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Dietro il passamontagna del 15 ottobre


Incolti, brutali, rozzi, prezzolati, criminali, teppisti, dementi, sfascisti, populisti, nemici. Neri. Eccolo, nei commenti sui quotidiani, l’identikit degli “incappucciati” di piazza san Giovanni.

Un unanime coro di condanna, di politici, di opinionisti – un arco che raccoglie la destra e la sinistra e i più radicali delle sinistre – che manda al rogo quei maledetti violenti.

Una trasversalità di opinioni che lascia sgomenti. Accade solo con le catastrofi, con i terremoti, l’unanime cordoglio. E i tumulti appartengono alla politica, non alla natura del mondo. Tutti hanno “espressioni di ferma condanna”, plaudono alla polizia, invocano azioni repressive – individuateli, toglieteceli dai coglioni.

Tutto il vocabolario dei comunisti d’antan – i Pajetta, i Pecchioli, i Berlinguer – avete tirato fuori. Untorelli, squadristi, chiamavano gli altri incappucciati, quelli del Settantasette, senza capirci un cazzo. E sono storie che non c’entrano quasi nulla, l’una con l’altra. Quelli, però, avevano stoffa e storia, oltre che il pelo lungo così sullo stomaco, voi chi cazzo credete di essere, pensate che basti il pelo? Loro poi andavano da Cossiga con le liste di proscrizione, indicando chi andava arrestato: lo farete anche voi? Andrete anche voi da Maroni? Farete come promise Cameron dopo il riot di Londra, li prenderemo a uno a uno nelle loro case? Avete già le vostre liste?

Chiedete consulenza a Carlo Bonini della Repubblica: lui conosce bene gli Acab, All cops are bastards, ci ha fatto un libro, dove racconta le sofferenze dei poliziotti – ognuno ha le sue debolezze –, e ora disegna le mappe dei violenti di piazza, i luoghi dove si annidano, dove andare a scovarli. La chiama informazione, lui.

Non siate così melodrammatici – la madonnina sul selciato, oh la guerra di spagna e i preti fucilati, oh i talebani e i Buddha sgretolati, e la piazza di San Giovanni violata nella sua sacralità, ah il luogo delle composte manifestazioni, ah le canzoni di luca barbarossa e fiorella mannoia.

Non siate così mediocri nel giudicare.

Volete redigere e distribuire il manuale del bravo indignato? Dire come deve essere la rabbia e indicare i comportamenti dell’accettabile indignazione? Avete già pronta la guida della giovane marmotta indignata, un’indignazione composta, educata, per bene, moderata? Che aspettate a distribuirla?

Siete indignati con i black bloc, con gli incappucciati, i violenti, ormai l’indignazione vi viene così, come niente. Siete indispettiti, avevate già tutti i vostri bei discorsetti pronti, i vostri editorialini, le vostre intervistine, e v’hanno messo un candelotto dentro, ve li hanno bruciati come fosse un blindato.

O giovani incappucciati, meditate su quale disastro abbiate prodotto: Eugenio Scalfari e Aldo Cazzullo vi hanno ritirato la loro simpatia. Ci potevate pulire il culo già prima con la loro simpatia.

Un tumulto non è un pranzo di gala, un ordinato corteo, una partita magari un po’ rude e maschia da commentare nei salotti di una tivvù. Non è la simulazione dello scontro sociale. È una forma dello scontro sociale. Il tumulto è un grumo nero di rabbia e distruzione. Non mette fiori nei cannoni, non cerca consensi, non costruisce alleanze. Non è un movimento politico.

Questi non occupano il teatro Valle e non ascoltano gli uomini di cultura e i loro lamenti. Sono folli di rabbia, pazzi di distruzione.

Sono cronaca nera, forse è vero. Ma è nella cronaca nera che oggi si legge quanta rabbia e quanta disperazione stia producendo la crisi in chi era già ai margini, in chi è senza reti di protezione, in chi non sa a che santo votarsi.

