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Scegliere di non pagare. In ogni casa nessun rimorso: materiali pt. 2

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Di seguito la seconda parte del workshop sulla lotta contro l’emergenza abitativa. Nella prima parte è stato definito cosa intendiamo per conflitto sul terreno dell’abitare e per emergenza abitativa. Questa seconda parte tratterà della morosità, di come il debito di produce e di quali sono le conseguenze, gli effetti e le possibilità di scontro.

Un’altra considerazione di metodo per la discussione sulla seconda fase: quella della produzione dell’insolvenza. Qui è possibile rintracciare la possibilità di un cambio di paradigma della lotta sull’abitare. Passare da una lotta contro l’emergenza abitativa, quindi con una rivendicazione “stop sfratti”, a una rivendicazione contro il libero mercato per non pagare più così tanto. Questo non è affare semplice e non è un’affermazione priva di conseguenze pratiche e sulle modalità con cui si costruisce una comunicazione politica della tua parte, della tua soggettività, delle tue rivendicazioni. Tutto questo ha delle conseguenze sul tipo di soggettività che costruiamo. È importante dirlo per chiarezza: individuare nella produzione della morosità, cioè nella costruzione del debito che la famiglia contrae nei confronti delle proprietà immobiliari, è un fatto che troppo spesso abbiamo dato per scontato. Troppe volte non abbiamo guardato dentro quel tempo, il tempo della maturazione del debito, come a una possibilità non soltanto di articolare delle pratiche vertenziali di scontro con la proprietà per ricontrattare l’affitto ma anche per costruire un nuovo discorso, una nuova rivendicazione ed essenzialmente dare forza a una critica sociale al libero mercato.
Questo fatto è decisivo: se andiamo a vedere le percentuali su chi deve pagare per avere un tetto sulla testa (chi è in affitto ma anche coloro che hanno il mutuo con la casa ipotecabile), questo tipo di soggettività vive oggi nei termini oggettivi, sociali e economici, una contraddizione. Questa contraddizione viene utilizzata dalla controparte per riarticolare un discorso di potere e di comando sulle vite di chi è costretto a pagare, in particolar modo la retorica meritocratica neoliberale del “se vuoi ce la fai”. Il prezzo di questa integrazione diventa sempre più pesante, sempre più faticoso e quindi anche sempre più produttivo per la controparte. Perché quando non ce la fai a pagare e ti viene detto che devi farcela questo si traduce in un aumento della produttività sociale capitalistica. Aumento lo sfruttamento, l’indebitamento e sostanzialmente la forza della controparte nei tuoi confronti che hai meno libertà, meno tempo, meno possibilità, meno reddito perché ne devi versare una quota crescente dentro questa spesa.

2, Morosità. Con tutto ciò che è annesso rispetto al come si produce, le conseguenze e le possibilità di scontro

