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Profughi a Budapest: stazione chiusa per disordini con la polizia

Dopo lo sgombero centinaia di profughi hanno manifestato contro l’azione della polizia, chiedendo che la stazione venisse riaperta e che potessero partire. I manifestanti hanno fronteggiato lo schieramento delle forze dell’ordine ungheresi sventolando i biglietti del treno per la Germania e gridando “Germany, Germany”. I profughi sfruttano direttamente a proprio vantaggio le dichiarazioni di Angela Merkel, che, di fronte al malcontento dei paesi di frontiera dell’UE per la gestione dei flussi migratori, ha detto che la Germania avrebbe accolto i profughi siriani trovati sul proprio territorio superando (in via eccezionale) il trattato di Dublino.

 

Nella crisi globale ogni stato segue l’imperativo di rendersi competitivo, riducendo al minimo le spese non necessarie all’accumulo di capitali e scaricandone i costi sugli altri. La Germania e i paesi del Nord Europa per anni hanno scaricato i costi dell’accoglienza sui paesi del Sud Europa tramite il trattato di Dublino. Mentre l’Ungheria ha dichiarato che invierà 3mila militari alla frontiera con la Serbia, per cercare di controllare i flussi migratori, la pressione dei migranti sta mettendo in crisi questo meccanismo, imponendo delle aperture da parte della Germania. Secondo diverse fonti siamo di fronte alla più grande migrazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. I numeri forniti dall’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) relativi agli arrivi attraverso il Mediterraneo danno il polso della situazione: nei primi otto mesi del 2015, sono 351mila i migranti solo attraverso la via del mare (e, da gennaio, 2.643 persone sono morte).

Quello che c’è di veramente interessante è che a Budapest migliaia di persone stanno rivendicando l’accesso ad una vita dignitosa e al benessere. In fuga da terre bombardate e saccheggiate dalle guerre volute e sostenute da Stati Uniti e dall’Europa, questi profughi ora rivendicano una fetta della ricchezza che è stata accumulata anche a scapito dei loro paesi di provenienza. Come abbiamo visto sugli scogli di Ventimiglia, una rivendicazione semplice e concreta in grado di mettere in crisi gli equilibri istituzionali europei fatti di trattati che tengono in conto gli interessi del capitale e non quelli degli esseri umani.

La classe dirigente europea dovrà porsi il problema (per noi un’opportunità?) di come integrare tutti questi proletari dentro i circuiti del capitale. A ben guardare si tratta di persone che vivono una condizione di esclusione e precarietà ( ma anche di aspettative) che ha dei tratti in comune con quella di molti giovani europei. Un problema che in futuro si ripercuoterà all’interno degli stati europei e non solo alle loro frontiere.

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