6 maggio sciopero sociale. In migliaia per le strade a Palermo
Si è svolto stamattina lo sciopero generale che ha coinvolto, nel capoluogo siciliano, oltre ai lavoratori ed alle lavoratrici dei vari settori produttivi, tutti pesantemente colpiti dagli effetti della crisi, un migliaio almeno di studenti e precari che pur non condividendo la “timida” piattaforma della CGIL (stretta anche per tanti dei lavoratori del sindacato della Camusso) hanno scelto di scendere comunque in piazza.
Un corteo, quello lanciato autonomamente da studenti e precari, che ha imparato dalle mobilitazioni dello scorso anno come muoversi nel tessuto cittadino. La manifestazione, ovviamente non autorizzata, ha dunque attraversato l’intera città bloccandone il traffico e paralizzando i flussi economici metropolitani, toccando a più riprese vari punti nevralgici di Palermo.
Durante il percorso sono state ripetutamente sanzionate le banche e gli istituti di credito scelti come bersaglio, simbolico ma concreto, per via del ruolo che la “finanza” svolge ed ha svolto nel determinare l’andamento della crisi. Ricordati spesso nei cori dei manifestanti inoltre i vari “sindacati gialli” che hanno tentato di svolgere, con diligenza ed un certo successo, il ruolo a cui sono chiamati, portare alla sconfitta e depotenziare le lotte dei lavoratori che vengono chiamati a continui sacrifici in vista di futuri migliori sempre distantissimi.
Tutto questo nella giornata in cui, dopo vari rinvii, avrebbe dovuto essere in città il presidente del consiglio (anch’esso spesso citato negli slogan dai manifestanti), un’assenza/fuga, non così sorprendente visti gli strenui tentativi di tenere celato il dissenso sociale presente nelle strade, accolta con disappunto dai tanti oggi in piazza pronti ad accoglierlo come avrebbe meritato.
Uno sciopero che è riuscito ad essere quel momento di sciopero, di lotta dell’intero corpo sociale sfuggendo il pericolo dello “sciopericchio” progettato dalla Camusso e riuscendo a tenere insieme la questione libica e la crisi economica, il piano Marchionne e la riforma Gelmini e rifiutando completamente ogni possibile richiamo al sacrificio, all’austerità o alla responsabilità, chiedendo piuttosto, ancora una volta ed a gran voce, che se ne vadano tutti.
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