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La realtà della negazione e la negazione della realtà – pt.2

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Pubblichiamo la seconda parte della traduzione del testo “La realtà della negazione e la negazione della realtà” di Antithesi / cognord. Traduzione a cura di Cattivi Pensieri.

Qui il link alla prima parte.

 

La vera spaccatura nel movimento antagonista

Purtroppo, però, questa marmaglia di estrema destra non monopolizza la scena negazionista. In alcuni paesi specifici (Francia e Grecia in testa), una parte considerevole della sinistra radicale/anti-autoritaria si è sistematicamente opposta alle mascherine, alle misure di distanziamento sociale, alle quarantene e persino al tracciamento dei contatti, concentrandosi sulle modalità repressive (ed irrazionali) con le quali tali disposizioni sono state attuate in Grecia o, ancora peggio, mettendo in discussione la pandemia stessa. Seguendo una traiettoria simile a quella dell’estrema destra, questo contingente si è anche unito all’opposizione alle vaccinazioni e, dove presente, al “Pass sanitario”.

Abbiamo già notato come molti di coloro che si mobilitano politicamente contro queste misure siano guidati, in maniere differenti, da un’immagine mal interpretata della società capitalista, che essi considerano governata da Big Pharma, da Big Tech, dalle grandi banche, dai mass media e dai politici neoliberali (occasionalmente anche etichettati con il termine caro all’ estrema destra di “globalisti”). Allo stesso tempo, come per la destra, bollare tali fenomeni con la facile liquidazione di “teorie del complotto” non risolve molto. Non perché non si basino su una stravagante sequela di banalità essenzialmente senza contenuto (lo stato è un apparato mostruoso, le classi dirigenti hanno degli interessi, la tecnologia non è neutrale, ad nauseam), ma perché tali modalità di pensiero sono preventivamente dotate di un automatismo a prova di errore, che traduce ogni critica nei loro confronti in una conferma della loro “verità”: di come siano presi di mira, vilipesi e messi a tacere per essersi opposti al mainstream. Oggi la mancanza di logica emerge come strada diretta verso il martirio31.

Allo stesso tempo, ed in contrasto con la destra, i negazionisti provenienti dal movimento antagonista non promuovono un immaginario nazionalista o religioso come contrappeso al collasso del campo collettivo/sociale. Ciò che deve essere esaminato, tuttavia, è cosa essi vi stiano esattamente contrapponendo. In alcuni casi, le tendenze negazioniste/novax del milieu cercano di sostenere come coloro che si mobilitano contro le restrizioni e le vaccinazioni siano un soggetto di classe che (nel migliore dei casi) verrebbe dirottato dalla destra estrema, o da quella religiosa, poiché svenduto da una sinistra direttamente o indirettamente schierata dalla parte dello stato. In più di un paese, tali argomentazioni sono state utilizzate da (ex) compagni per giustificare la propria partecipazione alle stesse manifestazioni dei fascisti. Vale la pena notare, a questo punto, come l’accusa ricorrente di “accorpare” imperdonabilmente il negazionismo di sinistra e di estrema destra, ignori abilmente il fatto che spesso siano gli stessi diretti interessati a consentire ciò: non siamo certo gli unici ad aver sentito, in conversazioni private, (ex) compagni dichiarare quanto “a loro non importi se queste posizioni sono le stesse dei fascisti, se corrette”, o cose come “al momento è (purtroppo) solo l’estrema destra a resistere”. Ma l’evidenza aneddotica non è priva di giustificazioni teoriche pubbliche: un indicativo testo francese conclude la propria analisi sostenendo che “la popolazione è divisa tra coloro che percepiscono come i tecnocrati (in Francia come altrove) siano pronti a tutto pur di difendere il sistema politico ed economico esistente; e coloro che credono che questi tecnocrati stiano facendo quel che possono in una situazione difficile, e che dovremmo richiedere loro una maggiore protezione”32.

Similmente, il collettivo italiano Wu Ming mette in guardia dal liquidare queste mobilitazioni, così come dalla “facilità con cui sono state affibbiate le etichette e l’adesione a quella che abbiamo definito la ‘pace sociale pandemica’”, aggiungendo che queste mobilitazioni sono “contraddittorie ma inevitabili”. Interpretando la presenza di tendenze fasciste come preoccupanti solo in presenza di gruppi fascisti organizzati, Wu Ming conclude come i partecipanti a queste lotte siano essenzialmente “preoccupati per la propria proletarizzazione” e che “definire tutto questo ‘fascista’ è perlomeno un segno di allucinazione ideologica” di una sinistra divenuta “sostenitrice attiva dello stato” (Amiech) o potenziale “guardiana del sistema [e] difensore dello status quo” (Wu Ming)33.

