*ZAPRUDER* – La parola alla radio. Ror, un’esperienza militante
Giorgio Ferrari, Giangi
La parola alla radio ROR, un’esperienza militante
(a cura di Salvatore Corasaniti)
Giorgio Ferrari è esperto di problemi dell’energia, e in particolare di combustibile nucleare (autore con Angelo Baracca di Scram ovvero la fine del nucleare, Jaca Book, 2011). Membro del Comitato politico Enel e dei Comitati autonomi operai e co-fondatore di Radio Onda Rossa, processato per istigazione a delinquere, apologia di reato e assolto con formula piena. Curatore de «I Volsci. Mensile dell’autonomia operaia romana», «Rossovivo», cofondatore della collana I Libri del No, curatore di Autonomia Operaia (Savelli, 1976) e collaboratore della rivista «Cassandra».
Giangi ascolta la radio fin dal primo giorno (24 maggio 1977) e diventa un compagno della redazione nel settembre 1981. Il suo reddito, invece, gli viene dall’attività di bibliotecario in una estrema periferia romana. Ama ovviamente i libri, ma è un po’ stressato dalla cronica insufficienza di tempo da dedicare a tutte le cose che gli piacciono e lo appassionano: come le arti dello spettacolo, l’alpinismo, la comunicazione in una radio politica di nome Radio Onda Rossa.
Potete raccontarci il contesto in cui nasce l’esperienza di Radio Onda Rossa? Chi sono stati i fondatori, a quali realtà appartenevano?
Giorgio: L’ambito politico e sociale in cui nasce l’idea di creare una emittente radiofonica nella città di Roma è caratterizzato da una presenza attiva e diffusa di comitati e collettivi che operano sia nei quartieri più popolari che in alcuni posti di lavoro. è un contesto in cui il concetto di militanza è determinante (e Radio Onda Rossa nasce come radio militante) ma non nel senso che, nel tempo, è stato attribuito al termine “militante” e cioè sinonimo di durezza, rigidità o addirittura di violenza. La militanza degli anni ’70 era innanzitutto convinzione in determinati ideali e impegno conseguente a metterli in pratica anche perché, a differenza di oggi, si intravedeva veramente la possibilità di cambiare lo stato delle cose. Una parte consistente di queste realtà territoriali, che era già organizzata nei Comitati autonomi operai di via dei Volsci, si assunse il compito di dare vita a Radio Onda Rossa.
Giangi: Io sono entrato in radio nel settembre 1981, quindi nel 1977 ero semplicemente un compagno del movimento, occupante dell’Università La Sapienza, di un collettivo universitario. Sapevo che la radio era stata fondata dai Comitati autonomi operai, che era uno strumento di comunicazione a disposizione del movimento e che era una realtà importante.
Perché si è deciso di aprire una radio? Quali riflessioni vi hanno portato a pensare a questo strumento di lotta?
Giorgio: Da un lato perché l’informazione corrente distorceva inesorabilmente quanto accadeva nella società, dall’altro perché stavano cambiando i linguaggi e le forme della comunicazione. C’era una esigenza generale di ripresa della parola che sorgeva dal basso e non era circoscritta alla componente politicizzata della società, ma riguardava tantissime persone che pur avendo un estremo bisogno di comunicare, avevano perso l’uso della parola. Per questo fin dall’inizio concepimmo la redazione di Radio Onda Rossa come una struttura aperta a esperienze diverse da quelle più strettamente “militanti” e i risultati non si fecero attendere, anche perché i microfoni erano sempre aperti e chi era all’ascolto poteva intervenire in qualsiasi momento.
Giangi: La sintesi può essere in questa frase, ancora attuale: «Per chi crede che la libertà di stampa e di informazione non è libertà dei padroni di insultare i proletari che lottano per la loro liberazione, è doveroso fare ogni sforzo perché i proletari abbiano le loro fonti di informazione. Radio Onda Rossa è una di queste fonti» [dal manifesto che annunciava l’apertura della radio, maggio 1977].
