CHÁVEZ SBANDA PERICOLOSAMENTE
TRADISCE IL POPOLO COLOMBIANO E PUGNALA ALLE SPALLE I BOLIVARIANI
Quelle dei settori democratici, bolivariani e rivoluzionari colombiani, traditi da un ex-bolivariano che ha indossato in tempi record le vesti pestilenti di Santander (colui che tradì il progetto del Libertador di costruzione della Patria Grande latinoamericana), e umiliati nel più profondo della loro memoria storica (la consegna del giornalista Joaquín Becerra, superstite del massacro dell’Unión Patriótica per mano dell’oligarchia di cui il presidente venezuelano è diventato ‘compagno di merende’, è un affronto imperdonabile).
Quelle di moltissimi soggetti della sinistra e delle forze antimperialiste latinoamericane, europee, australiane e via dicendo, che vedevano in Chávez un bastione di resistenza, denuncia e coerenza contro l’imperialismo nord-atlantico, e che di colpo si rendono conto che questa percezione va rivista e necessariamente messa in discussione.
E quelle di gran parte del movimento bolivariano venezuelano, dalle organizzazioni popolari dei quartieri storici di Caracas come il ‘23 de Enero’ al Partito Comunista, passando per le associazioni di artisti ed intellettuali, contadini e lavoratori, sindacati e collettivi.
Qualcuno, al netto di una candida ingenuità o di una scarsa informazione, potrebbe interpretare la codarda consegna allo Stato paramilitare colombiano del direttore di ANNCOL come un fulmine a ciel sereno. Tuttavia, questa vergognosa vicenda non può essere compresa appieno se non all’interno di un processo degenerativo che la “Rivoluzione bolivariana” e le “sinistre progressiste” latinoamericane sperimentano e retroalimentano da tempi non sospetti.
E’ sufficiente analizzare la composizione dell’esecutivo, il passato e il presente di una gran parte dei ministri di Chávez (a cominciare da quello delle Comunicazioni, Andrés Izarra) e la progressiva estromissione dalle cariche di maggior peso di quei compagni (come ad esempio Eduardo Samán) che non hanno accettato di essere cooptati, comprati o silenziati dalla nomenclatura di Miraflores.
Ma potremmo andare oltre: il Partito Socialista Unito del Venezuela, PSUV, che annovera tra i suoi più importati dirigenti alcuni personaggi di dubbia moralità come il parlamentare Diosdado Cabello, è diventato terreno di conquista per opportunisti e politicanti vecchi e nuovi che si riciclano manipolando le basi; e le Forze Armate e di Polizia, in cui abbondano generali ed ufficiali di vario rango che mal sopportano le lotte quotidiane di lavoratori e contadini per i loro diritti e per la radicalizzazione del processo bolivariano, pur chiamandosi “bolivariane” continuano ad essere permeate da delinquenti e anticomunisti.
In sintesi, un conglomerato di interessi ed ambizioni di potere che, se da una parte s’azzuffa con la vecchia oligarchia della IV Repubblica, dall’altra fa di tutto per impedire lo smantellamento dello Stato borghese nonostante i proclami infarciti di “Socialismo del secolo XXI” e di “Integrazionismo latinoamericano”.
LA “NUOVA” POLITICA INTERNAZIONALE DEL VENEZUELA
La consegna di Joaquín Pérez Becerra al fascista Santos è la diretta conseguenza di una politica internazionale sbiadita e sciagurata, fatta di concessioni e concezioni distorte in cui le “ragioni di Stato” sono il perno e l’internazionalismo rivoluzionario è una scomoda variabile (dipendente dalle prime) ormai superata.