Altri vanno anche oltre. Accusando coloro che prendono sul serio la pandemia e i suoi pericoli come “servili”, “collaboratori dello stato”, “totalitaristi sanitari” e altre simili sciocchezze, tali negazionisti ignorano deliberatamente le critiche radicali alla gestione della pandemia, dichiarando in sostanza come l’unica vera opposizione all’attuale situazione derivi dal rifiuto delle chiusure, delle mascherine, del distanziamento sociale e dei vaccini. Differenziandosi con arroganza dalla società “soggiogata” e proponendosi come “insorti” (concetto che, in assenza di un’insurrezione, risulta particolarmente insensato), i negazionisti ridicolizzano la paura generata da una malattia contagiosa, mentre allo stesso tempo elevano la propria ansia verso le biotecnologie e la sorveglianza a livelli esasperati. Nelle mobilitazioni vedono (e celebrano) delle “rivolte” contro la distopia tecno-scientifica. Da parte nostra, non riusciamo a comprendere come un discorso politico costruito sulla “ricerca” online, sui nudge algoritmici e sull’ingigantimento da social media delle posizioni più assurde possa essere descritto come una sorta di risveglio contro un futuro tecno-distopico di sorveglianza di massa34.

Nel contestare la gravità “costruita” della SARS-CoV-2, i negazionisti rivelano essenzialmente il desiderio di tornare ad una normalità antecedente alla “dittatura sanitaria” e all’imposizione dell'”apartheid”35, quando nessun certificato veniva richiesto dai moderni dottor Mengele e la vita sociale poteva essere goduta senza restrizioni o esclusioni. In altre parole, un ritorno alla vita prima del Coronavirus.

Lungi da noi il mettere in discussione il desiderio di fuga dalla distopia in cui siamo immersi. Continuiamo però a contestare l’idea che una tale possibilità possa essere raggiunta fingendo che il virus sia “solo un’influenza”, rifiutando consapevolmente di prendere misure protettive contro di esso, compresi i vaccini, la cui efficacia contro l’infezione sintomatica, l’ospedalizzazione o la morte è evidenziata in maniera schiacciante dai dati. Registriamo con stupore come prospettive altrimenti intelligenti e radicali non sobbalzino di fronte all’idea che la risposta appropriata da contrapporre ai tentativi dello stato di ridurre tutto alla “responsabilità individuale” stia nella libertà personale di fregarsene della realtà sociale, piuttosto che in una lotta collettiva che ponga i nostri interessi al di sopra di quelli dell’economia e delle sue conseguenze.  

La supremazia della legge (e delle sue componenti repressive) ispira soggezione e sottomissione se posta di fronte all”individuo isolato; solo di fronte alla resistenza collettiva essa può essere messa in ridicolo. Ma la resistenza collettiva non è un aggregato di libertà individuali separate, che soltanto sotto l’egida di una cornice politica possono trovare un’unità (ciò che tenta di fare l’estrema destra). Se la critica e la prassi radicale hanno un ruolo, non è quello di sostituire una cornice politica (l’estrema destra) con un altra (la sinistra) mantenendo intatto il contenuto di ciò che queste politiche esprimono, cioè la libertà individuale. Una lotta per l’autonomia e la libertà individuale che si ponga contro un funzionamento mal interpretato del capitale, dello stato e degli sviluppi scientifici non può che rivelarsi in ultima istanza come una parte integrante della riaffermazione del capitale in generale.

All’interno di una tale configurazione, la critica del capitale, dello stato e persino della scienza stessa rimane superficiale e caricaturale36. Il capitale viene soggettivato e, in quanto soggetto, cospira e usa la pandemia come un pretesto per imporre con la forza qualcosa, in ogni caso, già all’ordine del giorno – senza tuttavia suscitare quel tipo di resistenza coordinata che giustificherebbe una tale massiccia mole di misure disciplinari celate dietro il diversivo del Covid. Inoltre, una tale concezione del capitale come soggetto cospiratorio si inserisce in definitiva in un “anticapitalismo” tanto di sinistra quanto di estrema destra/antisemita, che non è altro che un anticapitalismo feticizzato e reazionario (come notato da Moishe Postone).

Allo stesso modo, lo stato smette di essere inteso come una forma politica del capitale (inteso come relazione sociale), ma diventa, in una mossa che ricorda i peggiori residui del pensiero marxista ortodosso, uno strumento delle élite (uno schema che implica direttamente come una diversa élite possa forzare lo stato a “servire il popolo”). Questo approccio ci permette di individuare una chiave interpretativa rispetto ai vari equivoci ed esagerazioni sulla questione della “politica del disciplinamento”: se la disciplina diventa un fine in sé, spariscono dal quadro gli interventi statali per assicurare la riproduzione allargata, così come risulta mistificata la riproduzione specifica del proletariato – conditio sine qua non della produzione capitalista. Invece, siamo spinti a pensare che le autorità pubbliche e transnazionali, nel promuovere presunte vaccinazioni pericolose o sperimentali, siano disposte, per non si sa quale motivo, a sacrificare la salute e la vita di miliardi di proletari, nonché la merce più preziosa per l’accumulazione capitalista, la forza lavoro, al fine di garantire i profitti di poche aziende farmaceutiche e Big Tech.

