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Sistema Yoox: se nel “magazzino degli schiavi” scoppia lo sciopero

Leggi anche i primi capitoli dell’inchiesta:

Yoox: molestie sessuali sulle facchine. Ora basta, è sciopero!

Inchiesta operaie Yoox: “Abbiamo spalancato la porta e siamo uscite!”

 

SISTEMA YOOX

Quando e come vieni assunto alla Yoox?

Era il periodo in cui Yoox si stava allargando e aveva affidato alla cooperativa Mr.Job le proprie richieste di impiego. Lo venni a sapere e decisi di presentarmi direttamente alla sede della cooperativa.

Lì mi venne fissato un appuntamento al magazzino Yoox dell’Interporto con un responsabile che faceva capo al reparto di data entry.

Il colloquio avvenne nell’area di ingresso, davanti alla portineria in una sorta di corridoio che immetteva direttamente nell’area di lavoro. Lì in mezzo c’era questa scrivania dove da una parte c’ero io e dall’altra il responsabile. Tutt’intorno un gran trambusto, gente che andava e veniva, stendini e persone che si muovevano a gran velocità davano il senso di una gran concitazione e di molto lavoro da svolgere.

Le domande che mi vennero poste furono principalmente due. Se avevo dimestichezza con il pc e se utilizzavo i social network. Risposi di si e fui arruolato.

Le assunzioni in quel periodo avvenivano con grande facilità e la maggior parte dei ragazzi anche più giovani di me veniva assunta per il data entry, cioè l’inserimento dati per il database del sito di Yoox.

 

Com’è organizzato il lavoro all’interno dei magazzini?

Quando io ho iniziato a lavorare c’era un solo magazzino diviso in più settori e l’idea di sistema di lavoro che Yoox voleva dare era quello di una struttura all’americana molto flessibile in cui gli operai partivano tutti dal primo reparto e poi seguendo il ciclo produttivo venivano spostati ai reparti successivi. Questo in teoria doveva fornirci una conoscenza complessiva del sistema di lavoro.

Gli spostamenti erano continui, potevi farti due mesi di magazzino puro, in cui la merce la togli dai cartoni, la conti materialmente, la dividi, butti via i cartoni, porti via i pancali di legno etc…

poi potevi fare anche solo mezza giornata nel reparto successivo in cui agli articoli devi applicare un barcode e così via… solo successivamente la persona veniva collocata nel ruolo per cui è stata assunta.

Tutto ciò però non produceva tra noi una percezione compiaciuta della conoscenza della complessità del processo lavorativo ma esclusivamente l’idea di una gavetta che poteva portarti dai ruoli più umili verso una possibile collocazione migliore. Il discorso principale che si sentiva fare tra i neo assunti era dominato dalla speranza della “svolta”, sintetizzabile in un “ok mi faccio due settimane nella merda, mi impegno, mi rompo la schiena, così poi mi fanno fare qualcosa di meglio…”.

In realtà questo impegno che uno ci metteva non era affatto detto dovesse coincidere con questa idea di ascesa… così ci sono persone che sono state assunte e poi hanno fatto solo quello, come per esempio la maggior parte dei nostri colleghi filippini che perlopiù venivano collocati nella prima fase della lavorazione e lì restavano, abilissimi e velocissimi ad aprire i cartoni e a smistare la merce.

E poi gli spostamenti venivano usati anche in una logica punitiva, potevi retrocedere in un reparto più difficile per diversi ordini di ragione, perché non eri abbastanza produttivo o perché avevi fatto una malattia di troppo o perché avevi risposto male al responsabile.

Quando i magazzini da uno sono diventati tre , questa separazione tra i diversi settori è chiaramente andata intensificandosi. Io il mio lavoro di data entry lo svolgevo in un magazzino a parte.

