Cos’è successo a Rione Traiano?
Abbiamo intervistato un compagno dei Collettivi Autonomi Napoli per farci raccontare come si vive nel rione e quali caratteristiche ha assunto la protesta per la morte di davide, capendo come sono intervenuti in un contesto così difficile.
Quali caratteristiche ha il Rione Traiano? Come hanno influito su questo evento?
Rione Traiano è un quartiere a Nord-Ovest di Napoli. Come in numerose altre periferie napoletane, la gestione dell’ordine pubblico è particolare: i posti di blocco sono numerosi e la polizia può essere molto aggressiva, nonostante tenda generalmente a lasciare spazio alla camorra. La criminalità organizzata è presente e radicata storicamente, con un grande controllo economico e militare della zona; risulta difficile opporsi ad essa, per il consenso che riscuote e perché ha il grilletto facile.
Il quartiere vive un forte isolamento geografico, sociale e culturale; ciò ha impedito il dilagare della protesta nella città di Napoli, che ha inaspettatamente espresso condanna verso gli eventi che si sono verificati, in una sorta di disprezzo per la povertà. Persino il mondo dell’associazionismo è rimasto in silenzio! Questo isolamento fa si che anche all’interno del Rione ci sia una sorta di diffidenza verso l’esterno e noi stessi non saremmo mai potuti intervenire facilmente nel quartiere senza un evento così tragico. Solo adesso, dopo una settimana di presenza, ci stiamo concedendo maggiore confidenza con i giovani del quartiere.
Nonostante questo c’è stata una reazione da parte degli abitanti del Rione Traiano, soprattutto da parte dei coetanei di Davide che vivono allo stesso modo le strade del quartiere.
Nella notte fra il 4 e il 5 settembre inizia a diffondersi la voce che un ragazzo è stato freddato dalla polizia per delle infrazioni del codice stradale, si dice che fosse a terra e gli abbiano sparato alla schiena, ma a causa dell’orario notturno non si innesca immediatamente una risposta.
Il mattino dopo, attraversando il territorio, abbiamo sollecitato il lancio immediato di un presidio da parte dei familiari e degli amici. Sabato 6 settembre sono scese in piazza migliaia di persone in un corteo molto rabbioso e determinato che ha bloccato il quartiere dal primo pomeriggio a sera. In piazza si trovavano prevalentemente ragazzi fra i 15 e i 19 anni, famiglie con madri e bambini e giovani più grandi, alcuni vicini al mondo ultras.
Nella prima ora di corteo il quartiere era completamente in mano agli abitanti, totalmente bloccato. La polizia non si fa vedere per chilometri e quando la prima macchina della digos viene riconosciuta dai ragazzi più giovani a duecento metri di distanza, viene rincorsa e assaltata. Più di una pattuglia della digos si è trovata assaltata e messa in fuga dai giovani.
Quando il corteo arriva sotto la caserma dei carabinieri del quartiere, difesa naturalmente da celere in assetto antisommossa. Qui la potenziale conflittualità è stata frenata da un gruppo interno al corteo, forse sollecitato dal “sistema” (la camorra). Come emerge da alcuni video, alcuni giovani si sono incordonati rivolgendosi verso il corteo, respingendo i ragazzi più rabbiosi e dissuadendo il partecipanti con frasi del tipo “Non dobbiamo dare ragione ai carabinieri” , “Dimostriamo che siamo civili”, “Non dobbiamo fare scontri, poi dicono che siamo Napoletani”; utilizzando, insomma, quegli stereotipi razzisti che spesso anche i napoletani stessi riproducono in una sorta di “autorazzismo”.
La camorra ha cercato per tutta la giornata di mantenere la situazione calma, per non avere problemi e polizia nei pressi delle proprie basi di spaccio.
Dopo una breve dispersione a causa della pioggia torrenziale, il corteo si compatta sulla rotonda e alcuni ingressi del quartiere vengono barricati. Continua, inizialmente, la totale assenza della polizia tranne che nella caserma, e nemmeno la municipale riesce a deviare il traffico nei pressi del corteo perché la rabbia dei giovanissimi del Rione Traiano glielo impedisce. L’ingresso della tangenziale viene bloccato e partono le prime cariche tra barricate di cassonetti e fitti lanci continuati per 200 metri.