Sapete dirmi qualcosa sull’ascolto? Da quali quartieri di Roma venivano i riscontri più numerosi alle trasmissioni? Quali, tra le lotte che avete seguito come emittente nei primi anni, ricordate particolarmente e perché?
Giorgio: Non c’erano zone della città dove si può dire che l’ascolto fosse preminente, semmai c’era una variabilità nel tipo di ascoltatori che seguivano la radio. Accanto ad una base di ascolto consolidata emergeva, a seconda del momento, una attenzione insospettata a ciò che diceva Radio Onda Rossa fatta di persone che volevano sentire un punto di vista diverso su fatti significativi che erano accaduti o su temi insoliti che solo Radio Onda Rossa affrontava. è il caso delle trasmissioni sulla droga o sulla psicoanalisi, oppure delle lunghe dirette che si fecero durante il sequestro Moro o quelle per le manifestazioni di piazza dove, non essendoci ancora i telefoni cellulari, le corrispondenze dal vivo venivano fatte dai telefoni pubblici. Quanto alle lotte è difficile ricordarle tutte, ma certamente essere presenti nel 1980 davanti ai cancelli di Mirafiori occupata ad intervistare gli operai che ci guardavano meravigliati perché eravamo venuti apposta da Roma, fu un momento indimenticabile, così come quando, nel 1979, ci si recò a Parigi per intervistare Deleuze e Guattari sul caso 7 aprile [il riferimento è al processo iniziato nel 1979 che vide imputati di associazione sovversiva diversi militanti dell’autonomia, accusati di aver «organizzato e diretto un’associazione denominata “Brigate rosse” (…) al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato». L’impianto accusatorio non reggerà ai diversi gradi di giudizio, e passerà alla storia come “teorema Calogero”, dal nome del magistrato titolare dell’inchiesta].
Giangi: Nei primi anni ottanta, quando entrai in radio perché volevo fare attività politica anche nel campo della comunicazione, l’ascolto era diffuso in molti quartieri periferici – da Primavalle al Trullo, dal Tiburtino-Grotte di Gregna a Cinecittà, dal Tufello ai Castelli romani, ecc. – ma anche in zone più centrali, a cominciare ovviamente da San Lorenzo. Le telefonate arrivavano numerose durante le manifestazioni e le iniziative di lotta, ma non mancavano nemmeno durante le trasmissioni musicali e sui temi sociali, politici, internazionali, culturali.
Mi piacerebbe avere un quadro degli inizi. Come avete iniziato? Che tipo di strumentazione avevate? Come ve la eravate procurati? Avete avuto difficoltà nell’utilizzo del mezzo e nell’impostazione delle trasmissioni?
Giorgio: Fu veramente un’avventura. Non sapevamo niente di radio e dovemmo improvvisare facendo però affidamento su due aspetti che ci hanno mai deluso: le conoscenze inestimabili di compagni e compagne negli ambiti più diversi e la solidarietà di tutti e tutte. Tolto il mixer e il trasmettitore che furono acquistati con le collette, il resto dell’arredo tecnico e della sistemazione dei locali venne realizzato in proprio con poca spesa. Tra le difficoltà che avemmo all’inizio ci fu quella di evitare la cannibalizzazione degli strumenti: microfoni, telefoni, cuffie, registratori e soprattutto il mixer venivano piuttosto maltrattati da compagni e compagne che si avvicendavano nella conduzione della radio. Per i programmi invece, dopo un breve periodo di funzionamento alla “garibaldina”, giungemmo presto alla formulazione di un palinsesto con giornali radio e rassegne stampa e poi trasmissioni tematiche.