Da una parte c’è questo discorso di capire che la morosità e la sua produzione sono un campo di scontro che già esiste al di là di quello che noi come organizzazioni sociali di lotta capiamo come interfacciarci. È un discorso che esiste per la controparte ma anche nella produzione di una serie di conflitti prodotti anche delle sue variabili. Ne sono un esempio la questione del razzismo, dell’invidia sociale e del fatto che oggi chi fa i sacrifici se la prende con coloro che di volta per volta vengono dipinti come i furbetti che non fanno questi sacrifici, mangiano pane a tradimento e alla fine hanno più diritti di chi invece si fa il culo. Dentro questa retorica e questo senso comune, formato e affermato nella nostra società, dobbiamo leggerci delle contraddizioni. C’è chi oggi fa fatica a pagare e questa fatica ha un prezzo: un prezzo sociale. C’è una mistificazione dei rapporti di potere ed è importante ragionare di come possa essere sconfitta. Parliamo di mistificazione nel senso che non è semplicemente una bufala, una bugia il fatto che il furbetto venga additato nell’occupante di case, nel moroso, nell’inquilino sotto sfratto o piuttosto nel migrante di turno che prenderebbe 35€ al giorno. Parliamo di mistificazione nel senso che viene piegato ai fini del comando un senso di frustrazione, di rabbia, di odio che è di classe ma viene sostituto il responsabile effettivo. Paradossalmente il furbetto è chi vive in una casa che magari con l’articolo 5 del piano casa di Lupi non ha la luce o magari è in sovraffollamento ma viene rappresentato come tale.. Nella prima parte abbiamo parlato dell’abolizione dell’equo canone e di come introduzione del libero mercato abbia quintuplicato la rendita complessiva. In questi venti anni all’interno della scala gerarchica dell’impresa capitalistica, in tutte le sue forme, ha guadagnato cifre spropositate.. Viene mistificato questo rapporto e quindi quando si parla di morosità non te la prendi con chi a oggi ha guadagnato e guadagna sulla tua solvibilità…..
Quando parliamo di produzione della morosità parliamo intanto del fatto che a partire dal nostro proprietario di casa e a partire da quelli che sono i meccanismi generali venga ricostruita e riconfigurata la scala di potere. Questo non deve essere soltanto un esercizio si cultura politica ma un carattere immediatamente produttivo di uno scontro. Uno di questi esercizi è quello di andare al catasto, un altro è quello di fare un banale calcolo cioè quanti sono i soldi che una famiglia per vivere in affitto o un mutuo ipotecario ha versato alla banca o al proprietario. Facendo il conto ci ritroviamo dentro una storia e questa storia va presa dall’inizio. Ci sono tantissime situazioni che hanno trovato la propria forza di reagire all’arroganza della proprietà e quindi a imporre un nuovo rapporto di forza. Ricordiamocelo che il rapporto di forza non è qualcosa di costruito oggettivamente ma è dato da una dinamica e ogni parte in causa ha bisogno di costruirsi conoscenze e saperi, strutture logistiche, cooperazione con gli altri suoi simili per ribaltare questa dinamica. Fare questi esercizi con quelle famiglie che hanno una morosità causata da una miriade di situazioni (morosità incolpevole), è un modo che fa maturare un odio che fa dire “quanto noi abbiamo dato di noi stessi a quella controparte, e quanto ci viene riconosciuto oggi che in difficoltà??”. Il proprietario che prima era così bravo, paternalistico nei tuoi confronti e che dall’oggi al domani tramite la violenza asettica della tecnica giuridica, e di tutti gli strumenti burocratici istituzionali, ti manda il conto per il pignoramento del quinto dello stipendio con in decreto ingiuntivo. Questa è sempre più una pratica parallela ma importantissima da tenere presente per quanto riguarda i procedimenti di sfratto: riguarda direttamente il rapporto di forza in campo tra inquilino-proprietario e la pratica di sfratto.
Il decreto ingiuntivo che cosa è? È un procedimento giuridico parallelo a quello dello sfratto i cui costi sono a carico della proprietà che lo fa emanare direttamente, senza bisogno di una discussione con il giudice (di un’udienza). È una procedura immediata di pignoramento del quinto dello stipendio o del tfr per rientrare in possesso del credito maturato a favore della proprietà. Questo procedimento ha poi un’udienza: cioè prima ti bloccano e ti pignorano poi un mese dopo (dipende dai casi), il giudice decide quanto effettivamente pignorarti a favore del proprietario. Questo strumento viene usato sempre di più e di solito viene fatto da quei proprietari più benestanti che hanno schiere di avvocati e non badano a spese. Articolare una critica sociale al libero mercato significa prendere il periodo di maturazione della morosità come un periodo dove avviene uno scontro. Ora il problema che noi vorremmo porre al centro della riflessione e che su questo campo, su questa temporalità ci mancano degli strumenti, ci mancano delle parole d’ordine, ci mancano delle rivendicazioni e ci manca un sapere politico con cui articolare in comune delle affermazioni che non ci facciano stare sulla difensiva.

