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Promesse, contraddizioni e sfide della città-metropoli nel capitalismo high-tech

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Pubblichiamo questo contributo inviatoci da Ugo Rossi, ricercatore di geografia economico-politica nell’Università di Torino, nuovo spunto per i materiali introduttivi alla discussione per il convegno del 3 ottobre a Bologna organizzato dal Laboratorio Crash! intitolato “Città, spazi abbandonati, autogestione” (qui la call, qui i precedenti scritti di Pietro Saitta e Gennaro Avallone). Chiunque volesse contribuire al dibattito inviando dei testi può mandarli a conferenzacrash@gmail.com e verranno pubblicati su Infoaut prima dell’iniziativa in modo da arricchire la discussione. Ricordiamo inoltre che l’invito è a presentare brevi abstract di interventi per costruire il programma delle due sessioni del convegno.

 

Promesse, contraddizioni e sfide  della città-metropoli nel capitalismo high-tech

Durante la lunga fase di recessione e stagnazione economica che è seguita alla crisi finanziaria del 2007-08, le città sono tornate al centro dei dibattiti contemporanei, incarnando le contraddizioni e ambivalenze del capitalismo globale: per un verso, in quanto spazi in cui si sono  concentrati gli effetti delle politiche di austerità; per l’altro, come laboratori privilegiati di sperimentazione di modelli  di organizzazione economica basati sulla valorizzazione del potenziale relazionale delle nuove tecnologie, a partire da quelle digitali. Start-up communitysharing economyexperience economygig economyplatform capitalism sono alcune tra le definizioni più ricorrenti adottate in riferimento a tali fenomeni intorno ai quali si è rimodellata non solo l’esperienza urbana ma quella delle società contemporanee più ampiamente intese.

Oltre a essere associate alle politiche “lacrime e sangue” dell’austerità, le città rappresentano dunque una risorsa essenziale per governi, opinione pubblica e altre forze economico-politiche intente a rianimare l’“industria della felicità” (Davies, 2016) di cui necessita il capitalismo contemporaneo a forte intensità di comunicazione, conoscenza e affettività per poter sopravvivere e riprodursi. I mutamenti economico-sociali di cui le città sono testimoni negli anni successivi alla Grande Recessione di fine anni Duemila sembrano realizzare l’idea esposta da Michel Foucault nei suoi scritti sulla governamentalità neoliberale secondo cui le società di liberalismo avanzato procedono verso una sempre più spinta imprenditorializzazione del sé (Foucault, 2005). In tal senso osserviamo un salto di qualità rispetto alla imprenditorializzazione della governance urbana teorizzata da David Harvey (1989) e altri autori alla fine degli anni Ottanta, sulla quale si è sviluppata un’ampia letteratura di analisi della politica urbana: non solo le strutture di governo, ma la società nel suo insieme e la vita stesse delle persone sono imprenditorializzate.

Nelle economie ad alta intensità tecnologica e affettivo-relazionale troviamo esemplificate le contraddizioni emergenti del modello sociale capitalistico nella sua espressione urbana: i processi di individualizzazione dell’agire sociale si accompagnano all’invocazione insistente delle appartenenze di comunità; i fenomeni di sfruttamento si confondono con quelli di auto-sfruttamento, nello spazio di indistinzione tra lavoro dipendente, lavoro autonomo e imprenditorialità che caratterizza le nuove economie urbane; i tempi e gli spazi di vita si sovrappongono sempre più con quelli di lavoro. Da parte loro, i governi e le società locali reagiscono all’avanzata di tali economie combinando politiche di promozione con misure di regolamentazione delle nuove economie urbane. Altri attori locali – operatori economici, associazioni professionali, sindacati, università, cooperative e terzo settore – si relazionano in modo diverso a tali fenomeni, oscillando tra cooperazione e conflitto a seconda degli interessi in campo. Le città di dimensione grande, media o piccola mostrano diversi atteggiamenti (restrittivo o permissivo) nei confronti delle nuove economie urbane, soprattutto nei settori dei servizi alle persone come ospitalità e trasporti (Airbnb, Uber etc.), introducendo un ulteriore elemento di diversificazione e competizione inter-urbana.

Ne scaturisce un quadro che nella letteratura contemporanea di studi sullo sviluppo urbano di tipo neoliberale si definirebbe “variegato” (Brenner et al., 2010): vale a dire, accomunato dalla circolazione di una logica globale di trasformazione economica (quella neoliberale, per l’appunto, fondata sull’imperativo del primato della crescita e della produttività, a discapito della redistribuzione) che pur tuttavia deve fare i conti con la diversità di assetti territoriali che le specificità dello sviluppo economico locale e delle configurazioni istituzionali inevitabilmente producono.

Nella complessa e multiforme transizione post-fordista in cui le città sono impegnate da ormai diversi decenni si innestano oggi strategie e razionalità di sviluppo economico e riorganizzazione territoriale segnate in profondità dall’avvento delle nuove tecnologie (soprattutto digitali) e dalla domanda sempre più pressante di aggiornamento delle dotazioni infrastrutturali. L’idea di smart city è in tal senso emblematica: certamente svolge un ruolo egemonico nell’imporre un nuovo “senso comune” dello sviluppo urbano ai tempi della globalizzazione e infatti su di essa si appuntano gli interessi di una varietà di attori economici e politici: dalle grandi imprese dell’high-tech alle start-up emergenti, dalle organizzazioni internazionali ai governi nazionali e locali. Tale “senso comune” muove dall’assunto secondo cui la qualità del vivere individuale e collettivo deve diventare l’obiettivo privilegiato di politiche di sviluppo orientate a un utilizzo socialmente innovativo delle nuove tecnologie. Tuttavia, la realtà della smart city – delle sue esperienze di applicazione e sperimentazione – per propria natura appare “variegata”, flessibile, irriducibile a una forma monolitica di organizzazione economica e valorizzazione capitalistica e, in ultima analisi, di azione politica (Rossi, 2016).

