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“Quando non servi resti a casa”. Un’intervista ad una lavoratrice sul modello Yoox

 

Yoox…un’occasione d’oro..

 

Ho iniziato a lavorare in Yoox nel 2010.

Per me era un lavoro nuovo e le mie aspettative erano tante.

Prima avevo fatto la badante ad una persona anziana, non avevo orari ed ero sempre da sola.

E invece in Yoox c’erano tante colleghe e 8 ore di lavoro…finalmente potevo essere una ragazza normale con un lavoro “normale”.

Ho iniziato con un contratto part time a tempo determinato e dopo 60 gg. di prova ho avuto un contratto full-time a tempo indeterminato…

Wow non mi sembrava vero abituata com’ ero alla situazione di prima .

Per me questo lavoro rappresentava un’ occasione importante per cambiare tante cose e molto effettivamente cambiò ma non tutto sembrò andare in un verso migliore.

Ci furono da subito ritmi molto stressanti sia fisicamente che psicologicamente.

Pensa che dopo solo due settimane mi era venuta una cervicale così forte da essere portata in ospedale..

 

Il Reparto Fotografia

 

Lì ad essere nuova non ero solo io, un po’ tutto l’ambiente che mi circondava era in costruzione.

Lo stesso macchinario a cui ero stata destinata aveva solo due settimane di vita.

Io e questa macchina ci occupavamo di vestire dei manichini che venivano fotografati in continuazione ad ogni cambio d’abito. Le foto erano destinate al sito on line di Yoox per mostrare i prodotti in vendita.

Al centro della stanza a terra c’era un quadrato, sopra il quale i maniquin giravano da soli grazie ad un sistema d’aria compressa. Eravamo: 9 manichini ; 2 vestitrici e 1 fotografo.

Il lavoro in sé era semplice, bisognava solo essere molto veloci e coordinati.

Per Yoox si trattava di un progetto nuovo, appena messo in funzione su cui non c’erano ancora dati prestabiliti. Dove si poteva arrivare e quanto si poteva fare lo scoprivamo giorno per giorno, anzi ora per ora.

Mi sembra di ricordare che all’inizio i pezzi prodotti all’ora dovevano essere 100 . Cioè 100 cambi d’abito e 200 scatti (fronte retro) per il fotografo.

Noi vestitrici eravamo chiamate le assistenti dello studio fotografico ma il notro compito era solo quello di vestire i manichini il più velocemente possibile, attendere “lo scatto” svestire il manichino e così via in continuazione. L’unica variante era la velocità con cui fare il lavoro e i pezzi da produrre.

Tutti i giorni i responsabili venivano a dirci di andare più veloci e siccome spesso ci riuscivamo il giorno dopo tornavano dicendoci che se avevamo fatto 10 pezzi in più allora voleva dire che quel giorno non avremmo potuto farne meno e che l’indomani avremmo potuto migliorare ancora…e così all’infinito..sempre di più, sempre di più..

Per ottenere questo di più ad un certo punto hanno deciso di prendere altre due ragazze, una si doveva occupare solo di svestire i manichini, l’altra doveva portare vicino a noi gli stendini coi vestiti appesi. In questo modo noi avremmo perso meno tempo.

Restavamo fisse lì a fare solo quei movimenti necessari che servivano a vestire il manichino.

 

Le prime settimane il responsabile F.G. della cooperativa Mr.Job entrava nello studio fotografico una volta all’ora e si rivolgeva a noi sempre nello stesso modo.

“Allora quanti pezzi avete fatto? Dieci in più? Se non li avete fatti non voglio nemmeno sapere il numero . Vengo tra un’ora per sapere che avete fatto dieci pezzi in più.”

Quando non veniva lui compariva un responsabile della Yoox quello che era presente su tutta l’area della fotografia e anche lui ci chiedeva sempre più pezzi, pezzi, pezzzi…ogni ora ogni ora ogni ora..

 

Continuavo a cercare di covincermi che quello era un bel lavoro ma la stanchezza la sentivo lo stesso.

La verità è che avevo paura di non riuscire a superare i miei 60 giorni di prova, perciò continuavo a lavorare senza sosta e a testa bassa finché un giorno mi capitò di non riuscire più a muovermi.