Questa prospettiva è molto importante per ribaltare il problema dell’emergenza abitativa da “basta sfratti” a inflazionare l’emergenza come problema per i proprietari che maturano dei crediti che non riscuotono. È lo stesso problema che ha costruito la crisi dei subprime negli usa nel 2008 e che ha prodotto il fallimento e anche dei comportamenti antagonisti da politicizzare in quel senso lì. Far sì che nell’emergenza abitativa non si veda soltanto la sofferenza, la disperazione e quindi il problema delle famiglie che rischiano di andare in mezzo alla strada ma vedere lì dentro la possibilità di creare un problema per chi detiene le case, imprese di costruzioni, mezzi di produzione ma non riesce a rientrare in possesso del credito di cui ha bisogno per continuare il proprio sviluppo. Questo non dev’essere un esercizio psicologico ma una questione politica.
Oggi la controparte per rientrare in possesso della morosità tramite i tribunali, gli avvocati, i poliziotti, gli ufficiali giudiziari e le istituzioni fa sì che l’emergenza del profitto venga scaricata come emergenza abitativa, per far ciò la base è la paura di andare fuori casa. Un dato significativo dentro questa fase della morosità è che sempre di più la procedura iniziale di sfratto si trasforma in procedura esecutiva di sfratto. Il tempo che trascorre dal momento in cui hai l’intimazione al pagamento, poi dello sfratto, le udienze, la significazione, il precetto fino all’ufficiale che ti arriva sotto casa viene sempre più accorciato. Questo grazie alle modalità organizzative dei tribunali e alla pressione che fanno i proprietari sulla politica e sugli ufficiali giudiziari per stringere questi tempi.

C’è una crescita esponenziale di ufficiali giudiziari, aumenta la mole complessiva degli accessi. Da un punto di vista soggettivo la disponibilità allo scontro per pagare meno, per non uscire di casa non è una disponibilità naturale, che si autorganizza semplicemente. La storia umana della nostra società fa sì che la maggior parte delle persone per vergogna e paura cerchi altre possibilità a ribasso: condizioni di vita e di abitazione più basse rispetto a quelle che aveva precedentemente.
Tanti quando iniziano a non pagare più provavano a trovare un’altra casa o si facevano ospitare dai genitori, ci sono una miriade si soluzioni alternative al picchetto anti sfratto… questa cosa invece si sta sviluppando tendenzialmente molto di più, aumentano il numero degli accessi degli ufficiali giudiziari e di conseguenza la disponibilità sociale allo scontro. Questo sia per la contrazione del welfare e dell’edilizia pubblica sia per un’attitudine soggettiva di porre a livello pubblico il problema delle risorse, della sproporzione tra chi ha tanto e chi ha poco. Aumenta sempre di più la possibilità di resistere o comunque di arrivare in fondo a questo procedimento ma questa non è una cosa che dobbiamo dare per scontata: quando si parla di produzione dell’insolvenza bisogna capire come nel lasso di tempo prima della procedura esecutiva costruiamo delle parole d’ordine contro il libero mercato, contro i contratti d’affitto 4+4 3+2. Non guardando indietro all’equo canone che è una storia passata. Noi lo usiamo questo discorso dell’equo canone ma è un discorso debole perché questo dispositivo era maturato come un compromesso di un rapporto di forza tra le classi che ora non esiste più. L’abolizione dell’equo canone ha portato a vent’anni di neoliberalismo dove il territorio si è cementificato, si è urbanizzato in una certa maniera e l’impresa edile si è fatta sempre di più impresa finanziaria legata a un certo tipo di politica. Oggi bisogna capire che tipo di nuovo equilibrio si possa costruire e come quest’equilibrio non possa essere il frutto della ricerca della mediazione sganciata dallo scontro in atto.
C’è uno scontro in atto sulla produzione della morosità e risulta centrale la scelta di iniziare a vivere anche i posti di lavoro come ambiti in cui matura un’insopportabilità generale dell’esistenza che ha a che fare tantissimo con l’abitare, non soltanto con un odio nei confronti del proprio datore di lavoro. Oggi è molto più difficile iniziare una lotta all’attacco nei confronti del datore di lavoro perchè c’è un livello di comando della forza lavoro tale per cui oggi se alzi la testa l’ipotesi di licenziamento, non rinnovo del contratto, di precarietà è una paura fortissima che si lega direttamente con la questione del consumo e della spesa. Oggi i proletari che lavorano, noi che lavoriamo quando arriviamo a prendere la busta paga non ha a che fare con la dignità del proprio lavoro ma con il debito maturato per campare, per pagare l’affitto per pagare le bollette. La paura della perdita del lavoro è la paura di finire in mezzo alla strada, di perdere una quota di salario, di non riuscire a pagare le bollette. Siamo di fronte a una normalità che sempre di più è sussunta, inglobata nella questione finanziaria del pagare oggi. Questa non è un qualcosa alternativa a quella delle entrate, cioè alle forme di salarizzazione della propria vita, sono due cose che sempre di più stanno accanto. Una cosa che sempre di più stiamo provando a fare è porre nei posti di lavoro immediatamente la questione della casa. anche a partire da questioni tecniche (come la compilazione della domanda di casa popolare) sino ad arrivare alle questioni più politiche cioè il fatto che il salario è insufficiente a pagare il mutuo o l’affitto. Questo non soltanto come denuncia o come lamentela ma come possibilità di attivazione per pagare meno per provare a partire da un salario insufficiente e porre al proprietario di casa la domanda, la richiesta di abbassare l’affitto.