Ricordo una mia collega che aveva una funzione di capofila di gruppo all’interno del mio settore, con la sua stessa funzione erano in 4 ciascuno con il proprio sottogruppo, un giorno solo a lei venne comunicato un cambiamento, sarebbe stata sostituita da un nuovo responsabile perché il suo gruppo non raggiungeva un buon livello produttivo. La punizione per lei non era un semplice cambiamento di ruolo ma una retrocessione addirittura nell’altro magazzino, quello che noi chiamavamo il “magazzino degli schiavi” dove c’era tutta la fase iniziale di lavorazione manuale più pesante. Lei rifiutò e decise di licenziarsi.

 

Sembra quindi esistere un sistema profondamente gerarchico volto a dividere gli operai e a creare un clima di paura e incertezza. Come si concretizza nel vostro lavoro quotidiano?

Il reparto da cui tutto ha inizio è quello “dell’asseriamento” delle merci. Qui si procede allo smistamento dei capi d’abbigliamento, alla loro numerazione e controllo e infine alla creazione di unità di carico, cioè all’associazione dell’articolo con un barcode, da qui la merce è pronta per essere stoccata. Solo successivamente c’è il data entry vero e proprio attraverso il quale un codice a barre (quindi ogni articolo) si trasforma in scheda elettronica compilata e descritta in base alle caratteristiche dell’articolo. A questo punto l’articolo viene messo in condizioni adeguate per essere fotografato e diventare quel capo d’abbigliamento che tutti gli utenti di Yoox conoscono quando visitano il sito.

Il potenziale cliente sul sito in breve tempo può scegliere ad esempio il modello che preferisce tra 10 paia di jeans, selezionando sulla pagina web quelle che sono certe caratteristiche che lui cerca, clicca sull’articolo scelto, lo acquista e se lo fa spedire.

L’operatore di magazzino in una mattinata può vedere centinaia e centinaia di capi che deve saper smistare, distinguere e catalogare in base alla taglia ma anche per dettagli minimi come colore e spessore delle cuciture etc. E tutto questo lo fa a vista d’occhio, senza ausili di nessun altro tipo.

Il sistema tecnologico di lavoro collega solo la fase del caricamento dati con quella della vendita ma non le fasi precedenti di magazzino, inoltre se l’operatore di data entry processa mediamente 100 articoli al giorno, l’operatore di magazzino nello stesso periodi di tempo ne lavora almeno un migliaio.

Questa gerarchia tra le diverse fasi del lavoro è sempre stata molto presente e ora ha trovato sponda anche nell’intervento che i confederali hanno iniziato a fare dopo il nostro sciopero. Da una parte chiedono la regolarizzazione dei contratti adeguandoli al ccnl ma dall’altra esaltano questa gerarchia presente nel magazzino attraverso una proposta di livelli differenti per le diverse sessioni di lavoro.

Quindi chi lavora solo con la merce avrà un certo livello contrattuale, chi con il data entry ne avrà uno superiore e chi in fotografia uno ancora migliore etc. e questo indipendentemente anche dagli anni di servizio.

Io per tre anni ho avuto un contratto con livello 6 junior e dopo tre anni sono passato al 6 senior… una miseria che però una mia collega assunta un mese dopo di me non aveva ottenuto. Di fronte alle proteste della ragazza il responsabile aveva risposto che la scelta era in suo favore perché lo scatto di livello per lei si sarebbe concretizzato in circa 30 euro l’anno.. mentre scegliendo altre via come i premi produzione e le trasferte Italia ci sarebbero stati più vantaggi… io poi questa differenza di livello ero andato a controllarla e mi ero reso conto che si trattava di 20 euro al mese e non di 30 all’anno… inoltre sui premi di produzione e sulle trasferte Italia che abbondavano nelle nostre buste paga mi ero reso conto che erano loro a guadagnarci non pagando le tasse, mentre a noi su queste voci nemmeno ci versavano i contributi.

 

Passiamo ora alle condizioni di lavoro.

Quando io ho iniziato il reparto dell’asseriamento aveva due gruppi di non più di 7/8 persone a cui facevano capo due responsabili, e il lavoro da fare era quasi tutto a portata di mano, adesso la situazione è molto cambiata perché il lavoro è aumentato, il magazzino è più grande e ci sono molti più gruppi di persone che devono gestire le diverse operazioni e che devono spostarsi fisicamente da una parte all’altra con una certa velocità.