Il blocco mi era capitato all’improvviso durante la notte mentre dormivo, svegliata dalle fitte di dolore. Non capivo nemmeno cosa mi stesse succedendo , ma fortunatamente avevo il telefono accanto e potei chiamare mia madre perché venisse a soccorrermi.

Lei si era spaventata più di me visto che continuava a vedere le mie chiamate ma non sentiva la mia voce perché dal dolore le parole mi morivano nella gola.

 

Mi portarono al pronto soccorso dove decisero di ricoverarmi, lì rimasi tre giorni a letto con le flebo attaccate al braccio.. ma anche in quei giorni e nostante il dolore, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare erano solo “quei 60 giorni di prova”..

Così dopo quei giorni di ospedale e tanti antidolorifici decisi di tornare a lavoro.

Sapevo che quel momento per Yoox era importante , avevano bisogno di noi in quel reparto. Tutte dovevamo essere al nostro posto a fare quei pezzi .

Avevo capito che quello era un progetto nuovo per loro e che non avevano né il tempo, né l’interesse per giustificare la mia malattia.

 

Il premio produzione

 

E così ripresi il mio lavoro al reparto fotografia. E giorno dopo giorno ero sempre lì a svolgere il mio lavoro con il massimo dell’impegno.

Dopo circa 5 mesi mi decisi a chiedere al mio responsabile lo stesso premio produzione che prendevano le altre colleghe. In fondo eravamo in 3 a fare tutte la stessa cosa e le altre il premio lo prendevano da tempo.

Così un bel giorno entrò nello studio il responsabile Yoox, fece i complimenti a tutte per il lavoro svolto e ci disse che tutte a fine mese avremo trovato un “qualcosa in più in busta paga”.

E finalmente anch’io ebbi il mio premio produzione. Solo che durò poco, perché dopo 4 mesi mi spostarono da quel reparto e persi il mio tanto sognato premio.

Il fatto è che all’inizio quel reparto era nuovo e c’era bisogno di farlo “volare” ma una volta che il lavoro si era assestato, sia la cooperativa che la Yoox avevano capito che le ragazze che ci lavoravano in fondo dovevano solo essere veloci per fare molti pezzi ma non serviva che ci rimanesse qualcuna in particolare. Così le ragazze iniziarono a girare e lì non ci rimaneva nessuna per più di due mesi. In questo modo nessuna riusciva ad arrivare ai pezzi richiesti, quindi non aveva né il tempo nè la possibilità di essere abbastanza brava (come ci dicevano loro) per meritarsi il premio produzione.

 

Fine del premio produzione e il nuovo reparto Mr.Shooes

 

Il mio nuovo reparto era chiamato “Mr. Shooes”. Là venivano richiesti 60 pezzi l’ora..ma era molto più difficile raggiungerli. Dovevo posizionare le scarpe su una piattaforma, ma lo dovevo fare ad occhio. Potevo solo vedermi su uno schermo che attraverso una webcam mi riprendeva in ogni gesto. Nello schermo era segnalato il punto in cui l’obiettivo del fotografo sarebbe stato posizionato e io dovevo mettere in quel punto questo paio di scarpe. Pochi millimetri e la foto non sarebbe riuscita. Nel nuovo reparto nessuno riusciva a raggiungere lo standard richiesto, così nessuno riusciva a prendere il premio produzione.

 

Politica delle assunzioni in Yoox

 

Quando io sono entrata in Yoox l’azienda si stava allargando e progettava tante nuove macchine.

E’ in quel momento che hanno iniziato a giocare con i lavoratori..ad assumerne davvero tanti. Poi

nei periodi in cui non c’era bisogno ci lasciavano a casa ,soprattutto i più vecchi.

Venivano da te e ti dicevano che in quel reparto dov’eri in quel periodo c’era meno lavoro così per qualche giorno o settimana dovevi rimanere a casa, anche se nel frattempo l’azienda continuava ad assumere nuove ragazze.

Ho delle buste paga di 300/ 400 euro visto che i giorni in cui eravamo costrette a rimanere a casa non venivano pagati.