I giovani dimostrano capacità di organizzarsi: si difendono dall’avanzata della polizia con barricate e lanci, mentre alcuni motorini monitorano i comportamenti della polizia e portano a volte in sicuro i ragazzi più esposti. La carica continua da sud nei vicoli, cerchiamo di ritirarci nella rotonda a nord che però è già sotto attacco della polizia che lancia lacrimogeni. Lì esitano pochi militanti dei centri sociali e ragazzini giovanissimi (dai 12 ai 14 anni), finché non accorrono personaggi forse vicini alla camorra sugli scooter per allontanarli, spesso con l’ipocrita invito alla civiltà. Arrivano anche intimidazioni ad alcuni militanti dei centri sociali, tanto che in breve il corteo esaurisce la capacità di difendersi e si disperde lentamente.
Già quella sera la Chiesa inizia a farsi spazio, essendo l’unica realtà radicata nel quartiere e influendo sull’organizzazione della protesta. Per questo nei giorni seguenti le mobilitazioni si esprimono in forme compatibili e non conflittuali; vengono persino allontanati dalle proteste i giovani del quartiere che continuavano ad esprimere rabbia.
Come avete interagito con il quartiere? Che approccio avete avuto durante il corteo e nei giorni successivi?
Durante il corteo abbiamo cercato di mantenere profilo basso, lasciando che fosse la composizione più larga ad esprimersi; non avendo un intervento strutturato in quartiere e non volendo facilitare distinzioni fra “buoni e cattivi” abbiamo scelto di lasciare al quartiere e magari a qualche gruppo ultras il protagonismo maggiore; non abbiamo mai preso la direzione dello scontro per non essere visti come corpo esterno, anche se siamo stati comunque riconosciuti ed etichettati come “goglobal”. Ci siamo attrezzati soprattutto per mediatizzare ciò che è successo in questi giorni, organizzandoci per creare dibattito e dar voce ai ragazzi del quartiere. Abbiamo fatto intervenire l’associazione ACAD contro gli abusi in divisa e stiamo sostenendo con avvocati e raccolte fondi la difesa della famiglia Bifolco.
Per una settimana i ragazzi del quartiere sono scesi spontaneamente in piazza, dandosi appuntamento nel pomeriggio. Chi faceva partire cori come “Assassini” veniva bollato come violento ed allontanato dalla Chiesa e forse dalla camorra. “Solo giustizia”, “Solo un carabiniere”. Conseguentemente i militanti dei movimenti si sono trovati sempre più marginalizzati.
A Soccavo, quartiere confinante, esiste un piccolo comitato popolare attivo nella riqualificazione di un parco pubblico abbandonato. Nel parco di questo comitato alcuni ragazzi del Rione Traiano hanno iniziato ad allacciare rapporti e alcuni compagni sono riusciti a conoscerli e a interagire costruttivamente con loro. Il comitato di Soccavo è riuscito, per questo, a convocare un corteo di protesta per sabato 13 settembre, su posizioni radicalmente alternative a quelle della Chiesa.
Come organizzazioni studentesche stiamo cercando adesso di aprire un dibattito su periferie e abusi in divisa anche all’interno delle comunità scolastiche. E’ in costruzione un corteo prettamente studentesco che porti solidarietà alla vittima Davide Bifolco.
Come ha reagito la città nei giorni successivi?
La città ha manifestato un certo razzismo di classe, alimentato, indubbiamente, da mezzi di comunicazione tendenziosi. Sono girati online articoli falsi su rappresaglie camorristiche mai avvenute e diffamazioni di ogni genere. I social network sono stati pieni per giorni di dibattiti anche molto animati dove sin troppi napoletani hanno appoggiato la logica securitaria dell’ulteriore militarizzazione del rione e la logica qualunquista del “se l’é cercato”. Ebbene, risolvere problemi di ordine sociale, culturale ed economico con la repressione non equivale a nascondere la polvere sotto al tappeto? Continueremo a mobilitarci per diritti, democrazia, denaro e riqualificazioni delle periferie.
In città si sta creando parecchia confusione razzista intorno a questa faccenda, è persino uscito un articolo del Corriere del Mezzogiorno intitolato “I ragazzi dello zoo di Traiano”. Ma chi ha interesse a rappresentare il Sud come zona incapace di autogovernarsi? solo chi ha intenzione di governarlo e riformarlo dall’esterno, magari sulle direttive del mercato neoliberista. Il razzismo è uno strumento di governace, di dominio ed inferiorizzazione, che permette persino di colpevolizzare un ragazzino di 16 anni morto ammazzato.
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