Giangi: Quando arrivai in radio io, la strumentazione era ancora grosso modo quella iniziale: imparai abbastanza velocemente l’uso del mixer, dei microfoni, ecc., affiancando i “vecchi” redattori nelle rassegne stampa o in altre trasmissioni. L’assemblea redazionale, che si riuniva tutti i lunedì a via di Porta Labicana, all’angolo di via dei Volsci, era (come ancora oggi) l’unica sede decisionale per tutto: dal palinsesto settimanale alle discussioni politiche, dalle iniziative di autofinanziamento alle problematiche tecnologiche, ecc.
In che rapporti eravate con le altre emittenti di movimento? Che valutazioni date dell’esperienza della Federazione radio eminenti democratiche (Fred)?
Giorgio: A parte la breve esperienza di Radio Alice che si chiuse prima della nascita di Radio Onda Rossa (maggio 1977), abbiamo avuto rapporti con tutte le radio di movimento. In particolare con Radio Sherwood di Padova e Radio Proletaria di Roma ci inventammo le trasmissioni in “ponte radio” (che poi non era veramente tale in quanto ci collegavamo simultaneamente via telefono) che in alcune circostanze davano l’impressione di una autentica capacità di coordinamento tra diverse situazioni di lotta come successe durante tutta la campagna per il 7 aprile. La Fred fu un tentativo importante per quel che riguarda il contrasto ai grandi network e a tutto ciò che questo comportava in termini di omologazione culturale e musicale, ma anche per l’abbraccio mortale tra media e pubblicità (non a caso negli stessi anni si affermava il modello Mediaset). Tuttavia nell’ambito della Fred prevalse un punto di vista rinunciatario anche perché, a parte Radio Onda Rossa, le radio di movimento si interessarono poco di quella esperienza.
Giangi: I rapporti erano sporadici, comunque in occasioni politicamente e socialmente importanti, quali forti ondate repressive o normative sulle telecomunicazioni. Con la Fred ci furono rapporti continuativi e complessivamente positivi all’epoca della discussione e approvazione della legge Mammì (1990) sulla regolamentazione delle radiofrequenze. Il limite di quella associazione, dal nostro punto di vista, era l’approccio di tipo commerciale, del resto inevitabile perché la quasi totalità delle radio associate erano e sono commerciali. Quindi i rapporti con loro furono chiari e corretti, ma c’era un’incompatibilità di fondo.
Radio Onda Rossa nasce da una “costola” dei Comitati autonomi operai (Cao). In che rapporti hanno vissuto queste due strutture? In che misura l’emittente ha assunto la dimensione di soggetto politico autonomo? Esiste, è esistito, un “progetto Ror”, una linea politica conseguente?
Giangi: Io non facevo parte dei Cao, né mi fu chiesto di farne parte, quando mi proposi al collettivo redazionale. Posso dire che la presenza e il peso politico dei Cao, fino al loro scioglimento, c’era e ovviamente contava molto; ma non venni mai censurato e le eventuali divergenze politiche venivano discusse – anche animatamente, certo – nelle riunioni della redazione e ognuno/ognuna poteva esprimere la propria posizione. Non c’era un “comitato politico” che dettava le direttive alla radio, tutto si decideva in redazione.
Sul termine “soggetto politico autonomo” bisogna intendersi: Radio Onda Rossa è una radio politica, ma non è l’organo di un partito o di un sindacato; è sicuramente libera, autonoma, autorganizzata e autofinanziata; è dunque un soggetto politico, ma solo nella sfera della comunicazione antagonista.
Inoltre, parlare di “linea politica” della radio è improprio, anche se non del tutto sbagliato. Il lavoro politico (rigorosamente volontario e gratuito) che ogni compagno/compagna svolge dentro e per la radio, ha il suo momento settimanale di confronto nelle riunione del lunedì, aperta anche a chi voglia proporre trasmissioni o collaborazioni. Il “pensiero” che Radio Onda Rossa comunica sugli 87.9 fm è dunque molteplice e non monolitico, ha una sua coerenza che le viene dalla sua storia quasi quarantennale, ma può a volte evidenziare delle contraddizioni. La difficile sfida quotidiana sta nel tentativo di dare voce a posizioni e progetti diversi ma non incompatibili, sia interni che esterni alla redazione; e a comunicare da chi ascolta, su ogni questione rilevante, un punto di vista della redazione.