Ma è sulla cronaca nera, sulla rabbia e sulla disperazione, che qualunque proposta politica di trasformazione, di riforme, deve misurare la sua credibilità. Mohammed Bouazizi, il giovane ambulante tunisino che si diede fuoco per protesta contro una multa dei vigili, era cronaca nera, un episodio di disperazione e rabbia, prima che un movimento lo trasformasse in un’onda politica inarrestabile.

La piaga di questo paese è diventato l’antiberlusconismo, spargere a piene mani l’illusione che basti un’imboscata parlamentare, un complotto trasversale, e buttare giù il governo e tutto – come d’incanto – cambierebbe. Niente più debito pubblico, niente più disoccupazione, niente più precariato, niente più tagli all’assistenza sanitaria: invece, investimenti, occupazione, credito a strafottere, la Fiat che marcia a pieno ritmo, e tutta la cassa integrazione che rientra. Basterebbe mettere Visco all’economia, Vendola allo sviluppo, Di Pietro alla giustizia, e ecco la quadra: la Bce ci darebbe tutto il credito di cui abbiamo bisogno, i mercati – la speculazione! – capirebbero che abbiamo un governo solido e stabile e ci ricompenserebbero; Sarkozy e la Merkel ci penserebbero due volte prima di decidere tutto da soli il futuro dell’Europa, e persino la Grecia e la Spagna si risolleverebbero, vuoi mettere? C’è chi fa i calcoli di quanti punti si ridurrebbe lo spread col Bund tedesco, e lo dà come cosa acquisita. Ma si può? Di che favola andate parlando? Quale film vi state girando nella testa? State lì, con l’acquolina alla bocca, pronti a governare senza uno straccio di programma, senza un sentimento sociale che spinga al cambiamento, litigiosi come i capponi di Renzo mentre si assaltano i forni del pane. Questo è il “male assoluto”, non quattro vetrine infrante.

Vedete, la domanda vera non è come mai a Roma il 15 ottobre ci sia stato l’inferno e nelle altre capitali del mondo tutto sia filato liscio – che poi non è neppure vero, già dimenticate le giornate di Atene? già dimenticato il riot di Londra? già dimenticato il 14 dicembre di Roma? già dimenticate le giornate dello sgombero dei No Tav? –, ma come mai non succeda tutti i giorni un casino simile.

Certo, se state tutti i giorni a pensare a Ruby e alla Minetti, a Scilipoti e a Sardelli, a Montezemolo e a Napolitano, è difficile che vi rendiate conto di quanta rabbia e disperazione stia producendo la crisi, quanta devastazione nella vita quotidiana e nell’immaginare un qualunque domani.

A che servono le vostre condanne? Convinceranno forse i black bloc – gli uomini neri – a essere più duttili? Blinderete le manifestazioni pacifiche facendole proteggere da cordoni di sicurezza pronti a menare chiunque si discosti dalle vostre indicazioni, dal vostro manuale di comportamento – fin qui si può essere rabbiosi, più in là, no, non sta bene, ci alieniamo scalfari e cazzullo? Che un movimento faccia le barricate e poi chiami la polizia per rimuoverle – come diceva Marx dei tedeschi – è una cosa contro natura.

Che un movimento provi a costruire simpatia e consenso intorno ai suoi temi è non solo legittimo ma auspicabile, che un movimento ponga un’opzione di cambiamento radicale è non solo legittimo ma auspicabile.

Il tumulto non viene da Marte, non è un complotto organizzato da minoranze di facinorosi. È nelle nostre attorcigliate viscere. È il buco nero della politica, il collasso della materia. Ma è nel nostro universo.

È qui che si misura la sfida di una politica del cambiamento, nel trasformare la rabbia in speranza, nel dare alla rabbia una speranza.

 

Nicotera, 17 ottobre 2011

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