroz ha aperto nuovamente le sue porte per una serata di socialità in occasione dell’iniziativa organizzata, nel parco limitrofo al nostro spazio sociale, dalla rete NonUnaDiMeno che discuterà dell’arrivo della carovana zapatista in Italia. Un evento piccolo quanto semplice come un apericena è però per noi l’occasione per condividere le riflessioni che hanno preso forma durante questo anno pandemico e che si sono condensati adesso in merito alla domanda “quale riapertura?”. Per rispondere a questo quesito è utile ripercorrere le dinamiche che si sono sviluppate nel nostro spazio di via garibaldi 72 lungo gli ultimi sei mesi, dai tempi della “zona rossa” fino a quella attuale del “rischio calcolato” e di un nuovo “liberi tutti” spinto dal governo Draghi.
Panta rei (tutto scorre)
Da settembre 2020 la seconda ondata di epidemia è stata affrontata con una discussione, che ha valutato linee guida collettive per prevenire contagi e focolai di covid, in relazione con lo scenario politico complessivo in cui la pandemia si è inserita. Non solo le cause del Covid ma soprattutto la gestione da parte dello Stato, ha reso esplicita quale fosse la preoccupazione di chi comanda: scaricare verso il basso “i rischi” sociali e sanitari, lasciando mano libera all’economia del profitto. Mentre il bollettino dei contagi saliva insieme alle conta dei decessi quotidiani – la crescita pervasiva di soldi– potere– prestigio delle maggiori imprese si è impennata: drenando big-data dal bisogno di socialità, spremendo il personale ’multiservizi’, sdoganando il turismo selvaggio in occasione degli Eventi, sviluppando logistica, grande distribuzione e piattaforme di e-commerce, lasciando svolgere alle imprese del manifatturiero il consueto ruolo di conto-terzisti nelle filiere globali. Nel mentre le Scuole e la Sanità sono state saccheggiate e devastate, con danni immediati e collaterali che si riversano sulla salute generale della popolazione.
Il prezzo più alto lo hanno pagato anzianз, malatәз di altre patologie, ma anche i/le più giovanз e bambinз. Questa Grande Trasformazione complessiva spinta dalla pandemia ha quindi sia accelerato determinati processi (di disuguaglianza sociale, oppressione di genere, impoverimento e sfruttamento, di sviluppo tecnologico e di potere degli Stati) che frenato altri (le abitudini e le routine, l’informalità…).
Non subire passivamente questa nuova fase, ma approntare una messa discussione generale capace di “ri-formarci” come nuovo spazio sociale, è stato il pensiero-guida. Con il lockdown prima, e poi con i mesi di zona rossa, è innegabile che le iniziative che hanno caratterizzato per anni la socialità, i conflitti e le modalità di stare insieme e vivere gli spazi comuni siano cambiate radicalmente. Ben oltre i primi momenti di quarantena ed isolamento, la pandemia, ci ha costretto a sospendere molte delle attività abitudinarie di autofinanziamento, in particolar modo quelle che prevedevano socialità con consumo di bevande e cibo (concerti, aperitivi, pranzi, cene).
Ė così che siamo arrivatз a tematizzare “come poter stare insieme, per chi, per fare cosa”, articolando proposte pratiche con riflessioni e aggiornamenti sulla situazione sanitaria e sociale. Questa ridefinizione dei nostri spazi non è stata una semplice esecuzione delle norme anticovid prescritte dal governo. Il concetto è stato quello di applicare il distanziamento fisico, il tracciamento delle persone che hanno continuato a circolare nelle varie attività, la cura e la pulizia degli ambienti, senza cadere nella trappola del distanziamento sociale. Non è stato semplice: ci siamo sintonizzatз sulle paure e la vulnerabilità che la pandemia ha fatto emergere all’interno del sistema sociale, con lo scopo di costruire una comunità delle tante persone senza-privilegi per rompere la solitudine, la rassegnazione ma anche per non subire la paralisi della critica dell’esistente affidandosi a quella scienza, a quelle istituzioni prime responsabili della crisi pandemica.
Abbiamo affrontato a viso aperto alcune delle contraddizioni che ci attraversano, senza la presunzione di poterle superare definitivamente: perchè è una tensione, un conflitto, non semplice ma determinato e ricco.
Non essere attorз passivз dello spettacolo dell’emergenza, e delle emergenze: volevamo – e vogliamo ancora – ridefinire il concetto di condivisione, di partecipazione, di autonomia, in una situazione – globale – di pandemia. Al centro del Newroz, nella crisi pandemica, sta quindi l’intreccio tra la salute collettiva e il bisogno di condivisione e lotta contro l’isolamento e la segregazione sociale.