Certo portiamo le scarpe antinfortunistica ma come dispositivo di protezione è relativo quando devi andare veloce in un capannone pieni di persone che girano, di materiale stipato, di strumenti e macchinari tutto attaccato, stendini ovunque pieni di capi d’abbigliamento che non possono essere appoggiati da altre parti prima di essere venduti… e dove non c’è spazio per mettere i piedi, uno stendino diventa un ostacolo su cui poter inciampare, come è capitato spesso! Parecchie colleghe sono cadute in questo modo!

C’è stata una richiesta sempre più crescente a velocizzare il lavoro e al contempo è aumentata la responsabilità richiesta nella riuscita dello stesso. Le persone si sono trovate a doversi preoccupare enormemente di tutto quello che facevano. Venivano sgridate in continuazione dai vari capi su cose che non erano in grado di poter controllare… e di questo io mi accorgevo ogni volta che dal mio posto mi spostavo nell’altro magazzino.In questo primo magazzino dove avevo lavorato c’era una sala mensa 2mtx3 senza finestre. E questa sala mensa non era solo per la cooperativa, era per il personale Yoox, per la modelle, per i fotografi…. 2×3 per più di 200 persone ..

E all’interno del magazzino due soli bagni su un’area di credo circa 1000 mt2… Io di solito mangiavo in piedi perché mi dava fastidio che una mia collega non potesse sedersi, altri preferivano mangiare fuori perché tanto non ci sarebbe stato posto.

 

La Yoox è considerata un modello imprenditoriale per la sua capacità di innovazione e per la velocità con la quale è stata in grado di imporsi nel mercato realizzando profitti multimilionari. Come influisce questa crescita sulla struttura del lavoro e quale ruolo assume la cooperativa a cui viene esternalizzato il lavoro?

Da quando sei anni fa Yoox ha iniziato ad ingrandirsi e a esternalizzare il lavoro, nei magazzini si è sentita una spinta fortissima a velocizzare e ad intensificare la produzione e quindi la quantità di merce trattata e ciò con un ritardo mostruoso nell’adeguamento delle strutture e dei processi formativi che potessero essere funzionali a quei livelli che Yoox pretendeva.

Yoox pretendeva molto dalla cooperativa ma tutto il peso veniva in ultimo scaricato sui lavoratori.

C’erano queste assemblee che ci facevano i responsabili della cooperativa in cui ci veniva descritta la situazione come disastrosa. Sembrava che tutti i giorni si rischiasse di perdere l’appalto.

Le frasi erano di questo tenore “non potete più pensare di prendervi un giorno di ferie o di stare a casa perché avete un mal di denti o di dire di no se vi viene chiesto di lavorare il sabato”. L’ansia e il peso della responsabilità che ci veniva buttato addosso era enorme. Il fatto è che i rapporti tra la cooperativa e il committente sono del tentativo della cooperativa di corrispondere a tutte le richieste allucinanti del committente per un livello di produzione che si deve espandere a quei livelli di raddoppio dell’introito per cui certe multinazionali non possono continuare ad esistere! Ogni anno devono raddoppiare per stare sul mercato e questa sembra che sia una legge aurea, ma io poi non so se sia davvero così… so però che di questo sistema perverso siamo noi a fare le spese. E in una società come la Yoox che nel giro di qualche anno è passata da 40 lavoratori a 400, la cooperativa appaltante ha tradotto la richiesta del committente creando un sistema che per i suoi “soci lavoratori” ha finito nel tradursi con il principio del “io vi dò il lavoro e vi dò dei servizi, ma né l’uno né l’altro possono essere per tutti”.

E così capita che non tutti possano lavorare le ore corrispondenti al contratto per cui sono stati assunti o che non tutti possano usare il “furgoncino (9 posti) messo a disposizione dell’azienda per raggiungere il magazzino” .