Si può arrivare a una prima fotografia di un’ipotesi di conflitto. cioè come articoliamo questa domanda collettivamente? come questa contraddizione, che non riguarda una minoranza di disperati che si ritrovano con la possibilità di andare in mezzo alla strada ma una maggioranza sociale, tra reddito e spesa, tra salario e consumo, tra entrate e uscite riesce a prendere una forma conflittuale collettiva. Queste questioni hanno a che fare con un senso comune che esiste ma che è schiacciato, latente, mistificato.. oggi se andiamo al mercato a fare questa domanda cosa pensi del fatto che guadagni 1100€ e ne paghi 600 di affitto la maggior parte delle persone ti dice sarebbe giusto pagare meno. Allora noi come possiamo immaginare di articolare questa domanda collettivamente per pagare meno? Come possiamo iniziare a farla ponendo la questione dell’ingiustizia strutturale dei contratti del libero mercato, come possiamo ripensare la questione dell’autoriduzione dentro il comando finanziarizzato delle nostre vite. Oggi pagare meno, nel senso di sceglierlo, significa un qualcosa di rivoluzionario ha a che fare con tutta una serie di rotture sia esistenziali che politiche, umane, sociali, relazionali. La prospettiva dell’emarginazione e dell’isolamento o invece la prospettiva di continuare ad essere “normale”, inserito nei meccanismi della produttività sociale imposta dalla controparte e dal capitale, è una questione che ci apre una serie di domande su come poter articolare un nuovo senso comune a partire da delle pratiche comuni. Su questo aspetto sicuramente una questione fondamentale è come si inizia a scegliere di non pagare.