Come già notato, questa confusione infelice impedisce ai negazionisti di fare i conti ed analizzare le riconfigurazioni cruciali in corso tra gli attori statali e il capitale. Se si abbraccia lo spauracchio di un qualche onnipresente ed astratto incentivo disciplinante dietro al pretesto di un “fallimento pandemico”, il fatto che gli assi portanti dell’economia politica globale degli ultimi decenni siano stati messi da parte dalla sera alla mattina non trova spiegazione. In questo contesto, i mutamenti rilevanti occorsi, come il chiudere un occhio sull’aumento “disastroso” del debito pubblico; l’intervento diretto delle banche centrali attraverso la stampa di denaro non condizionato a misure di austerità o senza l’esclusione degli stati fiscalmente “indisciplinati”; l’erogazione di finanziamenti da parte dell’UE sotto forma di sovvenzioni (e non di prestiti); niente di tutto ciò può essere anche solo lontanamente compreso nel contesto di un”influenza” che avrebbe permesso a Big Pharma di arricchirsi.

Infine, qualche parola sulla scienza. A meno che non si sia mentalmente sopraffatti dall’immaginario di un apparato tecno-distopico che sorveglia e raccoglie dati destinati “ad addestrare i robot e a sviluppare gli innumerevoli algoritmi che determineranno, al nostro posto, ciò che facciamo, possiamo e desideriamo”37, preferiamo intendere la scienza, allo stesso tempo, come una forza produttiva, come conoscenza sociale espropriata e come un processo di produzione. In effetti, nel capitalismo moderno il processo di produzione è stato generalmente trasformato in un processo scientifico. Ma il processo produttivo non rappresenta solo un processo di valorizzazione, ma anche un processo di produzione di valori d’uso. E questi valori d’uso soddisfano i bisogni tanto della produzione capitalistica di merci quanto della riproduzione della forza lavoro. Chiaramente, la scienza “appare come un attributo del capitale sul lavoro produttivo”, come “il potere del capitale sul lavoro vivo” (Marx) e da qui nasce la lotta che i proletari conducono contro le macchine e contro la scienza, intesa come una forma di potere del capitale e come forma di alienazione. Ma allo stesso tempo, essa è una forza produttiva sociale che soddisfa i bisogni umani e, nel caso della medicina e della farmaceutica, il bisogno più elementare: quello della salute.

A differenza di coloro che cercano nella metafisica religiosa le risposte ai problemi posti dal virus, la maggior parte dei negazionisti di destra e di sinistra cerca di contrastare le prove scientifiche rispetto ai pericoli della pandemia (e dell’efficacia dei vaccini) utilizzando le parole di altri scienziati. Questo approccio, nella misura in cui può essere separato dai (molteplici) discorsi pseudo-scientifici (microchip nei vaccini, persone vaccinate che si trasformano in magneti, vaccini mRNA che modificano il DNA umano, ecc), non è soltanto diverso dalle opinioni religiose autoreferenziali (Gesù ci salverà, la santa comunione non può essere contagiosa, ecc). Cerca anche di rafforzare le credenziali di radicalità della critica, sottolineando come il negazionismo sia esso stesso un risultato dell’evidenza scientifica, con la differenza che gli scienziati “critici” verrebbero calunniati e messi a tacere proprio perché non in linea con l’approccio mainstream ufficiale.

Un aspetto interessante è il tentativo simultaneo di politicizzare e depoliticizzare questo approccio alternativo e non sottomesso. Esso denuncia il discorso scientifico ufficiale (OMS, CDC, ecc.) come profondamente politico, al servizio della linea generale (apartheid, esclusione, cittadinanza di serie B, ecc.), mentre è scandalosamente indifferente alle posizioni politiche degli scienziati da esso promossi.

Il risultato è doloroso. Compagni generosi, che hanno dato molto al movimento antagonista, finiti a farsi impressionare e a riproporre le parole di scienziati le cui posizioni vanno dal neoliberismo pro-mercato all’estrema destra. Naturalmente senza contare i ciarlatani puri e semplici e i truffatori, che approfittano finanziariamente della paura e dell’insicurezza diffusa, cui essi contribuiscono. In ogni caso, non si assiste ad una critica sistematica della ragione scientifica, ma allo sposare una qualunque visione che solletichi sospetti preesistenti ed aiuti ad alleviare il pesante fardello psicologico dell’accettare la realtà da incubo del virus.

Criticare tali punti di vista, tuttavia, non significa sposare un’accettazione acritica della parola degli esperti, né trasmettere una cieca accettazione degli scopi limitati della scienza. Se la scienza è apparsa in passato come un’alternativa valida a sistemi di pensiero metafisico screditati, come la religione, ciò non significa che sia riuscita ad offrire una spiegazione coerente e completa del mondo e della nostra posizione al suo interno Nel quadro attuale, infatti, la scienza non cerca nemmeno di offrire indicazioni per una diversa organizzazione e riproduzione della vita nella sua totalità.