Molti, in Venezuela e nel mondo, hanno avvertito un campanello d’allarme quando rifugiati baschi prima, e guerriglieri delle FARC e dell’ELN più recentemente, sono stati deportati rispettivamente in Spagna e in Colombia. Allorché Chávez ha iniziato a tessere le lodi del guerrafondaio Santos, definendolo “il mio miglior amico”, ed al ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi hanno fatto seguito accordi non solo in materia economica, commerciale e di infrastrutture ma anche di “sicurezza”, la preoccupazione è diventata una triste costatazione. Ne è la riprova il recente sdoganamento santista-chavista del dittatore honduregno Lobo (capo di un governo illegittimo che altro non è che l’estensione politico-temporale del golpe griffato Obama-Micheletti), che verrà reintegrato nell’Organizzazione degli Stati Americani e che riceverà nuovamente gli agognati barili di petrolio di PetroCaribe, con cui potrà rimpinguare i serbatoi dei blindati che reprimono il popolo di Morazán. Sdoganamento, cui si unito in seconda battuta l’inadeguato e velleitario Zelaya, presentato dal governo venezuelano come una vittoria della diplomazia di Miraflores, che esibisce promesse melliflue -da parte dei golpisti honduregni- di clemenza nei confronti di una resistenza honduregna sulla cui testa si sta cucinando la riabilitazione del regime sanguinario di Tegucigalpa. In sostanza, dovremmo credere alle promesse di un branco di lupi mannari che “s’impegnano” a non sbranare gli agnelli, certamente eroici ma pur sempre inermi.
Infine, ma non in ordine d’importanza, non possiamo ignorare un altro, squallido tassello del mosaico: il caso Walid Makled. Narcotrafficante ed affarista venezuelano di origine siriana arrestato nell’estate 2010 in Colombia, ha dichiarato di avere in suo possesso registrazioni audio-video compromettenti che dimostrerebbero il coinvolgimento di alti funzionari venezuelani in attività illecite e torbide. Indipendentemente dalla fondatezza o meno di queste accuse, strumentalizzate puntualmente dagli USA, una cosa è certa: il governo Chávez ha fatto e sta facendo di tutto affinché la Colombia lo estradi in Venezuela (che lo accusa di omicidio) e non negli Stati Uniti (che lo accusano di narcotraffico). E’ ineludibile domandarsi perché Chávez si premuri tanto di mettere le mani su Makled, la cui estradizione Santos si è impegnato a concretizzare a breve termine (come gaiamente annunciato dal ministro degli Esteri venezuelano Maduro poche ore dopo che Joaquín Pérez veniva sbattuto nel carcere Modelo di Bogotá), e non faccia altrettanto per ottenere l’estradizione, sempre dalla Colombia dove vive come un eroe, di un certo Carmona Estanga, presidente de facto dei golpisti nell’aprile 2002.
LE INCONGRUENZE DI CHÁVEZ
Quando un gruppo di ciarlatani norvegesi ha assegnato il ridicolo Premio Nobel per la Pace al guerrafondaio Obama, ci siamo identificati con la critica di Chávez che faceva rilevare come ci fosse un’insostenibile contraddizione in termini. Oggi, registriamo la stessa, indifendibile incongruenza se pensiamo che il presidente venezuelano, fresco vincitore del “Premio Rodolfo Walsh” (giornalista argentino assassinato dalla dittatura di Videla), ha trattato come un delinquente ed una volgare merce di scambio un giornalista che ha patito sulla propria pelle le sevizie di un’altra dittatura, quella degli oligarchi colombiani, le cui mani sporche di sangue non potranno mai ripulire né il teatrino parapolitico neo-granadino né le elezioni farsa di turno.
Sempre recentemente, Chávez ha criticato la corruzione e i vecchi vizi ancora fortemente presenti all’interno del suo partito, il PSUV, ed in altri ambiti della politica nazionale; per essere coerente con questa ineccepibile disamina, Chávez dovrebbe depurare una gran parte delle istanze dirigenti, a partire dall’esecutivo che presiede ed in particolar modo dal ministro delle Comunicazioni e dell’Informazione, Andrés Izarra. Questo “bolivariano” da operetta, già giornalista della CNN e della NBC negli anni ’90, ha prima annunciato sul suo blog l’arresto di Joaquín come se si trattasse di una grande vittoria delle autorità venezuelane, per poi imporre a tutti i giornalisti dei media ufficiali il silenzio circa la nazionalità svedese di Joaquín, il suo carattere di giornalista rivoluzionario solidale col Venezuela e, naturalmente, le violazioni ai suoi diritti fondamentali. Grazie a questo traditore i media governativi venezuelani, che dovrebbero informare con principi e paradigmi diametralmente opposti a quelli dei media borghesi internazionali, hanno fatto una pessima figura, per nulla mitigata da una o due eccezioni coraggiose (Vladimir Acosta su RNV e il gagliardo Walter Martínez del programma Dossier). Mentre si consumava lo scempio ai danni di Joaquín, non trovava niente di meglio da fare che lodare “gli sforzi di Santos per far fronte alle alluvioni” che stanno martoriando tre milioni di colombiani, per lo più abbandonati alla loro sorte dal nuovo “miglior amico” di Chávez.