Questa domanda ci ha messo in discussione con l’obiettivo di articolare un programma di formazione e condivisione per ogni generazione colpita da questa crisi. Nell’implosione delle tradizionali attività, è aumentata la necessità di nuovi obiettivi all’altezza della fase, non compiacersi delle propria isola di socialità e militanza, ma uscire dalle comfort zone (che peraltro non ci sono mai piaciute). Conoscere, radicarsi, comprendere e tessere legami con le tante tensioni e sofferenze emerse in questo anno, hanno reso esplicito quanto la società capitalista sia organizzata imponendo ritmi e prestazioni tarati su modelli di consumo insostenibili per l’ambiente, e su relazioni tossiche basate su dominio e voracità. Ė stato un sano bagno di realtà per tantз di noi, quello di confrontarsi sull’incapacità e sulle difficoltà ad affrontare i problemi collettivi, senza farsi assuefare da sensi di colpa e frustrazione. Allo stesso tempo è maturata nella pratica e nelle riflessioni una diversa attenzione alla cura dei processi. Sappiamo che lo Stato non ha interesse a difendere la salute collettiva ma solo a tenere in equilibrio la crescita della produttività con la riproduzione della forza lavoro. Carne da macello, nei supermercati, negli ospedali, nelle fabbriche, nei magazzini. Per opporci a questi processi, impedire la nascita di focolai e di contagi non è solo una precauzione ma una condizione essenziale alla possibilità di lotta. Perciò discutere, formarsi e assumere determinati comportamenti, di pulizia e di attenzione reciproca ai veicoli di contagio, la comunicazione attenta,sono stati aspetti fondamentali per organizzare questa nuova fase.
Distanziati ma uniti. Una valutazione delle attività sociali in “zona rossa”.
E’ così che questo anno di “chiusura” del newroz dalle tradizionali attività è stato un anno ricchissimo di scoperte e di trasformazioni tuttora in corso per il nostro spazio. Certo, ci è mancato fare il primo maggio insieme, ma questa impossibilità è stata superata dalla proliferazione di iniziative e percorsi che ci hanno contaminato e di cui ci sentiamo parte.
Il G.A.S. (Gruppo di acquisto solidale), in questi mesi è sempre rimasto aperto, ogni venerdì, rappresentando nella pratica una critica alla logica della Grande Distribuzione Organizzata. Questa relazione, ci ha permesso di conoscere il coordinamento delle comunità contadine toscane, di approfondire i punti politici della piattaforma di lotta per il riconoscimento dei diritti dei e delle contadine, e dell’agro-ecologia. Relazioni che hanno nutrito il nostro giardino di nuove piante, sia in senso metaforico, che con l’apertura di percorsi comuni di lotta e scambio sull’ecologia e sul consumo, con la realizzazione di un orto comunitario a ridosso del parco delle Concette.
Attraverso la Rete Pisa Solidale. Da novembre, ha preso forma una esperienza di condivisione e lotta straordinaria. Dalle prime reazioni alla crisi socio-economica durante il lockdown di mutualismo all’interno dei quartieri popolari e della Polisportiva La fontina, fatte di riunioni, collette, raccolte alimentari, picchetti ai supermercati, si è allargato in un progetto pubblico con tante nuove realtà collettive e individuali. Assemblee che vedono partecipare tantissime persone che dalla pratica di ricerca e distribuzione gratuita di alimenti, sta maturando nel creare spazi per lo scambio di oggetti e vestiti come l’emporio nel quartiere popolare di sant’ermete, di orti comunitari all’interno della Nuova Periferia polivalente. Un nuovo volontariato sociale di una comunità che riunisce piccoli commercianti, giovani studenti, interi nuclei familiari di quartieri popolari.
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud è una presenza decennale nello spazio antagonista newroz. Nel dare voce alla diversità e nella lotta contro la violenza e il pregiudizio di segregazione che separa la salute mentale dai contesti sociali e politici è ancora più centrale in questi mesi. La crescita esponenziale dell’abuso farmacologico, il ricorso alla contenzione e alla coercizione come sistema, di fronte all’esplodere delle contraddizioni legate alla pandemia, soprattutto ma non solo sull’adolescenza e nell’infanzia, rende fondamentali e preziose queste attività che sempre di più ci stimolano nelle riflessioni e connessioni possibili.
Anche la rete Non Una di Meno – Pisa si è riunita nei nostri spazi, e non nascondiamo il valore politico di sentirci sempre più “contaminati” e in relazione con le lotte femministe e transfemministe. Non solo l’aumento della violenza domestica, l’ipersfruttamento del lavoro di cura, ma in generale tutta la riproduzione della vita sociale è permeata da queste grandi contraddizioni basate sul dominio maschile e sul privilegio di genere. Partecipare alle lotte di autodifesa femminista, condividere l’8 marzo, nutrirsi nella quotidianità dello scambio con questi percorsi è sicuramente la risorsa più preziosa per una crescita collettiva di tuttз. Imparare a non separare il personale dal politico e dal collettivo è un esercizio, una lotta, che nella pandemia si presenta con ancora più forza. Questo cambiamento vive nell’attenzione a come si prendono le decisioni; a come organizzarsi senza riprodurre divisioni sessuali del lavoro, senza delegare la cura ma invece farne un valore, un fattore di crescita collettiva; a combattere il patriarcato nella società vedendolo come dinamica strutturale insita in tutte le relazioni (comprese le nostre), non accettando la prepotenza e la prevaricazione, costruendo una critica effettiva ai rapporti di potere. Questo ci spinge a dare ancora più valore alle lotte sulla riproduzione – leggendo le tensioni nello spazio domestico, negli ospedali fino alle scuole – come irrinunciabili occasioni di una messa in discussione complessiva di questo sistema violento.