In contrasto con le argomentazioni dei negazionisti, tuttavia, se la critica radicale non celebra l’autorità degli esperti o della scienza in generale (tanto meno quando tratta di questioni sociali), essa non ricade nel sostegno e nella promozione delle posizioni di qualunque non esperto. Quando Ivan Illich criticava il fatto che le nuove tecnologie mediche abolissero quelle più antiquate anche se chiaramente più efficaci, non implicava (come fanno molti negazionisti oggi) che la soluzione alle malattie moderne (come il Covid-19) risiedesse nell’adozione di panacee o rimedi del passato (spesso screditati dal punto di vista medico). Ribellarsi al dominio tecnologico potrebbe creare nuove forme di comunità, ma potrebbe anche rafforzare il nichilismo ed una fragile e confusa soggettività. L’irrazionalità non è mai stata un buon contrappeso alla ragione strumentale.

Il quadro in cui si svolge la critica all’autorità degli esperti non è l’idea delirante che ognuno di noi possa esprimere opinioni ugualmente valide su questioni di epidemiologia, immunologia o malattie trasmissibili. Si parte, infatti, dal riconoscimento che ogni posizione scientifica esista all’interno di un determinato quadro storico e rifletta determinate relazioni sociali. La questione chiave è capire bene il quadro storico e strutturale, non giudicare i dati medici dopo aver letto un post su Facebook. Semmai, e da un punto di vista puramente metodologico, la direzione della ricerca medica, gli investimenti spesi e le scelte in base alle quali vengono diffusi i risultati, esprimono dinamiche e rapporti determinati dal modo di produzione capitalista predominante. Questo non significa però che il sapere scientifico, la ricerca o i suoi risultati siano per definizione falsi, fuorvianti, inutili o finalizzati a promuovere interessi oscuri. Lo strumento chiave della critica radicale sta precisamente nell’esposizione delle condizioni sociali che sottendono il discorso e il lavoro scientifico, così come nel tentativo di spiegare le sue più ampie conseguenze. Il tentativo di screditare tutti i progressi scientifici a causa della realtà sociale all’interno della quale prendono corpo è, se non altro, non soltanto destinato ad incontrare ostacoli insormontabili, ma ad alimentare posizioni reazionarie38. Come abbiamo dimostrato qui, la nostra posizione nei confronti delle misure e dei vaccini non è il risultato dell’essere diventati improvvisamente esperti di epidemiologia – anche se questo non significa non essere in grado di comprendere i risultati di questa disciplina. Essa deriva essenzialmente dallo studio del ruolo storico del meccanismo statale, dal punto di vista di un approccio complesso alla scienza all’interno di una società capitalista e da una posizione comunista rispetto alla questione dell’esistenza collettiva.

Una critica contro la realtà scientifica e medica potrebbe, per esempio, indignarsi contro il fatto che le cure e i farmaci esistenti non siano disponibili, per questioni di redditività, per le popolazioni che il capitale tratta come surplus. Parallelamente, potrebbe criticare il fatto che non fosse disponibile alcun vaccino serio e sistemico, né alcun preparato medicinale, per l’eventualità di una pandemia, proprio perché tale evento era considerato irrilevante ed incoerente con la prospettiva a breve termine di una profittabilità diretta39. Solo quando si è dimostrata una diretta necessità per affrontare una pandemia globale, sono stati stanziati fondi (pubblici) pressoché illimitati per la ricerca sui vaccini, con il risultato di quasi 10 vaccini diversi e molto efficaci in circolazione40. Invece che criticare questo interesse preventivamente distorto della ricerca scientifica, condannando la mancanza di accesso alla conoscenza scientifica e alle cure in ampie zone del mondo, i negazionisti scelgono di focalizzarsi sul diritto di rifiuto della vaccinazione, sulla base di paure astratte ed un’immagine distorta di ciò che significa lo sviluppo scientifico41.

Il paravento dell’opposizione alla vaccinazione obbligatoria

Alla luce delle disposizioni statali atte a garantire la riproduzione allargata e a buon mercato di una forza lavoro sana e produttiva, le recenti misure sulle vaccinazioni mirano a prevenire tanto una nuova ondata di morti ed un collasso del sistema ospedaliero, come accaduto lo scorso inverno, quanto la possibilità di un nuovo lockdown. La vaccinazione, nella misura in cui agisce come prevenzione efficace contro la SARS-Cov-2, rappresenta la soluzione più economica sul mercato, e si inserisce così nella più ampia strategia governativa di ulteriori tagli (e privatizzazioni) al sistema sanitario. Come il premier greco Mitsotakis ha già dichiarato, non solo non c’è alcuna intenzione di assumere, aumentare la spesa e sostenere il sistema sanitario pubblico, ma al contrario, l’obiettivo è quello di chiudere ancora più ospedali regionali e, con l’ingresso delle società negli ospedali, far avanzare le privatizzazioni, permettendo così che una parte della spesa pubblica stimoli la redditività del capitale privato42. Inoltre, la vaccinazione non rappresenta solo una soluzione economica per lo stato, ma anche per il capitale: in quanto importante arma di prevenzione nella lotta contro la pandemia, essa diventa anche un alibi per l’abolizione delle misure di protezione sul posto di lavoro e il conseguente sblocco della produzione, della distribuzione e della redditività.