Era questo il giochino : “ti sposto per non avere un tuo posto e quando non servi resti a casa”.

E poi questo stress dei pezzi che non si potevano raggiungere ..al reparto sigilli me ne chiedevano 180 all’ora..e non era un lavoro tac tac..cioè significava dover prendere un vestito, controllare l’etichetta ,applicare il sigillo, riporre il capo sullo stendino e altre operazioni che richiedono tempo e può passare anche un mn a volte ma è troppo..

 

I responsabili, il numero dei pezzi da produrre, i ritmi e lo stress continuo:

 

F. G. era il responsabile della cooperativa che ci diceva cosa fare e dove andare. Era lui che guidava tutto insieme ad un responsabile Yoox.

Questi responsabili ci stressavano in continuazione sul numero di pezzi da produrre come se il nostro lavoro fosse a cottimo.

All’inizio lavoravamo su un turnio unico ma quando iniziammo a fare due turni nacque il problema del tempo che si perdeva nel cambio turno .

Pretendevano che non si perdesse nemmeno un secondo e finì che noi lavoratrici ci accusassimo a vicenda di aver perso o rubato dei secondi preziosi per fare dei pezzi in più..eravamo ossessionate da questa media dei pezzi da tenere.

E quando iniziarono a farci sostituire anche le pause la situazione diventò ancora più stressante perché in poco tempo dovevamo sostituirci correndo da un reparto all’altro.

Tutto questo ci portò a continui litigi. Se all’inizio eravamo tra noi in armonia ora eravamo arrivate ad una competizione esasperata , soprattutto all’interno dei reparti.

Ma queste non erano realmente colpe nostre perché eravamo oltre il “normale” oltre la tranquillità del lavoro..e la causa era questo stress continuo che ci provocavano per raggiungere quel maledetto numero di pezzi.

 

Le riunioni a senso unico. Il comando della cooperativa e il silenzio di Yoox

 

E poi c’erano le riunioni in cui era solo il responsabile a parlare. Erano tutte uguali. Lui alzava la voce, ci rimproverava e ci spaventava.

“Se non avete voglia di lavorare (ci diceva) domani state a casa che io prendo altre ragazze” e questo succedeva per quei due minuti che avevamo perso o quando lui capiva che avevamo litigato tra noi, ma anche se c’era stato un ritardo causato dal malfunzionamento della macchina.

Il tono e le parole che usava erano molto duri e offensivi . “ Non avete voglia di fare niente e non capite un cazzo” ci urlava sbattendo i pugni sul tavolo e se qualcuna provava a parlare o a giustificarsi lui urlava frasi come : “basta non me ne frega un cazzo di quello che avete da dirmi . A me interessano solo i pezzi che dovete fare….perchè fuori c’è la fila di gente che ha bisogno di lavorare e voi per stare qui dovete sputare il sangue”

Le riunioni ce le faceva in un ufficio vicino a quello dei dipendenti Yoox e a se a questo particolare a quel tempo non avevo fatto caso poi nel tempo ci ho ripensato e mi sono chiesta com’è possibile che il personale Yoox che rappresentava questa grande azienda che tiene molto alla propria immagine permettesse che la cooperativa che lavorava per loro trattasse così male i propri addetti? Solo ora capisco quanto fossero superficiali e quanto gli facesse comodo girarsi dall’altra parte e non vedere quello che la cooperativa faceva lì dentro ai propri lavoratori.

 

Cmq nel silenzio generale quelle riunioni riuscivano a spaventarci, era diventato un incubo lavorare in quel modo.

Quando sono rimasta incinta io sono uscita da un incubo, e ho sentito la maternità come un momento di liberazione da quello stress perché finalmente avrei potuto riposare.

Ricordo che quasi tutte le sere tornavo a casa e mi mettevo a letto piangendo. Non volevo vedere nessuno e riuscivo solo a pensare al giorno dopo , ad arrivare a lavoro e fare quei maledetti pezzi. Ma quando ero in magazzino non vedevo l’ora che finisse la giornata e così ero diventata un automa che non riusciva a pensare a niente.

