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Pisa, mille in corteo contro il governo della città

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Quasi mille persone hanno sfilato ieri per le strade di Pisa dietro lo striscione ‘Decide la Città’. Dietro questa sigla l’ambizione di costruire una dimensione di parte capace di far pesare politicamente il valore di esperienze di resistenza rafforzatesi nell’ultimo anno e in particolare negli ultimi mesi. Ma soprattutto si tratta di un percorso di organizzazione dentro uno scontro che contrappone il Partito Democratico, al governo della città, a qualsiasi percorso di espressione interno a una città non pacificata.

 

La Lotta per la casa incalza il Governo in città

Il 28 aprile un presidio in Prefettura della lotta per la casa convocato dal Progetto Prendocasa affonda sul divaricarsi della contraddizione politica aperta dall’ostinazione delle decine e decine di picchetti antisfratto che, lottando per l’abbassamento degli affitti, sulla rigidità del rifiuto a uscire di casa senza soluzioni degne, impediscono alla rendita proprietaria di fare il bello e il cattivo tempo. In precedenza Confedilizia si era opposta al rinnovo della sospensione della forza pubblica agli sfratti, mentre nel frattempo molte famiglie, residenti in altri comuni limitrofi a Pisa, erano state escluse dalla stessa lista di sospensione assieme a quelle non accolte nel bando morosità incolpevole 2016 o a quelle finite sfratto nel 2017. Il conflitto sull’abitare si politicizzava a fronte della paralisi dell’amministrazione comunale nel porre mano ai nodi principali di tutela della rendita. Al termine del presidio del 28 aprile, che convocava una manifestazione cittadina per il 10 giugno, un corteo di migranti in lotta, lavoratori nel comprensorio delle pelli e del tessile della provincia ed ospiti dei centri di accoglienza, raggiungeva la Prefettura per protestare contro il pacchetto di Legge Minniti Orlando: nasceva di lì a poco il Collectif migrants de Pise.

2017 06 10 decide prendocasa

Non una di meno

Dall’iniziativa di lotta sull’abitare a intensità costante – come dichiarato dallo stesso Prefetto qualche mese prima, espressione di uno degli elementi che maggiormente acuiscono le tensioni sociali in città – sorge l’urgenza di una proposta politica più ampia. Uno spazio di espressione entro il quale fosse possibile il riconoscimento per le dimensioni sociali subalterne, non solo quelle direttamente implicate nelle lotte, ma anche quelle in generale espropriate dalla possibilità di diventare soggettività politiche perché escluse o combattute dagli interessi tutelati dalla politica cittadina interpretata dal Partito Democratico. L’arroganza degli interessi padronali difesi del PD acuisce lo scontro contro le dimensioni produttive della città, spremute nei rapporti di sfruttamento nella produttività e nel consumo: lavoro, lavoro riproduttivo e di cura, consumo. In generale si tratta di una guerra dei pochi contro i molti che si impone con la violenza delle leggi e dei rapporti di potere ma che non tiene di conto dell’autonomia di movimenti sotterranei dentro la classe, della possibilità di organizzarsi per ribaltare gli assetti imposti, dell’emersione di forze collettive per reagire … soprattutto non tiene di conto delle soggettività inattese, quelle ignorate. Così ben presto il percorso si intreccia con le esperienze femministe sedimentatesi dopo l’8 marzo. Prende corpo il percorso di Decide La Città.

Dopo il partecipato corteo dell‘8 marzo in occasione dello sciopero internazionale delle donne – a Pisa come in tantissime altre città italiane il corteo più ampio dell’anno – vengono occupati due spazi: La Mala Servanen Jin, la sera dell’8 marzo e La Limonaia Zona Rosa, il 7 aprile. La rete Non una di Meno si dota di spazi di organizzazione concreti: luoghi di organizzazione delle donne per le donne per conquistare reddito, possibilità di decidere sulla propria vita e sui propri corpi, per la tutela della propria salute. Le due occupazioni rompono le ambiguità con il fronte istituzionale: a parole d’accordo con gli 8 punti programmatici della rete – fino ad arrivare a esporre uno striscione da Palazzo Gambacorti, sede del comune – ma nei fatti responsabile, a Pisa come altrove, dei tagli ai centri antiviolenza e soprattutto indisponibile a concedere autonomia organizzativa, politica e conflittuale alle istanze sorte nel contesto della rete cittadina di Non una di Meno. L’equilibrio precario si incrina subito. Il 3 maggio viene sgomberata la Limonaia Zona Rosa e il 24 maggio la Mala Servanen Jin, dove una genorosa resistenza alla polizia procura tra le donne in lotta diverse ferite. Il 25 maggio, in consiglio comunale, il Partito Democratico, pur per vie traverse non assumendosi la responsabilità dello sgombero, rifiuta di discutere i fatti relativi al giorno prima. Superato dalle iniziative della magistratura il comune abdica a qualsiasi dialettica politica: non una crisi della democrazia ma la più chiara testimonianza di una disabitudine al confronto con le dimensioni sociali e i conflitti da queste prodotte, sintomo di una separatezza strutturale tra politica e vita cittadina. Tre giorni prima, domenica 21 maggio, in piazza Santa Caterina, al contrario, una partecipata giornata di assemblee con al centro il tema della vita giovanile e studentesca, della dignità dei migranti, delle donne, degli spazi sociali, inaugura pubblicamente il percorso di Decide la Città verso il corteo del 10: si palesa una polarizzazione tra un nuovo spazio di protagonismo e partecipazione politica e l’arroccamento istituzionale del Partito Democratico.

