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“Così la polizia mi ha massacrato”

Non sono nuove nemmeno le reazioni delle forze dell’ordine, che dapprima tentano di insabbiare la notizia, poi spergiurano che Paolo sia rimasto ferito durante uno scontro con la tifoseria avversaria (peccato che in quel momento in stazione gli ultras veronesi non ci fossero proprio),  e infine rispolverano la versione del sasso lanciato da altri ultras bresciani.

Tutte storie già sentite tante, troppe volte.

Questo l’articolo de “L’Espresso” che ricostruisce i retroscena della giornata.

 

Un giovane tifoso del Brescia massacrato a manganellate che finisce in coma. I medici lo danno per spacciato: se ce la farà a sopravvivere, dicono ai genitori, “sarà un vegetale”. Dopo più di un mese di buio, invece, il ragazzo si risveglia. Parla, anche se con molta fatica. E’ ancora intubato quando, alla fine del 2005, comincia a raccontare tutto a una poliziotta, che ha il coraggio di aprire un’inchiesta sui colleghi. La commissaria indaga in solitudine. Scopre verbali truccati. Testimonianze insabbiate. Filmati spariti. Poi altri poliziotti rompono l’omertà e sbugiardano le relazioni ufficiali di un dirigente della questura. Un giudice ordina di procedere. E adesso, a Verona, sta per aprirsi un processo simbolo contro otto celerini del reparto di Bologna. Una squadraccia, secondo l’accusa, capace non solo di usare “violenza immotivata e insensata su persone inermi”, ma anche di inquinare le prove fino a rovesciare le colpe sulle vittime. “L’Espresso” ha ricostruito i retroscena di quella misteriosa giornata di guerriglia tra tifosi e polizia, con testimonianze e filmati inediti, scoprendo un filo nero che collega tanti casi in apparenza separati di degenerazione delle divise. Un viaggio nel male oscuro che contamina e divide le nostre forze di polizia.

“La mia storia è simile a quella di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani… La differenza è che io sono ancora vivo e posso parlare”. Paolo Scaroni oggi ha 34 anni e il 100 per cento d’invalidità civile. Cammina per Brescia, la sua città, strascicando un piede rimasto paralizzato. La voce esce spezzata e lui se ne scusa (“Sono i postumi del trauma”): “Sono molto legato ai familiari di Aldovrandi. Suonava il clarinetto come me, nelle nostre vicende ci sono coincidenze incredibili. Io sono stato massacrato alle otto di sera, lui è stato ammazzato la stessa notte, sei ore dopo. Ora vogliamo fondare un’associazione: familiari delle vittime della polizia”. Suo padre, bresciano di Castenedolo, capelli bianchi e mani callose, riassume il problema scuotendo la testa: “Ho sempre avuto rispetto delle forze dell’ordine. Ma adesso, quando vedo un’uniforme, non ho più fiducia”. Quello di Paolo è un dolore speciale: “Oggi la cosa che mi fa più male è che mi hanno cancellato l’infanzia e l’adolescenza. Ho perso tutti i ricordi dei miei primi vent’anni di esistenza”. OAS_RICH(‘Middle’);

La vita del ragazzo senza memoria è cambiata il 24 settembre 2005. Paolo, allevatore di tori, fisico da atleta, è in trasferta a Verona con 800 tifosi. Il suo gruppo, Brescia 1911, è il più popolare e radicato. Hanno un loro codice: botte sì, ma solo a mani nude. “Niente coltelli, no droga”, scrivono sugli striscioni. In quei giorni si sentono scomodi: tifosi di provincia che protestano contro “i padroni del calcio-tv” e “le schedature”. Dopo la partita, i bresciani vengono scortati in stazione. E qui si scatena l’inferno: tre cariche della celere, violentissime. L’inchiesta ha identificato 32 tifosi feriti, quasi tutti colpiti alla schiena. Foto e video recuperati da “l’Espresso” mostrano, tra gli altri, una ragazza con il seno tumefatto e altri due giovani con trauma cranico e mani fratturate. Paolo ha la testa fracassata: salvato dagli amici, si rialza, vomita, sviene. Alle 19,45 entra in coma. L’ambulanza arriva con più di mezz’ora di ritardo.

Secondo la relazione ufficiale firmata da F. M., dirigente della questura di Verona, la colpa è tutta dei tifosi. Il funzionario dichiara che gli ultras bresciani “occupavano il primo binario bloccando la testa del treno”, con la pretesa di “far rilasciare due arrestati”. Appena le divise si avvicinano, giura il pubblico ufficiale, “il fronte dei tifosi assalta i nostri reparti con cinghie, aste di ferro, calci, pugni e scagliando massi presi dai binari”. La celere li carica “solo per prevenire violenze sui viaggiatori”. Paolo non è neppure nominato: una riga nella penultima pagina del rapporto cita solo “un tifoso colto da malore a bordo del treno”. Chi lo ha picchiato? “Scontri con gli ultras veronesi”, è la prima versione, che crolla subito: la stazione era vuota, dentro c’erano solo i bresciani scortati dagli agenti. Quindi un celerino ne racconta un’altra: Paolo sarebbe stato ferito da “uno dei massi lanciati dagli ultras” suoi amici.

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