Un sistema premiale che si organizza attraverso gerarchie, premi e punizioni e che per forza di cose deve escludere qualcuno.

 

Come si svolge la formazione? Qual è il vostro rapporto con dirigenti e responsabili?

Quando io ho iniziato al data entry la formazione a noi personale di cooperativa la faceva il personale diretto Yoox.

Un corpo di 40 addetti che dallo svolgere direttamente il lavoro con una certa specializzazione si era trovato a formare centinaia di operatori messi dentro dalla cooperativa a palate, senza alcuna distinzione né richiesta specifica di formazione, perché tanto ci veniva detto “i target che vi diamo sono solo numerici , poi una soluzione si trova!”.

Uno dei discorsi principali era quello per cui “bisogna far lavorare le macchine e i lavoratori in modo sinergico e arrivare al massimo livello di produzione”, che tradotto significa che se ad esempio in un officina che deve produrre 1000 bulloni al giorno questa cifra non viene prodotta quello che si deve rivedere e intensificare è il rapporto del lavoratore con la macchina e non le condizioni di lavoro più generali.

Tra i responsabili Yoox ne ricordo uno che diversamente dagli altri aveva una particolare attenzione alla nostra formazione e che insisteva spesso nel dirci di far presente quali problemi avessimo, cosa non avessimo capito e cose di questo genere.

Ricordo una riunione in cui era presente sia lui che il responsabile della cooperativa, il primo aveva iniziato un discorso il cui fine era quello di esortarci ad un impegno maggiore ma ammettendo una serie di limiti oggettivi , cercò di essere più accomodante con una frase che diceva pressapoco “Ragazzi io so che il lavoro che fate è alienante ma …” lo interruppe bruscamente il responsabile della cooperativa che disse “No! Alienante è fare mattonelle 60×40, questo vostro lavoro invece è bello!”

Non passò molto tempo che quel responsabile un po’ più umano degli altri non lo vedemmo più.

 

Insomma, un lavoro alienante in cui le operaie e gli operai sono considerati alla stregua di macchinari. Esiste la percezione di ciò tra i colleghi?

Un giorno ci venne detto di non venire a lavorare l’indomani perché nel magazzino dovevano essere fatti dei lavori all’impianto elettrico… successivamente scoprimmo che in realtà per quel giorno era prevista una visita da parte di alcuni businesspartners di Yoox. E quello che dicevano negli uffici era che si doveva evitare di mostrare agli investitori la merce umana che Yoox gestiva con le cooperative.

Il livello di insoddisfazione e di percezione di un certo sfruttamento secondo me è abbastanza diffuso ma è altrettanto martellante questo discorso di una possibile ascesa.

Uno dei manager di riferimento della Yoox qui a Bologna è un self made man argentino che dice di essere stato due anni clandestino in Italia, e lui questa cosa la ripete sempre nelle assemblee a tutti i lavoratori che perlopiù sono stranieri provenienti dal Nord Africa, dall’Est europa e dalle Filippine, come se per ognuno di noi fosse possibile un’ascesa simile alla sua.

Riunioni con tono paternalista in cui viene decantata l’importanza che l’azienda vede nella famiglia e che si concretizza per esempio attraverso certe gratifiche natalizie che vengono date alle donne che hanno figli.

Anche se poi a molte mie colleghe è stato esplicitamente consigliato da parte di alcuni responsabili della cooperativa di non rimanere in cinta perché non era il caso di assentarsi per un così lungo periodo dal lavoro.

 

Come è iniziata la tua ribellione e come si è svolto il tuo incontro con il sindacato S.I.Cobas. e

cosa ti ha spinto ad avvicinarti ad esso?

Io il sindacato S.I.Cobas lo avevo già conosciuto più di una anno fa, ma parlando con qualcuno di loro avevo espresso i miei dubbi sulla possibilità che all’interno del mio magazzino sarebbe stato possibile organizzare non dico uno sciopero ma anche solo un’assemblea.