Un altro ministro campione di “bolivarismo”, il cancelliere Nicolás Maduro, ha giocato un ruolo rilevante in tutta questa vicenda, e con il tempo potremo scoprire ulteriori dettagli. Per il momento, ci “deliziamo” con le sue recentissime dichiarazioni rilasciate alla stampa in occasione dell’incontro dei ministri dell’Ambiente del Vertice degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi, Celac: “Il rispetto del Venezuela al Diritto Internazionale è indiscutibile, non ci sottomettiamo al ricatto di nessuno, da qualunque parte provenga, perché stiamo agendo in modo trasparente e in sintonia con la Legge e con le responsabilità che ha lo Stato venezuelano”.
Questo burocrate che veste camicia e basco rossi, rosso di fuori e marcio dentro come talune mele bacate, ha avuto anche la sfacciataggine di rimproverare la Svezia (che ha legittimamente e dovutamente chiesto spiegazioni alla cancelleria di Caracas per questa consegna di un suo cittadino senza il benché minimo rispetto dei passaggi legali e dei diritti sanciti dalla Costituzione Bolivariana medesima), domandandosi perché le autorità scandinave avessero permesso a Joaquín Pérez di uscire dal territorio svedese. La risposta la conosciamo tutti, compreso il signor Maduro: Joaquín è cittadino svedese, gode dello status di rifugiato e dei protocolli internazionali che ne riconoscono le relative garanzie, e aveva tutto il diritto di muoversi liberamente. Maduro fa orecchie da mercante, e chiosa con una dichiarazione che ci fa sorridere: “Noi continueremo a lavorare per un mondo di uguali, opponendoci alle guerre e costruendo l’integrazione dell’America Latina”. Sappiamo bene che per i tecno-burocrati come i menzionati ministri ci sono “uguali” più uguali di altri, la guerra a morte dell’oligarchia colombiana contro il popolo non è poi così importante, e la “integrazione” dell’America Latina è fatta soprattutto di megaprogetti, polidotti ed accordi politici con qualunque governo e stato, anche se terrorista e genocida come quello colombiano.
Ad ogni modo, se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi circa la buona o mala fede del presidente venezuelano, il campo è stato definitivamente sgomberato dalle sue recentissime dichiarazioni. Infatti, incalzato da più parti si è visto obbligato a pronunciarsi, uscendo dall’autismo in cui era piombato e proferendo parole scandalose ed infantili: “La responsabilità non è mia, il primo responsabile è quel signore (Joaquín) che viene qua sapendo che l’Interpol lo sta ricercando con codice rosso”, aggiungendo che “Qualcuno dovrebbe dire chi lo ha invitato a venire qua, chi gli ha organizzato la trappola, come tutti sapevano…”; rivolgendosi poi a non si sa bene chi, anche se intuiamo che il riferimento sia a tutti quelli che hanno protestato per la vergognosa consegna di Joaquín a Santos, ha la sfrontatezza di dire: “Infiltrati, sono movimenti infiltrati sino al midollo”.
Ammesso e non concesso che Chávez abbia elementi per affermare una cosa così grave, dovrebbe essere esplicito e dire chi sarebbe infiltrato da chi, presentando elementi probatori. Il Movimento Continentale Bolivariano? Il Partito Comunista del Venezuela? I collettivi e comitati autogestiti del 23 de enero? O forse le migliaia e migliaia di persone, giornalisti, lavoratori, giovani, donne ed indigeni che in questi anni hanno interloquito con ANNCOL e che stimano Joaquín Pérez in virtù del tenace lavoro di denuncia e sostegno alle lotte dei popoli del mondo, a partire dalla resistenza colombiana e dal processo bolivariano in Venezuela?