Infine, la riduzione della mortalità e la prevenzione del collasso degli ospedali attraverso la vaccinazione di massa, tocca direttamente anche la questione della legittimazione, non solo perché per il governo uno sviluppo diverso avrebbe avuto un alto costo politico, ed avrebbe minato ulteriormente la fragile fiducia nello stato, ma anche perché questa politica consente allo stato di apparire come attore razionale di fronte ad un nemico screditato ed irrazionale. La campagna di attacco ai non vaccinati deve essere esaminata anche da questa prospettiva: consapevole del fallimento della “campagna” vaccinale e dei grandiosi piani per un ritorno alla normalità, lo stato mantiene un piano di ripiego, di modo che quando i casi torneranno ad aumentare, quando la pressione sul sistema sanitario si intensificherà ed il fallimento risulterà evidente, la responsabilità sarà già stata allontanata dall’apparato statale.

La bassezza della politica del governo (in relazione alle vaccinazioni obbligatorie per gli operatori sanitari) risulta evidente anche dal fatto che essa trasformi una questione praticamente inesistente (la maggior parte di medici ed infermieri erano già stati vaccinati prima dell’annuncio dell’obbligo) in una questione centrale. Attraverso tale tattica, il governo ha dato fiato al movimento anti-vaccinazione e prodotto, inoltre, un effetto inibitorio sul tasso di vaccinazioni, con tragiche conseguenze visto il già basso livello di somministrazioni nella popolazione generale. Ma questa evidente contraddizione non scoraggia il governo, che cerca di creare una situazione win-win: nel caso la coercizione portasse ad un incremento nelle vaccinazioni, questo avvicinerebbe all’obiettivo di evitare un lockdown generale ed ottenere una più estesa riapertura dell’attività economica; d’altra parte, se invece radunasse ed incrementasse il numero degli antivaccinisti, è su di essi che il governo farebbe ricadere le colpe per l’aumento dei casi, per eludere le proprie responsabilità e giustificare ulteriormente il più ampio progetto di deregolamentazione e privatizzazione già in atto. Ancora una volta, e nell’ambito del suo contenuto ideologico e spettacolare, lo stato segue fedelmente il commento di Debord, secondo cui la democrazia vuole essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati. In questo caso, quel “nemico” è il “movimento anti-vaccinazione”.

Ma riconoscere quanto fin qui esposto non risulta sufficiente per imbastire una critica radicale. Ad un livello molto basilare, il fatto che una forma di protezione contro la SARS-Cov-2 riduca i costi, generi profitti e rafforzi la legittimità dello stato non è di per sé una ragione per rifiutarla. Contrariamente ad alcuni presunti rivoluzionari, noi non siamo contro il fatto che lo stato e il capitale ci preferiscano vivi.

Appare sempre più chiaro, con il passare del tempo, come gli anti-vaccinisti siano un nemico costruito. Naturalmente questo non significa che lo stato abbia letteralmente creato questo movimento dal nulla e abbia cospirato per farlo emergere (nonostante il ruolo centrale giocato nella sua formazione dalla chiesa, intesa come parte dello stato greco,  e da alcune formazioni di estrema destra vicine al partito Nea Dimokratia), ma, nello specifico, che abbia determinato un suo rafforzamento attraverso l’autoritarismo, l’opacità e l’assurdità sistematica delle misure (e mezze misure) prese dall’inizio della pandemia, e che abbia sfruttato tale rafforzamento, per presentarsi come esponente responsabile e razionale dell'”interesse generale”di fronte all’individualismo irrazionale.

Come già detto, la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari per un certo numero di malattie infettive era già presente all’interno della legislazione europea per la protezione dei lavoratori e dei pazienti, molto prima della pandemia di Coronavirus. Molti paesi impongono inoltre la vaccinazione obbligatoria per l’iscrizione dei bambini agli asili o alle scuole. Tali disposizioni, come ad esempio imporre l’allontanamento dal lavoro degli operatori sanitari affetti da tubercolosi attiva, sono, dal punto di vista del capitale, volte a proteggere la salute della forza lavoro al fine di limitare la perdita di giorni lavorativi – cioè la perdita di produzione di valore e di profitto. Ma è assurdo non riconoscere come esse rispondano anche ad una fondamentale esigenza collettiva di classe. Questo requisito così esplicito di non contagiosità per gli operatori sanitari rappresentava una sorta di “dittatura” anche in passato, o lo è diventato solo con il Coronavirus? Di fronte ad una pandemia in corso che ha provocato più di 5,3 milioni di vittime ufficiali (la maggior parte delle quali in paesi con sistemi sanitari sviluppati), e che uccide più di 80 persone al giorno in Grecia (in media), la vaccinazione diventa ancora più importante per la nostra salute, anche se non rappresenta chiaramente una panacea. Appare sempre più evidente come la maggiore possibilità di evitare il perpetuarsi ciclico di questa pandemia stia nell’aumentare la percentuale di coloro che hanno abbastanza anticorpi da ridurre i pericoli del virus, e i vaccini sono un elemento essenziale in questo percorso.