La radio nasce nel maggio 1977, anno che costituisce uno snodo importante nella storia dei movimenti sociali in Italia. Come ha vissuto la radio e la sua assemblea redazionale il passaggio degli anni ottanta? Partecipando a diverse lotte, come vi rapportavate con la categoria di “riflusso”, che già iniziava ad essere utilizzata per designare un decennio caratterizzato dal declinare dell’azione collettiva di massa? La facevate vostra? La rigettavate?
Giangi: Radio Onda Rossa negli anni ottanta è stata essenzialmente una radio della “resistenza”: al riflusso, all’omologazione, all’ideologia regressiva consumistica, sessista e fascistoide veicolata dalle televisioni commerciali, in primis quelle berlusconiane. E ha resistito a un attacco devastante, che sarebbe stato mortale per qualunque altra emittente: gli otto anni e mezzo di copertura di gran parte del proprio segnale radio da parte dei potenti trasmettitori di Radio Vaticana. Credo che sia proprio un caso unico al mondo. Sai quanti compagni e compagne, in quegli anni, ci dicevano: «Ma cosa continuate a fare, è inutile, tanta fatica per continuare a trasmettere quando ormai Radio Onda Rossa non la sente quasi nessuno». Anche alcuni e alcune della redazione, sfiduciati/sfiduciate, abbandonarono. Ma non ci siamo arresi e alla fine l’abbiamo spuntata. Non in modo definitivo, naturalmente, perché le eterne difficoltà economiche potrebbero un giorno strangolarci. Fa parte del gioco, che vogliamo continuare a giocare, finché la voce di Radio Onda Rossa avrà ancora orecchie desiderose di ascoltarla. Una delle cose che mi dà più soddisfazione è aver riscontrato in tante occasioni che la radio è stata ed è un punto di riferimento per tante persone, è memoria storica, strumento di conoscenza e apprendimento politico, di crescita culturale, è una grande possibilità di partecipazione a un lavoro di lunga durata e di valore, è uno straordinario esempio di autogestione collettiva, nonostante insufficienze ed errori… e tante altre cose ancora.
Ricordate qualche episodio significativo in particolare che vi piacerebbe raccontare?
Giorgio: Beh ce ne sono veramente tanti. Ma per dare un’idea dello spirito con cui si affrontavano le cose, mi piace ricordare quando in una delle numerose visite della polizia i microfoni restarono aperti senza che i presenti se ne accorgessero. In pratica mandammo in diretta la conversazione con gli agenti e la stesura del verbale che questi redassero nei locali della radio.
Giangi: Ce ne sarebbero tanti, in più di trent’anni. Ne racconto in breve quattro. Dovrei metterci prima di tutto il G8 di Genova 2001, l’esperienza di Radio Gap, i forum pubblici di discussione, le manifestazioni di piazza, l’uccisione di Carlo Giuliani, la mattanza della scuola Diaz vissuta a pochi metri di distanza, dalla scuola di fronte sede del media center; raccontammo tutto in diretta, per sette intensissimi giorni. Ma non lo faccio, ci vorrebbero molte pagine.
1. Nel 1982, l’esplosione della bomba messa da filoisraeliani – mai identificati né ricercati seriamente dagli inquirenti – davanti alla porta della radio, per “punire” Radio Onda Rossa della controinformazione sull’invasione di Israele in Libano (che causò la morte di circa ventimila persone, in stragrande maggioranza civili, tra cui le oltre tremila vittime massacrate a Sabra e Chatila), lesionò seriamente il palazzo e i vigili del fuoco ordinarono lo sgombero di tutti i condomini. Nel giro di un paio d’ore, però, ci organizzammo per trasmettere in strada, in via dei Volsci: ci avevano colpito per farci tacere, e invece Radio Onda Rossa continuava a parlare. Inoltre, dato che nelle ore successive fu accertato che il palazzo non rischiava di crollare, ottenemmo dal sindaco Ugo Vetere un’autorizzazione speciale a rientrare nell’appartamento e continuare a trasmettere da lì. La solidarietà e la vicinanza di migliaia di compagne e compagni, cittadine e cittadini, in quei giorni, fu straordinaria.