Non soddisfatto, il primo inquilino di Miraflores è caduto nel grottesco con un’altra, infamante dichiarazione: “Così come abbiamo consegnato Chávez Abarca al governo di Cuba, abbiamo consegnato Pérez Becerra al governo della Colombia!” A chi non fosse informato, ricordiamo che Francisco Chávez Abarca è un terrorista anticastrista, già mano destra di Posada Carriles ed autore di diversi attentati terroristici ai danni di vari hotel e centri turistici cubani. Bel paragone Chávez, complimenti! Mettere sullo stesso piano un criminale prezzolato dalla CIA ed un superstite del peggior genocidio politico nella storia dell’America Latina, ci fa capire di che pasta tu sia fatto…
Chávez si è ulteriormente contraddetto quando ha rincarato la dose di ipocrisia: “Io non sto dicendo che lui sia un terrorista, spero che il governo della Colombia rispetti i suoi diritti umani e il diritto alla difesa”. Perché il mandatario di Miraflores non ha rispettato i diritti umani ed il diritto alla difesa di Joaquín? Perché, nel comunicato diffuso subito dopo l’arresto di Joaquín all’aeroporto di Caracas, si afferma che “il Governo Bolivariano ratifica in questo modo il suo impegno irriducibile nella lotta contro il terrorismo…”? E perché insiste sulla questione del mandato di cattura dell’Interpol ai danni di Joaquín, e non esige una spiegazione all’Interpol stessa che ha unilateralmente depennato, dalle sue liste di persone ricercate, diversi banchieri venezuelani scappati all’estero dopo aver speculato ed affamato il suo popolo per anni?
Infine, l’atteggiamento arrogante ed autoreferenziale del presidente venezuelano si è manifestato con un’ultima “chicca”: “Io prendo le decisioni e mi assumo le mie responsabilità, nessuno può venire qui a ricattarmi, né l’estrema sinistra né l’estrema destra!”
A parte il fatto che, alla luce dell’evoluzione del caso del mafioso Walid Makled, ci pare di poter confermare che l’estrema destra colombiana sta ricattando, eccome, il governo venezuelano, è del tutto sconsiderato bollare come “ricattatori di estrema sinistra” un pezzo importante del movimento bolivariano venezuelano e latinoamericano, nonché intellettuali del calibro di Adolfo Pérez Esquivel, James Petras, Hernando Calvo Ospina, Michel Collon, Carlos Aznares, François Houtart, Carlos Lozano, Jorge Beinstein e Juan Carlos Vallejo (tanto per citare solo alcuni dei firmatari di una lettera internazionale a Chávez di critica e invito alla rettifica).
Inoltre, non capiamo in quale dimensione spazio-temporale si trovi il vicepresidente venezuelano Elías Jauja, che dopo la consegna di Joaquín ha avuto l’ardire di ribadire la “solidarietà del Venezuela con i movimenti rivoluzionari internazionali”, come se non fosse successo niente. Se il governo venezuelano manda al macello un giornalista bolivariano, figuriamoci cosa dovrebbero aspettarsi i militanti dei movimenti rivoluzionari internazionali… Probabilmente, di essere ingabbiati anch’essi al loro arrivo a Caracas per una qualche “ragion di Stato”!
RIPERCUSSIONI E CONSEGUENZE
Alcuni adoratori/adulatori acritici del presidente e dei vertici venezuelani, dopo il primo smarrimento dovuto al carattere indifendibile dell’infame consegna di Joaquín alla Colombia, hanno dato fondo alla propria materia grigia (piuttosto amorfa, a dire il vero) per cercare di giustificare l’irresponsabile decisione di Chávez: “non si poteva fare altrimenti”, “se non l’avessimo consegnato gli Stati Uniti ci avrebbero invasi”, “se l’Interpol lo chiedeva, bisognava darlo alla Colombia”, “Chávez starà soffrendo molto per questa dolorosa decisione che salverà la Rivoluzione”, e via dicendo. Squallidi ed imborghesiti “intellettuali” da salotto, dediti ad arrampicarsi sugli specchi come scarafaggi. Altri ancora, emuli delle destre più becere e in perfetto stile inquisitorio, si sono spinti ben oltre: “Pérez Becerra doveva starsene buono in Svezia”, “Chi gli ha detto di venire qui a crearci problemi?”, “Qualcuno deve averlo pagato e manipolato per venire qui a creare uno scandalo internazionale e provocarci”… Sono frasi, titoli e concetti che si commentano da soli. E che sulla rete e negli ambiti in cui si discute accesamente dell’accaduto sono stati e continuano ad essere nettamente minoritari.
Decine di migliaia di messaggi, sms, mail, articoli, commenti nei blog, denuncie, appelli e adesioni sono circolati negli ultimi giorni sulla rete e nelle piazze, e molti altri sono in arrivo. Tutti, indipendentemente dalla calibratura più diplomatica o “incazzata” dei contenuti, hanno un minimo comun denominatore: le massime autorità hanno fatto un gesto grave, la consegna di Joaquín ad un regime sanguinario è sbagliata e Chávez (a cui piace esser chiamato “Comandante”) deve assumersene la responsabilità. A maggior ragione nella misura in cui, come le sopracitate dichiarazioni del cancelliere Maduro confermano, si tratta di una politica di Stato.