In questo contesto, e dal punto di vista degli interessi proletari, non ha senso porre in modo astratto l’opposizione tra coercizione e libertà. Il Diritto del Lavoro, ovvero la forma reificata ed alienata che assumono i risultati della lotta di classe all’interno del diritto capitalista, sta lì a dimostrarlo. In Grecia, per esempio, esso presuppone ancora divieti ed obblighi, alcuni dei quali a favore dei lavoratori: vieta i licenziamenti per attività sindacale e le serrate dei datori di lavoro. Il Diritto del Lavoro include anche la libertà individuale di ciascun lavoratore di raggiungere accordi con i datori di lavoro che sostanzialmente violano le leggi sul lavoro e/o i contratti collettivi.  In effetti, l’appello alla “libertà dell’individuo di decidere per sé” ha rappresentato un’arma ideologica chiave nella deregolamentazione del Diritto del Lavoro, come è stato evidente nel dibattito sul limite delle dieci ore lavorative giornaliere introdotto dal governo greco. In ogni caso, la costrizione non è necessariamente contro gli interessi di classe, così come il diritto di scelta individuale non ne è necessariamente a favore.

In una prospettiva più ampia, è chiaro come il carattere coercitivo del diritto sia al servizio della riproduzione dei rapporti sociali capitalistici. L’abolizione di questo carattere ed il superamento comunista del diritto non risiedono però nel “diritto alla libertà di scelta individuale”, ma nell’abolizione della separazione e nella creazione, attraverso l’intensificazione della lotta di classe, di una comunità reale al posto della comunità fittizia di individui separati. E da questo punto di vista, l’opposizione tra obbligo e libertà individuale è falsa. Le separazioni imposte ai non vaccinati non sono solo un prodotto delle misure statali, ma esprimono la separazione come essenza comune (Gemeinwesen) degli individui all’interno della società capitalista. Lo stato impone l’unità attraverso la coercizione e l’esclusione. Nella misura in cui gli anti-vaccinisti inquadrano il loro rifiuto al livello circoscritto della “responsabilità personale”, essi esortano lo stato ad apparire come l’unica espressione dell’interesse collettivo o sociale, intensificando così le esclusioni, proprio perché l’unica unità che lo stato può imporre è basata sull’esclusione generalizzata. L’abolizione dell’esclusione, così come l’abolizione della coercizione, non può essere raggiunta facendo appello alla sua stessa base fondante, cioè la “scelta personale” dell’individuo separato, che si parli di vaccinazioni, di test o di mascherine43. L’abolizione dell’esclusione, intesa come elemento essenziale dell’autorità statale, passa per la creazione di una comunità che funzioni attraverso una solidarietà autentica e, quindi, l’assunzione di tutte le misure necessarie per contenere la pandemia.

Per concludere: la posta in gioco qui non è il carattere coercitivo della vaccinazione in sé, né il “resistere all’autoritarismo statale”, slogan accattivante. Parte dai termini specifici e dal livello di accettazione (o negazione) del pericolo del virus e dell’efficacia delle misure di protezione. Ecco perché non abbiamo mai visto prima mobilitazioni contro le misure obbligatorie/precauzionali esistenti per malattie trasmissibili, intese come espressione di stigmatizzazione, separazione e “apartheid sanitario”. Il “diritto di scegliere” nel contesto attuale appare come il diritto di non prendere misure per il contenimento della pandemia, ed assume quindi facilmente (ed attrae) un contenuto reazionario ed individualista, sia esso determinato dall’ignoranza o, peggio ancora, dall’indifferenza e dal darwinismo sociale.

Dal punto di vista della solidarietà sociale di classe, la vaccinazione è un atto evidente per proteggere e prendersi cura di chi ci circonda. L’uso e la manipolazione che ne fa lo stato non invalidano questa realtà. Per questo motivo, l’antitesi costruita tra lo stato e gli anti-vaccinisti è falsa. Né gli anti-vaccinisti sono contro la gestione statale della crisi sanitaria reale, dato che in realtà la intensificano, né la politica vaccinale dello stato è analizzata nelle sue vere dimensioni.

Contro la gestione statale della pandemia, che è diretta contro gli interessi e i bisogni proletari, dobbiamo promuovere la lotta collettiva per la soddisfazione dei nostri bisogni, che include ma non si limita alla vaccinazione universale. Invece di difendere le auto-illusioni dei negazionisti, che mascherano la propria indifferenza verso la pandemia con mobilitazioni contro l’autoritarismo del governo, dobbiamo esigere l’accesso universale a tutte le possibilità preventive e terapeutiche. Come disse un gruppo di lavoratori della sanità in sciopero nel maggio 1968, “una vera lotta contro la malattia, che implica una notevole estensione dell’idea di medicina preventiva, diventerebbe rapidamente politica e rivoluzionaria, poiché sarebbe una lotta contro una società inibitoria e repressiva”44.