Pertanto, la direzione politica che si saprà imprimere alle trasformazioni economico-territoriali in corso appare la vera e propria posta in gioco negli anni a venire. Il mondo globale, pur segnato da una logica persistentemente egemonica di sviluppo economico (quella neoliberale), dimostratasi capace di sopravvivere (almeno per ora) agli scossoni della “grande recessione” e della successiva “esplosione populista”, appare quanto mai indefinito nelle sue linee di sviluppo future. È ormai opinione condivisa che viviamo in un’età dell’incertezza dal punto di vista economico – per l’effetto destabilizzante di fenomeni ormai connaturati all’economia globale come la finanziarizzazione, l’indebitamento personale, l’insicurezza lavorativa – e politico, dopo l’irruzione del fenomeno populista nella globalizzazione con l’elezione a primo ministro del nazionalista hindu Narendra Modi in India nel 2014 e di Donald Trump negli Stati Uniti due anni dopo. In un frangente che vede il riaffacciarsi prepotente degli stati-nazione e delle ideologie nazionaliste, il mondo urbanizzato costituisce sempre più un ambito fondamentale per la politica contemporanea, per la centralità acquisita dalle forme di vita urbane nel funzionamento dell’economia contemporanea, ma anche per la capacità di immaginazione istituzionale e la ricchezza di interazioni socio-culturali di cui gli spazi urbani e metropolitani sono espressione (Hardt e Negri, 2017). La città-metropoli contemporanea da un lato dunque svolge un ruolo centrale nella dinamica di valorizzazione capitalistica, perché al suo interno si genera il capitale comunicativo, cognitivo e affettivo di cui si nutre il capitalismo globale: ne è dimostrazione esemplare l’interesse che hanno le multinazionali high-tech per i progetti di smart city o anche la decisione recente da parte di Amazon – il dominatore pressoché incontrastato del commercio online – di “urbanizzarsi”, aprendo in via sperimentale punti vendita di prodotti alimentari a Seattle (dove ha sede) e acquisendo quelli di Whole Foods Market, un’influente catena di cibo di qualità presente nelle grandi città statunitensi. Per queste potenti corporations la città-metropoli non è soltanto un mercato di sbocco per i propri beni o uno spazio di promozione del proprio marchio, come è stato in passato e in parte è ancora oggi, ma costituisce un laboratorio vivente di valore ineguagliabile dal quale estrarre masse ingenti di informazioni (i cosiddetti big data) su comportamenti e abitudini di consumo, catturare conoscenze, apprendere modi di vita: in altre parole, un serbatoio umano di per sé inesauribile, capace di alimentare una nuova rendita urbana che si aggiunge e si sovrappone a quella tradizionale fondiaria.

Al tempo stesso, però, a dispetto dei grandi interessi economici che riesce ad attirare, negli ultimi anni la città-metropoli contemporanea si è distinta per l’aver dato origine a inedite mobilitazioni per la democrazia e la giustizia (da Occupy Wall Street alla Primavera Araba fino alle proteste brasiliane e al movimento degli ombrelli di Hong Kong), nonché a esperimenti innovativi di cooperativismo sociale e in tempi più recenti a iniziative di resistenza ai rigurgiti nazionalisti e autoritari della politica statale grazie ad alleanze creative tra amministratori, movimenti sociali e gruppi di residenti. È nella città-metropoli che dunque oggi si intravede la possibilità di un vivere in comune. La sfida di oggi è far sì che le nuove tecnologie e le relative applicazioni urbane possano essere messe al servizio di una rinnovata idea e pratica di vita in comune, anziché di un’economia dominata da un ristretto circolo di nuovi rentier ad alta tecnologia.

 

Ugo Rossi

L’autore è ricercatore di geografia economico-politica nell’Università di Torino e membro del collettivo Euronomade. Ha di recente pubblicato il libro Cities in Global Capitalism (Polity, Cambridge), mentre il volume collettaneo The Urban Political. Ambivalent Spaces of Late Neoliberalism (Palgrave MacMillan, New York), curato con Theresa Enright, è in uscita in questo autunno. Questo testo apparirà in un volume della Società di Studi Geografici che raccoglie gli atti del convegno “Sradicamenti” tenutosi a Torino nel dicembre del 2016.

 

Riferimenti bibliografici

Brenner, N., Peck, J. e N. Theodore (2010) Variegated neoliberalization: Geographies, modalities, pathways. Global Networks 10(2), 182-222.

Davies, W. (2016) L’industria della felicità: come la politica e le grandi imprese ci vendono il benessere. Einaudi, Torino (ed. or. 2015).

Foucault, M. (2005) Nascita della biopolitica: corso al Collège de France, 1978-1979. Feltrinelli, Milano (ed. or. 2004).

Hardt, M. e A. Negri (2017) Assembly. Oxford University Press, Oxford.

Harvey, D. (1989) “From managerialism to entrepreneurialism: The transformation in urban governance in late capitalism”. Geografiska Annaler B: Human Geography 71(1), 3-17.

Rossi, U. (2016) “The variegated economics and the potential politics of the smart city”. Territory Politics, Governance 4(3), 337-353.

 

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