Non avevo più una vita fuori dal capannone ed ero molto depressa, tanto che mia madre che abitava con me mi ripeteva in continuazione di lasciare il lavoro, anche se non ce lo potevamo permettere. In poco più di un anno ero dimagrita di 10 kg per colpa di questo stress.

Non riuscivo nemmeno a sfogarmi più di tanto con le altre perché ci vietavano di parlare tra noi equando succedeva e il responsabile lo veniv a sapere subito veniva sulposto a rimproverarci.

 

Un giorno arrivò un ragazzo nuovo e il responabile Yoox mi disse di insegnargli il lavoro.

Dopo pochi giorni mi riprese perché il ragazzo a suo dire non era abbastanza “sveglio” e io dovevo farlo lavorare di più. Io provai a spiegare che il ragazzo aveva appena iniziato e stava imparando, ma non servì a molto.

Quando sono rientrata dalla maternità ho saputo che questo ragazzo diceva in giro che io lo odiavo allora sono andata da lui e gli ho spiegato che non era affatto coisì ma che tutti i giorni mi venivano fatte pressioni su di lui, che mi avevano minacciata che se non avessi ottenuto di più da lui il giorno dopo lo avrebbero mandato via . Ma io queste cose non potevo digliele al tempo, dovevo solo dirgli di andare più veloce. Questo era il sistema lì dentro, ti facevano prendere queste responsabilità sulle tue spalle perché se un tuo collega doveva odiare qualcuno eri tu m mai quello che dava realmente gli ordini.

 

 

La macchina nuova e la ragazza vecchia


Ad una ragazza era stato rimproverato di non riuscire a fare i pezzi previsti con la macchina che aveva in dotazione. Lei si lamentò che la macchina era usurata e che non era colpa del suo lavoro se andava a rilento. L’azienda analizzò la macchina e si rese conto che la ragazza aveva ragione così decisero di cambiare la macchina.

Dopo qualche giorno i responsabili tornarono da lei e la rimproverarono nuovamente : “ti abbiamo comprato la macchina nuova ma tu non hai ancora aumentato il numero dei pezzi che produci” la ragazza rispose ancora una volta : “voi potete comprare tutte le macchine nuove che volete ma io ho sempre le stesse mani e non posso andare più veloce di prima”.

Il fatto è che anche se la macchina era nuova e funzionava meglio era stata carata su un numero di pezzi maggiore da produrre..

 

La maternità


Quando ho saputo di essere incinta l’ho voluto dire subito al responsabile a cui ho dato la mia disponibilità per continuare a lavorare ancora per un po’ visto che mi rendevo conto che nel mio reparto c’erano due ragazzi nuovi a cui io stavo facendo la formazione.

Dopo qualche settimana mi erano stati cambiati i turni e mi era toccata la sera. Mi lamentai col responsabile di questo cambiamento facendogli notare che avevo un problema coi trasporti , lui mi assicurò che sarebbe stata disponibile la navetta della cooperativa che era collegata al treno.

La sera stessa appena uscita dal magazzino mi resi conto che la navetta era partita ore prima e che anche il mio treno sarebbe partito dopo qualche ora. Alla fine riuscìi a trovare un passaggio fino alla stazione dove aspettai per ore al freddo di notte nel mio stato di gravidanza.

Questa superficialità del responsabile era il suo modo tipico di di vendicarsi. Forse dovevo essere punita per essere rimasta in cinta.

 

Il rientro dalla maternità e i regali della cooperativa


Dopo la nascita del bambino ho pensato che sarebbe stato difficile rientrare da subito a pieno regime in azienda perciò volevo chiedere alla cooperativa come accordarci per gli orari e i permessi necessari …sapevo che le neo mamme hanno diritto all’allattamento ma non sapevo bene come la cosa funzionasse.

Così prima di tutto ho chiesto a quelle colleghe che già ci erano passate.

 

Una mi ha detto che quando si era rivolta a F.G.lui gli aveva risposto esplicitamente che non se ne parlava proprio. Poichè a lui non servivano lavoratrici che non facessero tutte le ore richieste se lei avesse continuato a portare avanti la richiesta “avrebbe corso il rischio di essere lasciata a casa.” Un’altra collega era andata in Cgil ma anche lì era stata scoraggiata considerato il clima poco favorevole che si respirava in azienda..