Le divisioni e gli antagonismi connaturati alla società capitalista si rifletteranno sempre nella sua forma politica, cioè lo stato. Quando queste contraddizioni sono imposte attraverso misure repressive, i sentimenti anti-statali (anch’essi connaturati) raggiungono il livello della superficie ed esplodono in forme divergenti di opposizione. Feticizzare queste opposizioni, tuttavia, trascurando il loro contenuto sottostante, rende la critica incapace di riconoscere una verità storica: vale a dire, che l’opposizione ad uno stato di cose può essere altrettanto facilmente reazionaria, una categoria, questa, non esclusiva del fascismo organizzato (sebbene non ci si allontani troppo).

La necessaria opposizione allo stato e alla gestione della pandemia perde il suo potenziale emancipatorio quando intesa come espressione di indifferenza verso una minaccia reale, in gran parte basata sull’illusione che specifiche individualità (di solito giovani corpi sani) si considerino al di là del rischio. Resistere a misure precauzionali efficaci contro un virus che si trasmette per via aerea, in nome di una concettualizzazione della libertà che esclude preventivamente le categorie vulnerabili (cioè quelle proletarie) non può essere il terreno per una messa in discussione radicale della società esistente. La decomposizione dell’esistenza e della resistenza collettiva attraverso la repressione e l’austerità, responsabile della produzione del quadro di fondo entro cui si svolgono le attuali mobilitazioni no-mask e no-vax, è un processo che non può essere invertito facendo appello al vuoto dell’autonomia individuale di fronte a una minaccia collettiva.

Antithesi / cognord | 23 settembre 2021

 

Note

 

[31] Un tipico esempio è rappresentato dal costante piagnisteo rispetto all’essere messi a tacere, essere ricoperti di  vergogna, esclusi, ecc. Il fatto che il nucleo delle loro opinioni sulla pandemia abbia determinato (almeno fino alla seconda ondata) le scelte politiche in paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Brasile e altrove, o che il libero accesso ai social network (a quanto pare i canali preferiti) non abbia solo fornito una piattaforma a tali opinioni “alternative”, ma le abbia gonfiate ad un livello impensabile, ovviamente non intacca questo delirio di “vittimizzazione”. Mentre esistono, naturalmente, mezzi di comunicazione il cui scopo è semplicemente quello di diffondere la propaganda del governo,  denunciare l’esclusione dai media ufficiali è, a dire il vero, un approccio alquanto strano se proveniente da elementi del movimento antagonista. La stampa e i media, come istituzioni, non sono né organi di informazione pubblica, né puramente meccanismi di secca propaganda. Principalmente, il loro ruolo come istituzioni è quello di produrre consenso. Nelle attuali condizioni di consolidata democrazia spettacolare, dove abbonda l’ideologia del “dibattito pubblico” e del libero scambio di idee, promuovere punti di vista “contrari” non è un semplice sistema per acchiappare click, ma parte integrante della produzione di consenso.

[32] Amiech, Matthieu (2021) “Ceci n’est pas une crise sanitaire: Pourquoi s’opposer à l’installation du pass sanitaire et à l’obligation vaccinale’, éditions La Lenteur, p. 23.

[33] Wu Ming (2021) “Conspiracy and Social Struggle”, in: Ill Will, 18 novembre, https://illwill.com/conspiracy-and-social-struggle

[34] La monotona assurdità di leggere post su Facebook di utenti che lamentano come la Sars-Cov-2 sia un pretesto per estorcere dati personali, è francamente troppo.

[35] Tocca ricordare quanto il confronto ripetitivo ed inflazionato con le atrocità del passato faciliti esattamente ciò che vorrebbe contrastare: relativizza la realtà storica e contribuisce alla normalizzazione dell’orrore.

[36] Scorrendo il testo di Amiech, per esempio, veniamo edotti su come non ci si possa fidare in alcun modo della “scienza” perché la “scienza” ha commesso errori terribili in passato. Il fatto che tali errori siano stati talvolta scoperti a seguito di un processo scientifico non è, ovviamente, di alcuna importanza per tali grandiose dichiarazioni.

[37] Amiech, Matthieu (2021) “Ceci n’est pas une crise sanitaire: Pourquoi s’opposer à l’installation du pass sanitaire et à l’obligation vaccinale”, éditions La Lenteur, p. 16.

[38] L’attuale “critica della ragione scientifica”, che alcuni negazionisti fanno propria, risulta così evidentemente contraddittoria che ci sorprende come non sia già stata completamente screditata. Un approccio mal digerito che vorrebbe la scienza medica (che è, tra l’altro, conoscenza accumulata) come puramente e unicamente determinata dalla relazione capitalista, non può reggere una disamina più minuziosa. Sulla base di una tale logica, dovremmo rifiutare tutto lo sviluppo scientifico che ha avuto luogo durante il periodo di dominio del modo di produzione capitalista. Insieme ai vaccini, quindi, dovremmo iniziare a ribellarci contro ogni medicina o trattamento esistente contro qualsiasi malattia.