2. Nel 1990, il movimento della Pantera, nelle principali università italiane, fu seguito quotidianamente dalla radio, che fece moltissime corrispondenze e anche delle trasmissioni dall’Università La Sapienza: molti studenti e studentesse venivano in radio e alcuni/alcune entrarono nel collettivo redazionale. In una grande manifestazione conclusasi a piazza del Popolo, esordì in modo travolgente, scatenando nel ballo migliaia di persone, un gruppo musicale dal nome che non lasciava dubbi sulla sua origine: Onda rossa posse!
3. Nel dicembre 1995, dopo otto anni e mezzo di semi-oscuramento della nostra frequenza, occupata da Radio Vaticana il 1 luglio 1987 “grazie” al cosiddetto Piano di Ginevra delle radiofrequenze europee (non ratificato dallo stato italiano), avevamo deciso di fare una cosa davvero inedita: l’occupazione di una frequenza lasciata libera da una radio che aveva chiuso. Infatti, mesi di incontri e trattative al ministero delle Comunicazioni non aveva prodotto alcun risultato. Dopo una intensa campagna politica, che coinvolse anche alcuni parlamentari, annunciammo la data dell’inizio delle trasmissioni sulla nuova frequenza, pochi giorni prima di natale: trasmettendo in piazza Venezia da un furgone attrezzato con le nostre apparecchiature, iniziammo in diretta l’occupazione degli 87.9 fm. Contemporaneamente, un gruppo di noi avrebbe appeso un grosso striscione della radio proprio all’interno del Vittoriano. Salendo la scalinata della chiesa dell’Ara Coeli, arrivammo alla cancellata e io mi arrampicai fino in cima, pronto a scendere dall’altra parte, aspettando un altro compagno, con lo striscione da appendere; ma proprio in quel momento arrivò la ronda dei militari di guardia, stupefatti, che gridarono: «Ma cosa state facendo?!». La risposta mi venne d’istinto, mentre mi calavo velocemente da dove ero venuto: «Ma niente, avevo scommesso con i miei amici che sarei riuscito a salire fin quassù… ciao!» Comunque, l’occupazione fu la mossa giusta: dopo l’intimazione a “disoccupare” la nuova frequenza, a marzo 1996 il ministero concesse a Radio Onda Rossa la licenza provvisoria a proseguire le nostre trasmissioni… e siamo ancora lì.
4. Nel 2002, il ministro delle Comunicazioni Gasparri, di Alleanza nazionale, aveva deciso di “sgombrarci” dalla nostra frequenza con un pretesto. Lanciammo di nuovo una grossa campagna di controinformazione, organizzando assemblee pubbliche, piccole mobilitazioni davanti ai palazzi del potere, producendo molte trasmissioni, anche in ponte radio con altre emittenti, appelli nazionali e internazionali, raccolta firme, interrogazioni parlamentari, ecc. Poi lanciammo l’appuntamento di un corteo cittadino: fummo sorpresi dell’ampiezza della partecipazione, perché scesero in piazza ventimila persone… Il governo lasciò cadere il progetto di sloggiarci (ovvero chiuderci: non potevamo certo comprarci un’altra frequenza) e Radio Onda Rossa vinse ancora una volta la sua battaglia per la sopravvivenza.
Vedi anche
– LA RIVISTA *ZAPRUDER* E IL PROGETTO STORIE IN MOVIMENTO – Cuore d’acciaio
– *ZAPRUDER*: Radiografie – I simboli delle radio dell’estrema sinistra italiana
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