Io raccolti questi pareri e capendo che sia la cooperativa che il sindacato erano contrari preferìi non rischiare non chiedendo nulla. Il mio rientro fu pertanto molto duro.

Non solo non venni favorita in alcun modo nell’evitare il lavoro serale ma soprattutto i cambi improvvisi dei turni non mi permetteva di riuscire ad orgnizzarmi col mio compagno per tenere la bambina.

Non riuscivo a riposare ma soprattutto non riuscivo ad avere regolarità nell’allattamento

Ma dovevo stare zitta, perché altrimenti sarei stata lasciata a casa come le altre. Ricordo che un’altra neomamma solo per aver chiesto parecchi cambi turno venne lasciata a casa per delle settimane.

Nessuna di noi aveva il coraggio di chiedere delle migliorie perché avevamo paura temevamo le conseguenze.

Quello che ci veniva ribadito in ogni modo è che noi dovevamo ringraziare di essere lì.

Nulla ci era dovuto . Le stesse pause secondo Gatti erano un “regalo della cooperativa”.

 

Scoperta del sindacato Si.Cobas

 

Un giorno una collega mi parlò di un sindacato da cui era stata. E che le avevano spiegato che molte delle cose che ci toccavano non andavano bene, che portevamo cambiarle perché era nel nostro diritto poterlo fare e mi spiegò alcuni diritti che avevamo noi donne in maternità .

Sinceramente mi bastò sapere queste due cose per volermi iscrivere e cioè che le nostre problematiche eravano state riconosciute e che io come neomamma avevo dei diritti anche sul luogo di lavoro.

Poi più in là scoprì tutto il resto . Avevo numerosi altri diritti, le nostre paghe erano totalmente irregolari e poi non potevamo essere lasciate a casa senza essere pagate a discrezione dell’azienda.

Io prima tante cose non le sapevo semplicemente perché non le avevo mai avute e nessuno me le aveva mai spiegate. Ero convinta che per sempre le cose sarebbero dovute andare come erano andate fino a quel momento. Credevo che funzionasse così e basta, che il mondo intero funzionasse così…bisognava solo adeguarsi, andare più veloce e fare sempre più pezzi, continuare a lavorare fino a che non crollavi. Andare in pausa solo quando non ce la facevi più.

Quello era diventato il mio modo di lavorare e di vivere.

E loro, intendo i padroni ,erano molto bravi a farcelo credere; ci avevano convinto che quella era l’unica realtà possibile.

Le prime volte che sentivo parlare il responsabile F. G. pensavo a com’era bravo ad imporci le sue verità.

Più tardi compresi che se io ero molto ingenua nell’ascoltarlo lui era senz’altro molto furbo nel vendere le sue menzogne. Chi lo aveva scelto come responsabile doveva conoscere molto bene questa sua dote naturale. Era così falso, così cattivo , così freddo.

 

L’inizio della lotta


Quando è iniziata la nostra lotta in magazzino ho avuto molta paura, ma una volta fatto il primo passo non sono più voluta tornare indietro. Appena si è saputo in azienda sono stata immediatamente spostata dal mio reparto ma me lo aspettavo e non mi sono spaventata.

E nemmeno la reazione di alcune colleghe mi ha fatto indietreggiare. Qualcuna ha smesso di rivolgermi la parola e ha iniziato a guardarmi male.

Ricordo le parole di una collega che con me sin dall’inizio aveva partecpiato a questa lotta.

“Quando entri qui dentro il cuore lascialo nel congelatore e tira fuori tutta la dignità che le nostre colleghe non riescono ad avere. Alza quella testa che loro hanno ancora paura di alzare”..

 

Lo sciopero. Chi era con noi e chi stava dall’altra parte


Mi sono sentita finalmente liberata. Come avessi tolto una maschera che mi impediva di essere me stessa.

L’azienda in quel periodo stava organizzando le ferie e noi tutte avevamo presentato le nostre richieste. Un giorno venne da me il responsabile comunicandomi dei giorni di ferie che io non avevo richiesto e presentandomi un foglio precompilato con la mia firma falsificata.

