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Spiazziamo il dibattito? Domande aperte sull’Oxi tra “contropotere” europeo e lotte

 

La fallacia dell’analogia

A partire da questo scenario, in molti si sono lanciati in analogie tra la Grecia attuale e altre situazioni. Particolare fortuna sta avendo il parallelismo col default argentino del 2001. Ma proprio a partire da questo paragone si può sviluppare una riflessione che intende problematizzare la ampie dosi di enfasi e retorica che hanno abbondato trasversalmente in molti documenti circolati in questi giorni. Al di là dei dati strettamente economici, c’è un dato politico che pare venir sottostimato dai più. La crisi argentina ha visto l’emersione di moti di carattere insurrezionale che avevano come slogan l’ormai famoso Que se vayan todos. Un processo che ha dunque visto l’esplosione sociale come conseguenza delle scelte politiche del governo, e che nell’abbattimento di quel nemico ha costruito la spinta e le forme di organizzazione che ne hanno consentito l’espressione. In Grecia lo scenario è in qualche modo speculare, opposto. Anzi, forzando un po’ i termini del discorso, si potrebbe sostenere che se la Grecia è stata schiacciata dalle politiche di austerità è stato proprio in risposta all’insurrezione del 2008. Una rivolta durissima che spaccando in due il patto costituzionale con più di una generazione di giovani e giovanissimi greci, ha anche superato le capacità di organizzazione ed egemonia dei gruppi anche più radicali, e che ha sedimentato e messo in movimento una trama molecolare di comportamenti, organizzazioni e istituti sociali autonomi che con una importante continuità ha informato la politica greca per gli anni successivi. Questa onda multiforme, infrantasi sullo scoglio dell’austerità, è però defluita da almeno un paio d’anni, incapace di articolare e trasformarsi su un progetto politico all’altezza dello scontro e capace di incidere, creare prospettiva e organizzarsi su tale livello. Un problema politico che rimane aperto e scottante per chiunque si orienti su un orizzonte rivoluzionario. Questa sconfitta ha consentito a un’ipotesi come quella di Syriza di affermarsi, anche tramite la cooptazione di intelligenze ed esperienze di organizzazione del movimento. Non a caso in questi giorni i tanti parlamentari europei presenti ad Atene sono stati portati dai dirigenti di Syriza a visitare i centri sanitari autogestiti di quartiere come fiore all’occhiello, e le numerose e straordinarie forme di mutualismo, orfane però da tempo di una progettualità antagonista.

 

Quali spazi per il riformismo?

In tale contesto quali spazi sussistono per un’ipotesi che si muova nell’orizzonte del contro-potere, ma in questo caso nella genuina accezione di forme di organizzazione e istituti autonomi di classe e “dal basso” – dove con tale, infelice, espressione geometrica intendiamo in primo luogo forme di vita del territorio in via di sottrazione al controllo istituzionale sia dello Stato che del capitale? Si è sentito molto parlare a gennaio di una dialettica tra movimenti e istituzioni, ma non abbiamo assistito a un’ondata di occupazioni, azioni e iniziative che spingessero il governo greco nella trattativa con la Troika. Vedremo domani! Per ora tale “mancanza” va anche se non soprattutto attribuita al magnetismo centripeto giocato da Syriza, che inevitabilmente ha condizionato e depotenziato il tessuto che avrebbe eventualmente reso possibile tali dinamiche. D’altra parte nella storia molto europea di casi in cui una forma “socialdemocratica”, per quanto vera, sincera e radicale, abbia avuto un rapporto virtuoso con istanze rivoluzionarie, né i libri né le memorie di classe portano traccia. Alla depoliticizzazione del sociale tramite una verticalizzazione entro istituzioni pre-date della decisione politica, difficilmente possono corrispondere, si permetta la semplificazione, azioni diverse dal voto. E, al di là delle enfasi a tratti sinceramente ridicole sul No come insubordinazione di massa del popolo greco, ci sia permesso di dire che un voto è sempre un voto. In Italia il referendum sull’acqua dagli esiti straordinari dovrebbe aver insegnato qualcosa, ma la memoria è sempre corta e quando le cose succedono lontane sono sempre più belle. Vale per gli scontri come per i voti. A questo si potrebbe aggiungere che la decisione di Syriza di costruire una relazione di conflitto tutta basata sul “nemico esterno” è servita a coprire una scarsa radicalità nelle riforme sul piano interno. Malafede e scarso coraggio del partito di governo? Può darsi. Ma il problema è probabilmente più profondo. E’ davvero possibile oggi, tramite il controllo parlamentare della macchina statuale, l’applicazione di riforme di taglio keynesiano, socialdemocratico o più in generale redistributive e con intenti egualitari? O un’altra gestione possibile dell’austerità è l’unico vero spazio di manovra? Ancora, ponendo lo stesso tema entro un’altra prospettiva, il No greco – reso indubbiamente possibile dai conflitti passati, affermazione della quale tuttavia ci facciamo ben poco se non una constatazione di principio – ha rappresentato davvero un voto per la democrazia o parlava di una domanda impossibile da soddisfare in questo tracciato?

