
Cina, c’è aria di crisi

La Cina in qualche modo ha cercato di farcelo capire ogni volta che l’Europa ha provato a battere cassa. No, dicevano a Pechino, non abbiamo soldi da buttare nel vostro debito pubblico. Passi per gli asset strategici, le industrie d’eccellenza, i porti e le infrastrutture. Lì il gioco vale la candela. Ma anche noi abbiamo i nostri problemi, scordatevi soldi a pioggia.
Ieri,  il Dragone ha tagliato i tassi d’interesse per la seconda volta in un  mese, proprio in parallelo alle misure analoghe compiute dalla Banca  Centrale Europea e dalla Bank of England.
 Da oggi, il tasso a un  anno di prestito si ridurrà di 31 punti base e il tasso a un anno di  deposito scenderà di 25 punti base, ha rivelato la People’s Bank dal suo  sito web. Lo sconto sui prestiti che le banche possono offrire è stato  esteso dal 20 al 30 per cento dal 20 per cento.
Si allargano i  cordoni della borsa, si permette al denaro di circolare, nella tipica  mossa che rappresenta una ratifica della crisi o, quanto meno, di un  certo malessere. Molti si aspettavano un altro taglio dei tassi  d’interesse, ma non così presto. Secondo gli analisti, nella scelta  potrebbe avere influito la constatazione, da parte delle autorità di  Pechino, che i dati economici di giugno, ancora da pubblicare, non sono  positivi. Un’altra interpretazione suggerisce che la Cina abbia voluto  allinearsi all’Europa in un tentativo coordinato di risollevare l’economia globale.
 La Banca centrale cinese ha specificato che le misure non  interesseranno i prestiti immobiliari, che continuano a essere  sorvegliati speciali. Si vuole così evitare che cresca la bolla  speculativa legata al mattone.
Oltre Muraglia, la tradizionale  economia export oriented sta trasformandosi. Usa ed Europa, in fase di  austerity da ormai 4 anni,  non comprano più merci made in China come prima, e le piccole imprese che hanno dato vita al modello cinese  sono in affanno. È l’occasione per virare la struttura fondamentale  dell’economia verso i consumi interni e chi sia stato in Cina almeno una  volta avrà sicuramente intuito che dietro al proliferare di Suv e di  enoteche c’è probabilmente una nuova ricchezza, non accessibile a tutti  ma comunque palpabile.
 Tuttavia la transizione non è così facile,  anche perché molte risorse di nuova creazione hanno preso la via della  speculazione immobiliare piuttosto che degli investimenti produttivi,  per ragioni culturali e strutturali.
 Così, i dati di questi primi mesi del 2012 sono stati altalenanti, ma più tendenti al ribasso.
Tutte  le previsioni stimano la crescita cinese per il 2012 tra il 7 e il 7,5  per cento, sicuramente al di sotto dell’8. Poco, per un Paese che ha  registrato nell’ultimo ventennio tassi a doppia cifra e che, tuttavia,  deve ancora dare benessere (e quindi lavoro decente) a milioni di  persone, mentre si trova per la prima volta nella sua storia a dovere  affrontare il problema dell’invecchiamento della popolazione e quindi  del welfare (sistemi pensionistico e sanitario diffusi).
 Ancora più preoccupanti sono i dati sulla produzione industriale, che  ad aprile appariva pressoché ferma. Anche i prezzi al consumo non  crescono più, segno che l’economia è sostanzialmente ferma.
 Il  Dragone non sembra riuscire nella grande opera di riconvertire la  propria economia con la velocità necessaria a contrastare la crisi  globale che arriva.
È probabile che abbia influito sulla scelta di abbassare nuovamente i tassi anche l’urgenza politica: la Cina cambierà le figure che compongono la propria leadership il prossimo autunno e l’establishment di Pechino non vuole che la  transizione avvenga in un clima di crisi manifesta. Di disordine e  divisione.
 Aumenta la distanza tra chi è ricco e chi è povero. È  visibile, è palpabile, in ogni Audi nera dai vetri oscurati che sfreccia  incurante dell’umanità attorno e in ogni nuova storia di “principino”  che compie qualche smargiassata alla guida di una Ferrari con donnine a bordo. La promessa di un benessere che gradualmente  arriverà per tutti, che è anche la scommessa su cui si regge la  legittimità del Partito, sembra venire meno proprio mentre si acuiscono i  comportamenti immorali di chi alla ricchezza c’è arrivato.
Nelle ultime tre settimane, ci sono state tre grandi rivolte per tre diverse ragioni. Le difficili condizioni dei lavoratori migranti sono sfociate in una sommossa a Shaxi, nel Guangdong. I residenti di Zuotan, sempre nel Guangdong, si sono ribellati contro gli espropri illegali dei locali funzionari corrotti; e i cittadini di Shifang, Sichuan, sono scesi in strada in una protesta ambientale. I conflitti sembrano sempre meno ricomponibili con la vecchia ricetta – repressione e parallela punizione dei funzionari più indifendibili – e i media, tradizionali e “social”, li tengono sempre meno nascosti. Sarà una lunga estate.
da eilmensile
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