Lo stesso giorno altre due ragazze iscritte con noi erano state lasciate fuori dal magazzino con la stessa scusa..

Fu così di fronte all’ennesima ingiustizia che decidemmo di iniziare lo sciopero. Quella era stata la scintilla ma di motivi per iniziare la nostra lotta ne avevamo tanti che nel tempo si erno accumulati.

 

Il giorno che iniziammo a scioperare decidemmo tutte insieme comunicandoci quello che stava accadendo in un veloce passaparola.

Ricordo l’agitazione del responsabile di fronte a questo via vai di ragazze dai loro reparti.

Continuava a parlare al telefono e intanto cercava di fermarci.

Ma tutte siamo uscite lo stesso e siamo rimaste davanti al magazzino a scioperare dall’alba fino al tardo pomeriggio, la sera ci siamo riposate e il giorno dopo eravamo di nuovo lì davanti al magazzino.

All’inizio noi non avevamo nemmeno l’idea di quello che dovevamo fare. Importantissima è stata la presenza degli altri delegati, degli studenti e di tutti quelli che son venuti ad aiutarci dall’esterno, non solo per i numeri ma per tutto quello che veniva fatto che noi non avremo mai immaginato di riuscire a poter fare da sole…se ripenso a me distesa sotto un camion con a casa una bambina di un anno….Certo che avevo paura ma allo stesso momento non riuscivo a mollare, in quei giorni lottavo per me e anche per lei, per la mia dignità, per i miei diritti e per il suo futuro.

E poi tutta quella polizia, tre camioncini e tutti quegli uomini in divisa con i caschi ..e per cosa e per chi? Per impedire a noi operaie di scioperare? ???

Erano ridicoli…mi sembrava tutto così esagerato ma in perfetto stile Yoox.. tutto per dimostrare la loro potenza…noi nel piazzale a bloccare , la polizia li sotto contro di noi..i responsabili della cooperativa poco piu in là a guardarci dalle ribalte e i responsabili Yoox che comparivano alle loro spalle per pochi istanti.

Quei giorni siamo rimaste lì a bloccare i camion e il magazzino e la polizia è intervenuta più volte per farci andare via, ma noi tornavamo più convinte di prima e il nostro sciopero continuava.

 

“ Anche se tu poliziotto mi sposti di peso e mi trascini sull’asfalto e mi stringi le braccia cosa credi di cambiare? Nella mia testa non è cambiato niente.. perché io alla fine di tutto questo voglio ancora i miei diritti come li volevo prima quando sono venuta a mettermi davanti a questo camion”…queste parole mi ripetevo nella testa.

 

Ecco io credo che la polizia prima di venire lì a fare quelle scenate avrebbe dovuto capire per bene quali erano i motivi di quello sciopero.

Perché se ci fossimo messi a bloccare dei camion così all’improvviso perchè eravamo impzziti o ubriachi avrei capito che loro dovessero intervenire, ma lì c’era della gente che scioperava perché i propri diritti non erano stati rispettati e io credo che la polizia comportandosi in quella maniera non abbia davvero fatto una bella figura.

 

E poi se penso a chi è venuto dall’esterno ad aiutarci come gli altri delegati, gli studenti e i ragazzi dei centri sociali allora io davvero credo che loro mi abbiano dato una carica enorme….erano tutti là a lottare per una cosa che colpiva me, che colpiva noi . Eravamo una cosa unica e pensare a questo mi riempiva il cuore e mi dava un enorme coraggio.

Ero così carica che quando lo sciopero era ormai finito ed io ero già tornata a casa stanca e senza voce, mi sentivo ancora agitata …ma ero soprattutto contenta. Non sapevo ancora come sarebbe andata a finire ma dopo tanto tempo ero finalmente contenta e convinta di aver fatto la cosa giusta.

 

Passo dopo passo…a testa alta

 

Oggi vedo ancora tante colleghe impaurite che non vogliono esporsi. Molte stanno a guardare, aspettano che noi prendiamo dei risultati, aspettano di vedere se diventeremo più forti e allora passaranno anche loro con noi..

E noi continuiamo sul nostro cammino, passo dopo passo..qualche volta inciampando ma sempre rialzondoci e andando avanti a testa alta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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