Le tre contraddizioni che si individuavano prima nel momento del contratto cioè la sproporzione tra l’immobile locato, le sue condizioni e il prezzo dell’affitto e gli oneri della proprietà rispetto a quel contratto, sono un punto di partenza. Iniziare col chiedere al proprietario delle sistemazioni consone all’affitto, per esempio la sistemazione della caldaia.
Quello ti dice “sì ma hai ritardato il pagamento quindi non la metto a posto”, lì iniziare a rispondergli “no la metti a posto sennò tutti i mesi inizio a pagarti meno”.
Iniziare ad articolare un discorso sulla sproporzione tra reddito salario e spesa dell’affitto sia alle istituzioni sia nei confronti della proprietà. Il concetto di morosità incolpevole non è un qualcosa di oggettivo ratificato da delle leggi a cui poi puoi accedere tramite dei bandi ma è una dimensione soggettiva di rivendicazione: “ho la morosità incolpevole perché non ce la faccio, non voglio più fare prestiti che non riesco a pagare e portano ai pignoramenti del quinto dello stipendio, tutto questo per pagarti un affitto da 600€ quando ne prendo 1000€ di salario, io te ne voglio pagare 200€”.
Iniziare ad articolare questo discorso, chiederlo e richiederlo. Maturare collettivamente perché quando c’è questo passaggio la dimensione soggettiva proletaria è straordinaria: questo è un conflitto che non è che lo dobbiamo portare noi come compagni, noi dobbiamo immaginare delle possibilità di organizzazione di un conflitto che già esiste su questa cosa. Il corpo proletario è immediatamente ricettivo e la sua soggettivazione su questi dispositivi è potente nei confronti di come può rispondere al proprietario, di come può cambiare il suo atteggiamento.
Questo atteggiamento ha a che fare con l’ambiguità di un modo di relazionarsi che noi dobbiamo assumere non rimuovere: le persone che hanno sempre pagato e che ringraziavano il proprietario per la casa e poi dietro gliene dicevano di tutti i colori. Assumere che questo rapporto possa modificarsi e che si possano trovare nuove parole per rivendicare ciò che mi spetta, trovare la dimensione collettiva di questa rivendicazione e le fasi con cui si può applicare. Questo noi lo abbiamo visto all’opera ma che abbiamo bisogno di immaginarlo su un’altra scala, di mettere la fantasia sia dei soggetti in campo che vivono questo scontro sia dei compagni al servizio di questa possibilità.
Non ultimo la sproporzione di potere tra inquilino e proprietario non è una questione tecnica ma politica, cioè il fatto che il contratto, così com’era il contratto di lavoro e la busta paga per l’operaio massa nei confronti dell’industriale. Il contratto di casa ratifica un rapporto di potere, di subalternità ma dentro questo contratto ci sono delle leve possibili per rompere questo assetto.

Rispetto a questo sappiamo benissimo che una delle pratiche che permette una maturazione veloce non è porre all’inquilino immediatamente la prospettiva del non pagare. Questa è una prospettiva individuale ma anche della nostra lotta però senza costruire gli strumenti per sopportare lo scontro e riprodurlo a vantaggio dell’inquilino.. se la prospettiva del non pagare è lo sfratto e finire in mezzo alla strada nessuno ti viene dietro, o solo una piccola parte della composizione insolvente o che potrebbe diventarlo.
A questo punto è importante pensare e rivendicare un discorso generale ma applicato dentro delle procedure, delle contro-procedure: iniziare a guardare al momento in cui la maggior parte delle famiglie diventano morose e iniziano un percorso di lotta perché il proprietario gli aumenta arbitrariamente il condominio. Sono delle piccole cose che ti fanno schizzare di testa. Magari per mesi, anni hai pagato 700€ di affitto e la casa faceva schifo però la prospettiva di essere moroso non ti apparteneva e nello stesso momento ti aumenta di 6€ il condominio (o altri dispositivi o caldaia etc). e su questo si può fare leva come goccia che fa traboccare il vaso.
Noi dobbiamo capire che infrastrutture politiche costruirci socialmente affinché questa cosa non sia più affidata al caso ma stia dentro un progetto contro il libero mercato, contro gli affitti, contro lo strapotere dei proprietari e delle banche. C’è sicuramente l’elemento della scelta e l’elemento della rottura del senso di vergogna. La rottura del senso di colpa si può articolare nella ricostruzione di chi ci comanda, anche personale nei termini dell’avidità; cioè far vedere che dietro l’atteggiamento del “poverino il proprietario che c’ha solo quella casa” in realtà nella stragrande maggioranza dei casi c’è comunque una rendita finanziaria fortissima. Articolare un discorso di abolizione del senso di vergogna a partire dal ribaltamento dell’idea della scarsità della risorse è importantissimo.
Ribaltare un atteggiamento non soltanto persecutorio ma anche di umiliazione. Cosa da vergogna? La rottura di un’intimità. Il proprietario, o l’avvocato, si permette di rinfacciare il mangiarsi un gelato, bersi un caffè al bar, comprare i giochini ai bimbi. Arrivano a giudicarti, c’è un potere di giudizio unilaterale della proprietà nei confronti degli inquilini, la morosità corrisponde a una colpa a prescindere. La dimensione dell’incolpevolezza o si afferma come carità, che poi ovviamente viene meno nel momento in cui c’è da rientrare in possesso dell’affitto, oppure si articola come persecuzione e vivisezione della tua vita sociale, sino ad arrivare proprio a delle agenzie investigative private. Ci sono proprio dei dispositivi sia dentro le agenzie immobiliari sia dentro la questione delle banche, che i proprietari tramite i loro avvocati guardano quanti soldi hai in banca: cioè non c’è nessuna protezione collettiva della tua situazione sociale. La stessa misura del calcolo isee è un violento dispositivo di impoverimento umano perché in quel dispositivo lì tu sei giudicato o troppo povero o troppo ricco a seconda dei servizi che ti devono essere dati, o meglio rifiutati. Tutto questo potere che viene esercitato di conoscenza della controparte su di noi è un potere che ha molto a che fare con il ruolo sociale dell’assistente sociale.
Il ribaltamento del potere di conoscere, di sapere e di giudicare e anche il tono della voce con cui noi parliamo con i proprietari e con gli avvocati e gli impiegati misura un rapporto di forza possibile nei confronti della proprietà e della rendita. Se andiamo a vedere quello che accade individualmente il tono della voce è sommesso, singhiozzante, il proprietario quando non gli paghi l’affitto magari ritardi inizia a stalkerizzarti al telefono ad esercitare una pressione su di te attraverso una marea di dispositivi. Noi dobbiamo ribaltare quel potere di giudicare, di valutare, di fare pressione nei confronti dei proprietari e del libero mercato.
Per questo e su questo abbiamo bisogno di conoscere e organizzare delle ipotesi politiche di lotta che non ci facciano arrivare sulla difensiva ma ci facciano attaccare e ribaltare l’emergenza abitativa in emergenza di profitto.