Con la chiusura delle scuole e delle università e la soppressione della didattica in presenza per tutto l’autunno, i movimenti studenteschi hanno posto in discussione la mancanza di spazi, investimenti, assunzioni in relazione allo sviluppo di una formazione sempre più “piattaformizzata”. Nelle scuole pisane i collettivi, nei passati due anni prima della pandemia, avevano dato vita a degli straordinari cicli di mobilitazione contro una istruzione autoritaria, alienante e performativa. La gestione pandemica ha rafforzato tali tendenze, e allo stesso tempo ha creato però bisogni ulteriori e differenti necessità di organizzarsi. La rete SIR “scuole in rivolta” attraversa lo spazio di via Garibaldi per riunioni e approfondimenti. Nel frattempo dall’autunno ha preso vita anche l’esigenza di studiare e formarsi insieme, per persone di differenti età e contesti formativi. Student delle scuole e dell’università, dei corsi serali, di chi è alla ricerca di un lavoro, ma anche di bidelli, maestri e docenti. Adattare e allestire lo spazio per queste esigenze ha rappresentato una vitalità incredibile nell’immaginare nuove forme di organizzazione della conoscenza e di contestazione delle istituzioni formative.
Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema.
Nell’ultimo mese la campagna di vaccinazione promossa dal Governo e l’apertura della prossima calda stagione hanno fatto calare i contagi e il numero di decessi quotidiani. Nuove tensioni e problematiche si sono poste: dalla saturazione della sanità con ricadute violentissime su tutte le prestazioni sanitarie non covid, alla dinamica proprietaria sui brevetti ai vaccini. Nel frattempo la pressione sociale dal basso e le esigenze di confindustria e di altre lobby industriali hanno momentaneamente spinto alla revoca di tutta una serie di dispositivi di “chiusura”. Si va verso la zona bianca. Nelle ultime settimane la preparazione di questo periodo, ha portato a riconfrontarci sulle prossime attività e iniziative. Con soddisfazione possiamo affermare che tutte le sopracitate centinaia di iniziative – tra gruppi di lavoro, riunioni, assemblee pubbliche, mercati, esposizioni – sono state svolte in sicurezza ma soprattutto non sono state “limitate” dalle valutazioni che abbiamo espresso. Anzi hanno rappresentato una maggiore fiducia, inclusione ed apertura a tantissimi che mai prima avevano vissuto da protagonisti, e non da “utenti”, il nostro spazio.
Adesso, se la situazione epidemica sta andando in miglioramento, è comunque importante prendere una serie di precauzioni, con testa e cura. In particolare possiamo riprendere iniziative ricreative all’aperto, ma anche arieggiando i locali, e non sovraffollando gli spazi. Anche la manipolazione di cibo e bevande può essere fatta organizzandoci in modo specifico e sicuro. Con queste nuove indicazioni cercheremo di proteggere le prossime attività. Di certo questi mesi stanno riconfigurando una sensibilità collettiva e individuale nella scelta e nelle modalità di esecuzione di ogni iniziativa.
Ora più che mai stiamo imparando a discutere e a tenere di conto della tecnica, della logistica come veri fattori politici e sociali: scardinare ruoli e prestazioni organizzative per connetterci sempre di più con le difficoltà del mondo in cui siamo immersi e che ci circonda. Riapriamo quindi, ma non siamo mai stati chiusi, e quello che ci è successo non è una parentesi emergenziale, ma una scelta di campo e di metodo che ci sta forgiando in una diversità militante. Possiamo dire che questo periodo di “disorientamento” delle nostre abitudini ha contribuito a levarci di dosso false sicurezze, e a costruire ponti e legami con le tante sofferenze che lottano per emanciparsi dalle sempre più evidenti condizioni di oppressione.
Siamo fierз di poter scrivere queste parole nel momento in cui la nostra compagna Giovanna ha affrontato la fase più dura della sua convalescenza, dopo essere stata ferita da un lacrimogeno sparato alla testa dalla polizia in Val di Susa, un mese e mezzo fa. Sostenerla in questo periodo ha significato mettere a frutto parte di quegli insegnamenti sulla centralità della condivisione e della lotta per “non lasciare nessuno indietro”, come lei per prima ha fatto con tutte le persone della nostra grande comunità, a partire da bambinз e anzianз. La solidarietà, le piazze piene, gli striscioni e i messaggi che Giovanna ha ricevuto le sentiamo nostri, perchè insieme abbiamo deciso di affrontare ogni ingiustizia come parte della nostra battaglia per la libertà.
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