E invece un anno dopo mi sono accorto che in un altro reparto le mie colleghe erano riuscite ad organizzarsi e così quando feci questa felice scoperta non esitai a passare con loro.

Personalmente per me i problemi, intendo le punizioni e gli spostamenti erano iniziate quando avevo cominciato a lamentarmi con il responsabile della cooperativa per le poche ore che mi faceva fare, rispetto a quelle per cui ero stato assunto. Ricordo il giorno in cui senza mezzi termini gli avevo chiesto un po’ provocatoriamente se avessi dovuto portare una tenda davanti all’azienda e iniziare a vivere lì, visto che l’affitto non ero più in grado di pagarlo. Da quel giorno i miei spostamenti all’interno del magazzino furono costanti, giravo sempre con il mio borsello con dentro il mio spazzolino da denti e qualche altro effetto personale, perché tanto un armadietto non lo avevo più.

Però questo mi permise di conoscere diverse colleghe e di osservare con più attenzione molte cose che nel mio magazzino “Più privilegiato” non vedevo. Ciò che mi impressionò maggiormente fu la quantità di pianti quasi quotidiana a cui assistevo. Si respirava un clima di pressione costante creato da richieste sempre più esigenti, un controllo quasi maniacale sulla produzione, atteggiamenti offensivi e pressanti dei responsabili nei confronti di queste ragazze che quando non reggevano più il livello di tensione scoppiavano a piangere, forse liberandosi momentaneamente di quel peso che dovevano sopportare.

 

LO SCIOPERO

 

Ad un certo punto decidete di scioperare. Quali sono le cause? Come si svolge il primo sciopero? Come influisce sul gruppo?

Il primo sciopero a cui ho partecipato non era stato programmato, così quando ho capito che era iniziato io ero in postazione, ma ho immediatamente spento il pc, mi sono alzato e sono uscito, per raggiungere gli altri. Due mie colleghe non erano state fatte entrare al lavoro quella mattina. Senza nessuna spiegazione, come al solito veniva applicata una punizione, non facendoci lavorare.

E loro dovevano essere punite perché avevano alzato la testa e si erano iscritte al sindacato. Fu così che iniziò questo secondo sciopero come risposta a questa ritorsione. Non avevo mai vissuto prima di quel giorno una forma di sciopero di quel tipo! Intendo con i blocchi e tutto il resto! Abbiamo iniziato a bloccare i camion e a dire ai camionisti che non si poteva né caricare né scaricare la merce. Questo evento lo vedevo come estemporaneo ma in grado di dare l’idea del blocco totale e questo mi convinceva, lo trovavo efficace… perché il blocco è l’unica possibilità che hai per farti ascoltare, per rovesciare un rapporto di forza con queste “entità” così potenti che altrimenti non ti prenderebbero nemmeno in considerazione .

E poi è stata forte l’energia che questa forma di lotta è stata in grado di creare nel gruppo che aveva deciso di scioperare. La percezione che fosse un ambito di lotta e che come tale andasse organizzato è stata immediata ed è stata quasi spontaneo muoverci in quel senso.

I responsabili a molti dei nostri colleghi andavano ripetendo che questo nostro sciopero noi lo abbiamo voluto fare perché ce l’ha ordinato un sindacato che è pieno di gente che non ha voglia di lavorare e vuole solo i soldi e allora si mette ad attaccare gente più potente, ma io che lavoro lì da 4 anni l’ho fatto pensando che quello potesse essere l’unica speranza per poter continuare a lavorare lì… io sono entrato nel sindacato perché sono arrivato al punto di capire che non avrei potuto far altro per migliorare l’ambito di lavoro in cui praticamente vivo che provare ad organizzarmi con gli altri miei colleghi e colleghe.

La cosa che più mi ha impressionato il giorno dello sciopero è stato vedere le mie colleghe attraverso le vetrate del magazzino chine a ritagliare e scrivere su dei cartelloni mentre i responsabili le organizzavano. Noi avevamo capito cosa stava succedendo perché vedevamo cosa gli facevano scrivere. Stavano ordinando una contromanifestazione e nessuno come sempre aveva avuto il coraggio di reagire nel magazzino. Tutto questo mi fece rabbrividire.