La terza questione dentro questo tema della morosità è la misura soggettiva dell’emergenza abitativa, cioè dall’essere moroso all’essere in emergenza abitativa da un punto di vista nostro della lotta è un passaggio non scontato, non immediato, non automatico. Il passaggio che invece è necessario organizzare è quello della consapevolezza non soltanto che di casa non si esce perché facciamo picchetti di decine e decine di persone, partecipati non solo da chi ha lo sfratto ma da chi si avvicina.. una famiglia che inizia a non pagare l’affitto non è che deve aspettare di avere lo sfratto per venire ai picchetti ma inizia a vedere subito quel tono della voce cambiare.

Questa dimensione dell’emergenza abitativa con la maturazione nell’esempio collettivo della possibilità di vincere, di strappare di rivendicare, come sicurezza e garanzia collettiva che di casa non si esce, che di case ce ne sono tante e ce ne possiamo prendere o meglio far dare.
In primo luogo il passaggio all’emergenza abitativa, nella stragrande maggioranza dei casi, è la rivendicazione della riduzione dell’affitto. Da subito la richiesta affiancata all’inizio della morosità deve essere la necessità di costruire un nuovo rapporto di locazione, proporzionale al rapporto di forza messo in campo. Sappiamo benissimo che quando lo chiediamo ci dicono di no, ma dopo magari dieci picchetti e le famiglie che non escono magari decidono di accettare.

Stiamo provando a strutturare una prassi comune in questo senso, la riduzione dell’affitto è per noi il passaggio a un contratto concordato che abbassa le tasse dell’imu per la proprietà dal 22 al 10% ma è anche un contratto che prevede una forbice di riduzione del prezzo dell’immobile per mq in base a una serie di caratteristiche che riguardano solo l’immobile (grande, piccolo, centro, periferia, arredato o no etc), non tiene di conto del vincolo sociale del reddito dell’inquilino. Ovviamente non esiste il fatto che ci dev’essere una proporzione tra l’affitto e il reddito ma per noi esiste, ce la facciamo esistere, gli diciamo vuoi un nuovo affitto allora dev’essere pagabile. Ovviamente tutto ciò è molto faticoso anche poco politicamente potente, ha a che fare sempre con singole situazioni, per questo è centrale assumere il campo di scontro sulla morosità nella critica e nell’abolizione del libero mercato, trovare delle soluzioni potenti in campagne di massa che dobbiamo articolare per distruggere questo contratto iniziando a praticare l’autoriduzione.

 

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