 

Riportiamo i piedi sul terreno

Arriviamo ora al punto che più ci interessa. Se la scala entro la quale leggere il processo della trattativa greca, al di là dell’enfasi sull’evento-referendum con le conseguenti momentanee manifestazioni più o meno giustificate di speranza, è quantomeno europeo, quali ricadute, risonanze, effetti sponda e traduzioni può avere nei territori della nostra penisola? Chi può davvero capitalizzare questa vittoria? Si è infatti molto scritto che l’Oxi ha aperto uno spazio di possibilità e un tempo di decisione. Bene. Ma sarebbe forse il caso di chiederci analiticamente dove, quando, ma soprattutto per chi? Se infatti non siamo interessati a una partita tutta interno al lessicale e al piano della costruzione del discorso, ad una rincorsa a chi meglio è in grado di sfoggiar retoriche, a un gioco a somma zero che porta sempre tutti ad avere ragione in polemiche e dibattiti asfittici e autoreferenziali, dovremmo forse partire da tali domande. Dei discorsi di chi si pone da generale senza avere un esercito o da condottiero delle masse senza nessuno al fianco, di consiglieri di un Principe che non c’è, di grandi, ridondanti e vuoti proclami, chi lotta cosa se ne fa?

Le lotte – spesso evocate ma raramente praticate, organizzate, con la continuità, la pazienza e il metodo che troppi pochi vogliono avere, sempre pronti al gioco politicista del parlare sugli altri o sul nulla – in che modo si rafforzano dal No greco? Su questo nodo sarebbe interessante produrre dibattito e discorso. Gli “spazi aperti”, almeno ad ora, paiono più che altro rientrare all’interno dell’opinione pubblica – concetto sul quale sarebbe doveroso approfondire. Chi può agire questo spazio? Quale opzione politica e ipotesi si potrà nutrire programmaticamente nei prossimi mesi dell’Oxi? Tutte domande e dubbi che scriviamo in maniera non polemica, sulle quali sarebbe davvero utile discutere fuor di retorica o sterile polemica tra irrigidite e ideologiche posizioni.

 

Europe: what if…

Si è consolidata una rigida dicotomia negli ultimi mesi nel dibattito dei gruppi politici della sinistra antagonista, di movimento o come preferiamo definirli, nominata come europeisti vs antieuropeisti. Provocatoriamente potremmo sostenere che i primi potrebbero dire che è proprio sul terreno dell’Europa che si è aperta la frattura (il No era all’austerità, ma con un Sì all’Unione Europea), i secondi che in fondo il No rompe definitivamente l’illusione di chi crede nella riformabilità dell’Unione Europea. Siamo sicuri che questa opposizione bianco/nero sia quella più utile dal punto di vista dello sviluppo del conflitto sociale? Che il delineare l’Europa come spazio politico della speranza da conquistare o come mostro da abbattere sia la strategia più adeguata e aderente a bisogni e desideri della composizione sociale per le potenzialità di apertura della lotta di classe in Italia? Questioni che riteniamo troppo spesso eluse, dando per scontate le proprie posizioni e desiderata (che magari in astratto e per gusto condividiamo anche) non basate su pezzi di realtà ma su elucubrazioni e studi più o meno ben fatti. Quindi, siccome ogni discorso politico contiene latente o esplicita una proposta politica, ci domandiamo di nuovo: per chi o a chi parliamo quando discutiamo del referendum greco? Contestualizzando e situando i nostri ragionamenti: quali soggetti, quali lotte dovrebbero o possono agire questo Oxi in Italia? Orientate verso cosa? Quali strumenti organizzativi, gerarchie di scopi ci indicano di allestire?

Dentro le coordinate che si delineano in questo campo, fuori dalle semplici dicotomie, sarebbe forse più produttivo spiazzare e riformulare il dibattito, per chi non sia interessato al mero gusto per la prosa più intrigante o a rimirare il proprio ego riflettendosi nella giustezza autoaffermata della propria posizione; per chi non sia interessato al crogiolarsi in una politica meramente affermativa che senza porsi la vertigine del potere finisce per lasciare sempre ad altri la decisione… diventa sempre più importante capire dove orientare la costruzione di inimicizia. L’individuazione e la definizione dei contorni di una dialettica amico-nemico delinea infatti il campo di battaglia all’interno del quale si agisce, i rapporti di forza si contendono spazio, le temporalità della rottura si materializzano. Siamo sicuri che le domande, le proposte e i campi di battaglia indicati a partire dal voto greco siano quelli corretti per lo sviluppo delle lotte nei nostri territori?

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