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Green Passion: Produrre società o produrre odio sociale

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Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo nuovo contributo alla rubrica Green Passion… L’evolversi della condizione pandemica rimette al centro una riflessione sull’inefficacia della gestione tecnocratica della crisi e sulla necessità di articolare nuovi (e vecchi) strumenti per ripensare il vivere sociale. Da qui non si scappa, se non a costo di ricadute continue ed altre centinaia di migliaia di vittime. Il nodo della discussione allora si pone ad un altro livello, e questo articolo ci pare ponga alcuni stimoli interessanti per affrontarlo.

Il senso sociale della complessità si sviluppa dentro le relazioni umane e queste a loro volta  generano le società. Ma il senso di unità che porta le persone a legarsi tra di loro si crea quando si  pongono le condizioni perché questo avvenga. Di conseguenza, che cosa può produrre in termini  relazionali l’ingresso del green pass nelle questioni terapeutiche e relazionali tra le persone? 

Forme di aggregazione e disgregazione sociale emergono regolarmente nella vita di tutti i giorni,  questi processi ruotano intorno a credenze, senso d’appartenenza ed in alcuni casi ad una buona  dose di suggestionabilità. Per evitare che quest’ultima prenda il sopravvento e possa degenerare in  forme violente di relazioni umane, serve la capacità di distaccarsi dalle proprie convinzioni ed  immergersi nella capacità di umanizzare i problemi degli altri per sentirli come propri. 

Quindi, tornando alla domanda di partenza: che cosa può produrre in termini relazionali l’ingresso  del green pass nelle questioni terapeutiche e relazioni tra le persone? 

A questa domanda se ne collegano altre: come ci immagniamo i vari servizi all’interno della  società? Devono essere inclusivi di tutte le fascie sociali o escludere dalla vita sociale alcune  persone perché agli occhi di alcuni sono dei malati, anche se si fanno 3/4 tamponi a settimana per  poter lavorare? Vogliamo servizi accessibili a chiunque o forme di isolamento ed esclusione  spaziale imposti, con la conseguenza di generare odio e rancore sia nei vaccinati che nei non  vaccinati? Ha senso scannarsi a vicenda? Ha senso dare legittimità politica al rancore, all’esclusione e all’odio, invece di includere le differenze ed il contradditorio nel dibattito pubblico e politico? 

Se qualcuno pensa che questo abbia senso, é un potenziale autoritario. Gongolarsi delle forme di  autoritarismo significa legittimarle, farle proprie e potenzialmente esercitarle se il contesto glielo/a  permette. Nella logica delle credenze e dell’obbedienza cieca, la libertà di pensiero e di azione  muoiono. Il dubbio dovrebbe servire a sovrastare i dogmi, da qualsiasi parte provengano.  

Dal mio punto di vista l’accessibilità ai servizi dovrebbe essere garantita a tutti e non emergere  come una forma di gerarchia e privilegio tra chi può scegliere se vaccinarsi o meno, solo in  relazione a quanto guadagna. Decidere autonomamente sul proprio corpo significa  autodeterminarsi, scegliere se agire o meno in una direzione potendo tenere in considerazione anche i dubbi sulla propria vita e la complessità umana che soggiace ad essa. 

Non me ne vogliano i vaccinisti convinti, ma porre dei dubbi alle pratiche governative che  legittimano la scienza è necessario per avere una società democratica e non autocratica. Non si  pensi poi che la soluzione sia credere all’esistenza di un futuro ascientifico e monodirezionale, senza minimamente rendersi conto della moltitudine di eventi che intercorrono nello stesso momento in  qualsiasi parte del globo e ai progressi raggiunti grazie alla ricerca scientifica.  I rapporti tra scienza e potere sono sempre stati complessi ed un articolo di sicuro non dipana la  questione.  

Parlando invece in termini statistici della situazione attuale è chiaro considerare che non ci sono  discorsi favorevoli contro la vaccinazione, ma se avviciniamo lo sguardo ed il numero si trasforma  in persona reale fatta di carne ed ossa, la situazione può essere vista diversamente. La responsabilità delle scelte individuali andrebbe rivendicata con forza. Una popolazione moralmente adulta non ha  bisogno di essere obbligata ad agire sotto ricatto, sospensione, giogo e repressione.  

Chi si rende conto di non essere un’isola può agire per se stesso ed in rispetto degli altri con  lungimiranza, senza per forza diventare un egoista egocentrico incapace di dare spazio a quei  sentimenti necessari a vivere insieme.

Agire per la costruzione di una società più libera è un tema importante che non può essere ridotto ad un tesserino sanitario, ne tantomeno essere gestito con l’odio, la paura sociale e l’esclusione spaziale di chi ha scelto nel bene o nel male di non vaccinarsi. 