Ma se loro non avevano ancora trovato il coraggio in compenso con noi lì fuori c’erano tante altre persone, studenti e altre realtà politiche che insieme al sindacato erano pronti a sostenerci e questo mi ha fatto molto piacere soprattutto perché ciò è avvenuto in maniera naturale e orizzontale.

 

Il giorno seguente i blocchi continuano, la situazione si fa più tesa e arriva anche la polizia.

Il secondo giorno di sciopero mentre fermavo i camion cercavo di spiegare ai camionisti che non ce l’avevamo con loro, il nostro era un blocco degli automezzi e della merce e il danno era rivolto all’azienda non a loro, ma non tutti erano propensi a capire, non tutti erano pazienti, uno in particolare quasi mi investì!

Dopo qualche ora erano arrivate anche le camionette delle polizia che si erano parcheggiate non lontano da noi.

Nel frattempo sentendo il rumore metallico che proveniva da un bilico appoggiato alla ribalta avevamo capito che lo stavano caricando di carrelli e stand per farlo partire. Così in un batter d’occhio decidemmo di infilarci sotto il cassone di quel bilico per impedirgli la partenza. Ed effettivamente in questo modo impedimmo che il bilico venisse agganciato al rimorchio.

Dopo qualche ora passata lì sotto notammo che le forze dell’ordine avevano iniziato a darsi un gran da fare, quelli in borghese parlavano concitatamente tra di loro, il maresciallo dei carabinieri a sua volta parlava con i responsabili dell’azienda e poi di nuovo con quelli in borghese, allora capimmo che stava per succeder qualcosa e infatti poco dopo i poliziotti iniziarono a mettersi i caschi e ad avanzare verso di noi. Ci tiravano e cercavano in tutti i modi di dividerci ma noi eravamo un grappolo umano sempre più stretto.

Ricordo che in quel momento mentre mi tiravano mi prese un crampo dolorosissimo alla gamba, perciò mi piegai tutto su un lato e venendo trascinato con forza sull’asfalto finii col procurarmi una brutta escoriazione sulle spalle e lungo il braccio su cui tra l’altro avevo una brutta ustione procuratami il giorno precedente durante il blocco che avevamo fatto per tutta la giornata sotto il sole cocente.

Un dolore immenso ma in quel momento nemmeno me ne rendevo conto. Lo stesso trattamento era stato comunque riservato anche alle ragazze che erano con me sotto il camion.

 

Come valuti queste prime giornate di lotta? Quali prospettive hanno aperto?

Dobbiamo andare avanti cercando di perseguire dei risultati: anzitutto dobbiamo far capire ai nostri colleghi che hanno paura e che possono aver visto questo nostro sciopero come una forma caotica e pericolosa che è proprio l’aver iniziato questa battaglia che ha permesso di far avere dei risultati anche a loro!

Per anni e anni nulla è mai cambiato nel magazzino e i sindacati confederali sono sempre stati d’accordo con l’azienda. Il loro atteggiamento è mutato solo dopo che sono stati costretti a farlo dalle nostre azioni. E’stato grazie alle nostre pubbliche denunce sulle condizioni di sfruttamento, è stato grazie al nostro sciopero che Mr.Job, Cgil, Cisl e Uil hanno dovuto prendere una posizione e muoversi nel tentativo di regolarizzare un minimo la situazione lì dentro. E’ solo da questa nostra lotta che si è iniziato a parlare di allungare i part-time in full-time, di sistemare le buste paga e di prospettare in generale dei miglioramenti, anche se poi nelle loro proposte dei sindacati confederali si continua a voler differenziare e sacrificare la posizione di molti lavoratori come nel caso del discorso sui livelli… ma quello che è chiaro è che in generale è stato sulla spinta di questa lotta che le cose sono iniziate a cambiare perché se tutto questo non fosse mai iniziato nulla sarebbe mai cambiato!

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