[39] Prima della comparsa del Sars-CoV-2, i fondi per la ricerca e lo sviluppo in campo medico erano per lo più indirizzati verso quelle aree sulle quali si calcolavano i ritorni maggiori, come il perfezionamento di prodotti come gli antidepressivi e il Viagra. Al contrario, la ricerca sull’mRNA è stata emarginata e sottofinanziata, nonostante sembrasse rappresentare una promettente via contro malattie e virus come cancro o AIDS.

[40] La scarna argomentazione secondo la quale la gestione della pandemia sarebbe stata costruita allo scopo di facilitare i profitti di “Big Pharma”, nonostante l’efficacia dei vaccini, non riconosce come alcune multinazionali (esse stesse “Big Pharma”) non siano riuscite a produrre vaccini efficaci e quindi abbiano perso massicci investimenti dopo i loro test clinici. Per i 10 vaccini efficaci in circolazione, ce ne sono stati almeno altri 7 o 8 che non sono andati a buon fine. Quando si soggettivizza il capitale, tali contraddizioni scompaiono.

[41] Contrariamente all’illusione che i vaccini contemporanei siano sperimentali, la realtà è che non è mai esistito vaccino più testato nella storia dell’umanità. Con 7,5 miliardi di dosi già somministrate, ed un interesse legale nel prestare molta attenzione agli effetti avversi, questi vaccini sono più testati e più sicuri della maggior parte dei farmaci consumati quotidianamente. Inoltre, la nozione secondo cui i vaccini rimangono sperimentali perché messi in circolazione dopo una procedura di Autorizzazione d’Uso di Emergenza (EUA) (disattendendo quindi i normali protocolli) non sarebbe così problematica se gli stessi critici fossero disposti ad accettare una loro futura piena autorizzazione o, ancor meglio, se coloro che promuovono tali opinioni non proponessero allo stesso tempo farmaci alternativi contro il Covid (come il remdesivir, l’idrossiclorochina e il bamlanivimab monoclonale) anch’essi in circolazione attraverso un’ EUA.

[42] Lo stato greco, anche con l’ovvio pretesto di occuparsi dei non vaccinati, ha già esternalizzato parti importanti del sistema sanitario (come i servizi di pulizia) a società private. Il bilancio 2022 votato dal governo nel novembre 2021 prevede una riduzione della spesa sanitaria di 820 milioni, di cui 200 milioni come riduzione del sussidio regolare agli ospedali e 600 milioni come riduzione della spesa per affrontare la pandemia, in linea con la previsione, già smentita, di una sua fine. (https://www.news247.gr/oikonomia/proypologismos-oi-dapanes-ygeias-vazoyn-fotia-stin-kontra-kyvernisis-antipoliteysis.9431519.html, in greco). Va notato come il governo stia mettendo da parte l’importo precedentemente menzionato di 600 milioni di euro come fondo di emergenza per l’assunzione di personale temporaneo o la requisizione temporanea di cliniche private. È chiaro come vogliono evitare a tutti i costi un rafforzamento a lungo termine del sistema sanitario pubblico, in quanto in contraddizione con la strategia di parziale privatizzazione, e come stiano cercando di rispondere alla pandemia esclusivamente attraverso misure a breve termine. Le dichiarazioni del ministro di Stato, Akis Skertzos, “il governo non vuole creare un sistema sanitario di lusso che risulti superfluo dopo la fine della pandemia”, esprimono chiaramente questo orientamento (https://www.naftemporiki.gr/story/1796568/a-skertsos-den-uparxei-logos-na-dimiourgisoume-ena-poluteles-sustima-ugeias, in greco).

[43] “Ultimissima, l’ideologia del teppismo e del furto, se supera di fatto gli stilemi obsoleti della politica militante, opera sulla soggettività rivoluzionaria che i comportamenti “criminali” e genericamente illegali esprimono a livello delle scelte individuali, un recupero che ne scarica all’istante ogni tensione positiva. Non appena si appaghi di essere il trasgressore abituale di ogni norma, il “criminale” affoga il proprio progetto d’essere nel semplice e caricaturale non essere ossequiente alla normativa in quanto tale, che ne diviene perciò, e semplicemente, la norma in negativo: l’avere in luogo dell’essere. La coazione a ripetere è il tratto miseramente maniacale che degrada a routine, e a ripetizione nostalgica, la creatività effettivamente insurrezionale del colpo di mano.” Giorgio Cesarano, Gianni Collu (1973) “Apocalisse e rivoluzione”  Dedalo libri

[44] “Medicina e repressione”, Centro nazionale dei giovani medici, 13 rue Pascal, Parigi V, 1968, in: Vienét, René (1968) Arrabbiati e situazionisti nel movimento delle occupazioni: Parigi-Nanterre, maggio-giugno 1968. La Pietra.

 

 

 

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