I soggetti, non vanno governati, ma aiutati ad informarsi meglio, per poter pensare meglio. Non  vanno ridicolizzati e umiliati, vanno rispettati nelle loro complessità umane e sociali.  Non comprendere le cause strutturali dei problemi e mancare il focus sulla costruzione di percorsi  che includano il dissenso ed il pluralismo generano mostri sociali e culturali. In questi mesi si  poteva costruire una narrazione pubblica diversa, che non tendesse a segregare le persone e a  disgregarle emotivamente e socialmente. Il senso di unità muore se si distruggono le relazioni  sociali delle persone. 

L’incapacità di gestire le emozioni, il distaccamento sociale, emotivo di questo periodo storico e di  due anni di gestione pandemica hanno mostrato tutte le fragilità socio-relazionali in cui siamo  immersi. Fino a quando dovremo sorbirci l’idea che sia neccesario mappare le persone per tornare a  vivere senza la paura degli altri?  

Green pass, relazioni e territori 

Il green pass mappa ogni necessità e desiderio di un soggetto, (ad eccezione del consumo nei  negozi) diventando tanti punti in movimento. Tanti piccoli puntini che assembrati tra di loro  possono parlare, giocare, dibattere, morire, scannarsi, vedersi, toccarsi. In poche parole,  relazionarsi. Possono interagire, ma lo devono fare cartografando i loro desideri e le loro necessità e chiedere il permesso per accedere, mostrando il tesserino. Queste persone formano circuiti, reti di  persone, che parlano, vivono, si muovono e si aggregano. 

Fino a quando il monitoraggio degli spostamenti individuali e delle reti sociali di riferimento, dovrà  essere legittimata? (So bene che i decreti emergenziali sono rinnovabili al massimo fino al 31  gennaio 2022, sarà così? Me lo auguro). 

La cartografia dei soggetti che prende forma quando il cellulare da l’ok alla verifica dell’autenticità  del green pass, significa sapere dove va il soggetto, chi c’è con lui, che persone frequenta o può  avere frequentato. In poche parole avere una sua profilazione territoriale, molto più pervasiva di  quello che già accade semplicemente possedendo un cellulare, navigandoci in internet e  portandoselo con sé. Il cellulare si può lasciarlo a casa senza l’esclusione dai servizi nel mondo off line, il green pass no.  

Dalla profilazione on-line dei gusti e delle molteplici possibilità di manipolazione generate dalla  vendita dei dati di navigazione dei soggetti, si è aggiunta anche la profilazione della vita fisica. Il  confine tra reale e virtuale forse è già scomparso da un pezzo, ma gli spazi liberi dal dominio delle  tecnologie digitali si stanno riducendo giorno dopo giorno, come se non fosse più pensabile avere  spazi privati e pubblici senza il digitale. Qual’è il limite in cui gli umani cessano di essere  considerati dei numeri digitalizzabili e sono visti invece come esseri viventi in grado di sentire e  percepire? Vogliamo veramente vivere in una società che crea protocolli per ogni necessità umana? 

Una volta si parlava delle ricadute locali generate dalle situazioni globali e di come i territori  negoziavano questi processi con i loro bisogni e le loro identificazioni territoriali. Ad oggi ci  troviamo in una situazione in cui la direzione del potere sembra andare a senso unico, con la logica  conseguenza di lasciare la libertà di sapere tutto dei soggetti sia da un punto di vista psico-sociale,  che territoriale.  

Che tipo di anticorpi sociali servono per delegittimare il discorso contemporaneo sulla necessità di  verificare gli spostatmenti degli individui?

Per concludere, volevo anche porre l’attenzione su alcune questioni ad oggi forse banali, ma  importanti per pensare l’accessibiltà ai servizi che genera questa situazione. 

Se non ho i soldi per fare i tamponi e non voglio vaccinarmi come faccio ad accedere ai servizi? Se ho i soldi, ma sono impossibilitato a fare i tamponi per cause di forza maggiore (es.farmacie  chiuse, viaggi in treno con orari improbabili, etc..) e non voglio vaccinarmi, perché non dovrei poter accedere ai servizi di ristorazione se ho bisogno di mangiare o andare in bagno? 

E se invece credo nel vaccino, ma non voglio una profilazione territoriale perché il mio spazio  privato è sacro o semplicemente non ho fiducia nel governo, quali scelte mi rimangono per  salvaguardare il mio diritto alla salute e alla privacy? 

Quale organizzazione sociale ci immaginiamo prenda forma in una società, che esclude, ricatta e  minaccia? 

Io la risposta non ce l’ho, ma le tensioni e le trasformazioni sociali che si genereranno a catena  immagino saranno tante. 

P.s.: (Per chiarire ogni dubbio, io mi sono vaccinato. Per scelta, non per obbligo)

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