La consegna del direttore di ANNCOL è un grave errore etico, e lo abbiamo abbondantemente argomentato in questo articolo e negli altri comunicati e news diffusi. Violando principi elementari di solidarietà e internazionalismo, da parte di chi si dice “rivoluzionario”, inocula un virus devastante nel processo che rafforza il pragmatismo borghese e pregiudica irrimediabilmente la credibilità di chi ne è portatore. Inoltre, ricalca per modalità e complicità il famigerato Plan Condor, con cui negli anni ’70 del secolo scorso le dittature latinoamericane perseguitavano e mandavano al massacro militanti rivoluzionari.
E’ un miope errore politico, perché come ha detto la sinistra rivoluzionaria venezuelana, “la fiducia è fratturata”. Fatto grave, questo, se si pensa che anche Chávez ed il Psuv si erano finalmente resi conto che senza l’importantissimo contributo dei settori che la compongono, la difesa e lo sviluppo del processo (in chiave elezioni 2012, ma non solo) sarebbero molto più ardui. A ciò aggiungiamo che la consegna di Joaquín a Santos avalla un castello accusatorio complessivo le cui “prove” provengono dalla stessa lampada di Aladino (i presunti computers di Raúl Reyes) con cui hanno criminalizzato e criminalizzeranno ancora, tra gli altri, anche il presidente venezuelano.
Ed è un colossale errore strategico, a cui Chávez ed i suoi comprimari arrivano dopo un’elaborazione analitica che ricorda molto quella di Gheddafi alla fine degli anni ’90: collaborare col nemico, stringere forti alleanze col gran capitale e coi regimi reazionari e voltare le spalle ai rivoluzionari di altri paesi, come quelli colombiani, è il frutto della pia illusione che così facendo si neutralizzerà la controrivoluzione (interna ed esterna), e si toglieranno pretesti all’imperialismo. Tuttavia, la prima lavora a pieno regime, infischiandosene delle sempre più soventi concessioni di Chávez, ed il secondo, come insegna la storia, non ha bisogno di pretesti, se li fabbrica ad hoc per aggredire paesi e stati non più funzionali alle sue proiezioni geopolitiche, economiche e militari.
In un sol colpo, Chávez ha perso la fiducia della sinistra rivoluzionaria, in Venezuela e nel mondo, e non ha certo scalato il ranking delle preferenze della destra (quella colombiana in primis), che ha manovrato abilmente per indebolirlo adesso, sfruttandone allegramente l’inconsistenza ideologica e l’incoerenza, per poi sferrare il colpo finale quando l’imperialismo avrà deciso di mettere le mani definitivamente sul petrolio venezuelano.
Nel frattempo, migliaia di persone in tutto il mondo, siano essi giornalisti alternativi, militanti bolivariani, intellettuali critici o semplici lavoratori e studenti, colombiani e non, continueranno a lavorare in sostegno alla lotta per la liberazione dal giogo dello sfruttamento e del neo-colonialismo che eroicamente conduce, sui più diversi terreni, il popolo colombiano. Non dobbiamo lasciarlo solo, così come vorrebbero gli opportunisti che lavorano per “cambiare tutto” affinché non cambi niente. E non dobbiamo lasciare soli i rivoluzionari venezuelani, chiamati in questo momento storico ad intensificare la lotta di classe e di resistenza per sconfiggere l’oligarchia pro-imperialista da una parte, e la destra endogena (travestita da bolivariana) che fagocita i gangli del potere dall’altra.
E, naturalmente, dobbiamo sostenere e accompagnare Joaquín Pérez Becerra, la cui vita è in pericolo in un vigliacco carcere di Bogotá che l’oligarchia ha nottetempo dato in comodato d’uso al paramilitarismo, e i 7500 prigionieri politici colombiani rinchiusi nelle peggiori condizioni per il solo fatto di essere oppositori di un regime antidemocratico e antipopolare. Lo stesso con cui adesso va a braccetto il presidente Chávez, che è corresponsabile di ciò che potrebbe capitare al direttore di ANNCOL.
Associazione nazionale Nuova Colombia
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