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Colpo su colpo

La provocazione dei due sgomberi approfondisce la crisi politica. All’azione di forza risponde una forza opposta e contraria. Il primo giugno, violando i sigilli, La Mala Servanen Jin viene rioccupata dalle stesse donne sgomberate una settimana prima. Nel frattempo, attraverso, l’assessora alle politiche socioeducative Chiofalo, si apre un canale di interlocuzione istituzionale con tutta la rete Non una di Meno, ma il Partito Democratico e le istituzioni cittadine entrano in un vortice di isolamento sempre più profondo. Il 2 giugno, in occasione delle celebrazioni per la festa della Repubblica, piazza delle Vettovaglie viene chiusa completamente: una giovane donna viene sequestrata dalla polizia perché aveva esposto uno striscione dalla finestra che chiedeva il dissequestro dell’immobile di via Garibaldi, mentre due ragazzi sono prelevati dalla loro abitazione mentre rei di aver contestato dalla propria finestra la cerimonia istituzionale. La volante della polizia che li trasporta in Questura viene bloccata per qualche minuto dalle donne della Mala Servanen Jin presenti nell’adiacente piazza Garibaldi e impegnate nella campagna per il dissequestro del proprio spazio. Il delirio paranoico dei soggetti istituzionali conduce a un grottesco comunicato pubblicato il giorno successivo dalle forze di maggioranza: “non si abusi della libertà di espressione”. Le forze di governo pretendono di poter decidere loro come e quando autorizzare il dissenso nei loro confronti.

Chi abusa della libertà d’espressione e chi della pazienza

Il comunicato sulla libertà di espressione mette a nudo i principi autocratici che orientano la politica cittadina. La forza della Rete non una di Meno ne rintraccia le conferme ribaltando lo schema dell’interlocuzione apertasi dopo la rioccupazione della Mala Servanen Jin: è il comune a dover conquistare una credibilità agli occhi delle esperienze di lotta e autorganizzazione, non c’è trattativa possibile e riconoscimento se non a partire dal dissequestro degli immobili sgomberati. Il comune tace. Venerdì 8 giugno anche la Limonaia Zona Rosa rompe i sigilli e rioccupa. La compattezza della Rete nel pretendere il riconoscimento di un’autonomia politica a partire dal valore e dall’indipendenza delle proprie esperienze non viene accettata dall’amministrazione comunale che si trincera dietro la foglia di fico del principio della legalità. Nel pomeriggio di venerdì un comunicato del PD conferma: nessuna disponibilità a trattare con chi si organizza nell’illegalità, gli spazi occupati devono essere liberati, bandi appositi provvederanno ad assegnare gli spazi. Esattemente il giorno prima, in consiglio comunale, il “regolamento per l’uso dei beni comuni” veniva nuovamente affossato. È il corto-circuito che smaschera la natura di un braccio di ferro dove a confrontarsi è la legittimità ad esistere e a resistere contro l’abuso delle istituzioni e delle leggi costruite contro la possibilità di organizzarsi per trasformare assetti contrari ai desideri, le aspirazioni e i bisogni della parte più ampia e consistente della città.

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Il tema della legalità rimane l’ultimo strumento in mano al Partito Democratico, ma è proprio l’ordine definito dalla legalità brandita dal sindaco Filippeschi e dalla sua giunta a venir messo in discussione e in crisi dalle lotte e dai movimenti sotterranei rispetto ai quali le iniziative politiche autonome si sintonizzano. Giovedì sera viene attaccata anche l’ultima prepotenza imbastita dal PD cittadino in questo giugno pisano: in nome della lotta alla mala movida, piazza dei Cavalieri, importante snodo della vita sociale giovanile non solo durante lo svago serale, viene completamente chiusa e privatizzata per dei concerti a pagamento al modico prezzo di 23 euro. Un’operazione che usa la cultura e il dispositivo della lotta al degrado per criminalizzare un pezzo importante di città, espellerlo dai suoi luoghi e rimercificarlo altrove nel consumo. 50 giovani entrano comunque a spinta in una piazza dove il pubblico pagante non raggiunge le trenta unità.

Il corteo di ieri, 10 giugno, partecipato da quasi mille persone, ha rappresentato una scommessa, chiudendo un cerchio dentro uno scontro ancora aperto e che promette di evolversi ancora. La scommessa di fare incontrare non solo esperienze di lotta già attivatesi, ma di metterle in comunicazione dentro una dinamica di partecipazione con una parte di città, non tutta la città, che ha bisogno di contrapporsi per decidere. La sfera della decisione politica si chiude entro la dimensione istituzionale proteggendosi in questa, e non assorbe più un’iniziativa esterna a questo campo. Si tratta di un processo ambivalente dove, all’incremento della separatezza della politica istituzionale dai movimenti vivi nella città, si alimenta anche la fiducia della parte di città subalterna a organizzarsi per trovare nuovi spazi per contare, organizzarsi, decidere. Il primo segnale del corteo di ieri è infatti questo: c’è chi decide, governando, contro una parte di città, ora c’è una parte di città che decide per sé, con spazi e iniziative sue proprie. Ignorarla ha un suo prezzo.

 

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