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La realtà della negazione e la negazione della realtà – pt.1

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Questo testo è stato scritto e pubblicato in greco nel settembre 2021. Nasce come intervento polemico nel dibattito intorno alle questioni del virus Sars-CoV-2, delle misure e degli strumenti messe in campo per contrastarlo e dell’autoritarismo del governo greco. Nasce, soprattutto, dalla sorpresa (e tristezza) per il fatto che molti dei nostri compagni e amici all’interno dell’ambiente radicale abbiano abbracciato un approccio negazionista nei confronti della pandemia, mentre non pochi di loro sono gradualmente scivolati nel pensiero cospirazionista e in assurdità sconvolgenti. Quello che abbiamo cercato di fare con il testo, quindi, non è stato semplicemente criticare e denunciare tali irrazionalità, ma cercare di capire le diverse ragioni dietro tale regressione. Così, anche se il testo cerca di rispondere alla domanda su cosa la pandemia di Covid (e la sua gestione) ci dica sul capitalismo contemporaneo e sullo stato, pone anche la difficile domanda su cosa essa ci dica sulle soggettività della fase attuale e sulle condizioni materiali del pensiero e della lotta collettiva.

Poiché questo testo è stato scritto con uno sguardo rivolto al pubblico greco, alcuni passaggi con riferimenti diretti a questioni rilevanti solo per tale contesto sono stati rimossi dalla traduzione. Allo stesso tempo, è emerso chiaramente come molti dei punti sollevati possano essere facilmente allargati ad altri paesi. Rispetto all’abbraccio del negazionismo da parte di ambienti radicali, per esempio, i casi in Francia – e forse anche in Italia – sembrano muoversi in traiettorie simili. Le similitudini emerse hanno reso la traduzione del testo uno sforzo meritevole, e ringraziamo i nostri compagni in Francia, Spagna, Germania, Svizzera e Italia per aver espresso il proprio interesse. Tra l’altro, le somiglianze che vengono a galla tra i vari paesi indicano come approcciarsi alla situazione attuale con uno sguardo agli sviluppi storici specifici all’interno della Grecia (come le conseguenze della prolungata austerità e la sconfitta dei movimenti sociali emersi contro di essa), anche se significativo per molti aspetti, può risultare fuorviante se utilizzato per dare priorità ad alcune specificità della situazione greca. Gli effetti combinati della propagazione senza precedenti (su un piano esistenziale e materiale) di un virus contagioso, quasi simultaneamente a livello globale, della paura e dell’incertezza generate da questo evento, così come le diverse modalità attraverso le quali lo stato e il capitale hanno scelto di rispondervi, ci permettono di estendere le nostre osservazioni al di là della Grecia.

Poiché tradurre significa essenzialmente interpretare (e a volte riscrivere), la struttura è stata leggermente modificata per fornire al testo una maggiore fluidità. E sebbene esso sia stato pubblicato quasi due mesi fa, abbiamo scelto di non apporre troppe postille ed aggiornamenti, a parte alcuni commenti che indicano come alcune delle spaventose previsioni ipotizzate si siano purtroppo concretizzate. Abbiamo anche aggiunto alcune frasi o paragrafi chiarificatori per rendere il testo più comprensibile ad un pubblico non greco.

Antithesi / cognord

La traduzione del testo in italiano è a cura di Cattivi Pensieri. Per facilitarne la lettura abbiamo scelto di dividere la pubblicazione del testo in due puntate, qui la seconda parte. Buona lettura!

“Non riconoscevo ancora davanti a me stesso la complicità in cui incorre chi, di fronte all’indicibile che è accaduto collettivamente, parla dell’individuale in generale.”

– Adorno, Minima Moralia

La comparsa del virus SARS-CoV-2 non ha semplicemente portato ad un arresto dell’economia mondiale per diversi mesi, rivelando un senso di panico tra le fila dei dirigenti di questo mondo. Né si è limitata ad un insieme di contromisure contraddittorie, di volta in volta attuate o ignorate con uguale zelo. Tra le altre cose, e come ogni grande crisi, la pandemia ha portato alla luce forze e tendenze all’opera nella fase precedente, in maniera evidente o ancora sotto traccia, tanto a livello dei rapporti capitalistici di (ri)produzione, quanto nelle sfere più ristrette della vita sociale, come gli spazi politici radicali. Prendendo l’esempio della Grecia, la crisi generata dal Coronavirus non solo ha messo in luce la decisione dello stato di agire come meccanismo di smistamento piuttosto che di integrazione, nonché il livello di miseria del sistema sanitario dopo anni di tagli e austerità; ha anche portato in superficie le mutazioni occorse all’interno degli ambienti di estrema sinistra/radicali dopo un decennio di sconfitta e riflusso. Come abbiamo avuto modo di scoprire, ad essere minati durante il periodo di austerità non sono stati solo i salari, le pensioni e i servizi, ma il concetto stesso di collettivo. Le conseguenze di un tale sviluppo sono oggi ben visibili: di fronte ad un governo di estrema destra che consolida il suo percorso autoritario attraverso la distruzione irreversibile della natura1, gli abusi e gli omicidi di immigrati2e la gestione disastrosa del Coronavirus3, frazioni del movimento radicale hanno visto nella negazione della pandemia un campo d’azione e resistenza.

Il fatto eccezionale che una percentuale senza precedenti della popolazione mondiale fosse costretta nello stesso momento a confrontarsi con la crisi in corso, non ha contribuito che in minima parte a ridimensionare l’orizzonte limitato di molti radicali. Così, in una situazione in cui i governi di tutto il mondo, nel promuovere la “responsabilità individuale”, facevano del loro meglio per mantenere aperta l’economia e tentavano di distrarre l’attenzione dall’ovvio collasso dei sistemi sanitari pubblici, dopo decenni di “razionalizzazione” (cioè asfissia fiscale), molti radicali hanno reagito mettendo in discussione la nozione stessa di salute pubblica4. In una situazione di mala gestione criminale che ha condotto a centinaia di morti evitabili, molti radicali hanno pensato fosse preferibile mettere in discussione l’esistenza stessa della pandemia. Di fronte all’orrore continuo di persone in lotta per respirare, molti radicali continuano a negare i pericoli associati al virus.

Le malattie contagiose differiscono dalle altre malattie in modo sostanziale: sono per definizione, sociali. Presuppongono il contatto, la coesistenza, una comunità – per quanto alienata. Tuttavia, quello che la pandemia SARS-CoV-2 ci ha mostrato è come, nel periodo storico in cui ci troviamo, le relazioni sociali siano percepite come vuoto opprimente tra individui solidi, chiusi e inviolabili. Individualità autodeterminate, non negoziabili, non contagiose. A questo punto, fa poca differenza che questa difficile situazione venga interpretata come espressione maggioritaria di un carattere narcisista, o di un immaginario (neo)liberale che mistifica il carattere sociale delle relazioni capitaliste e dei soggetti che le riproducono.

La critica radicale punta a smascherare il vuoto reale, in questo caso costituito proprio da questa individualità. La critica radicale percepisce le relazioni sociali come relazioni, cioè come connessioni tra persone, indipendentemente dal fatto che queste non siano prodotte e riprodotte liberamente e consapevolmente. Questo non impedisce loro di essere relazioni. Né dà credito all’idea che il nucleo centrale della realtà sociale sia l’individuo.

Nessuno ha una relazione individuale con una malattia contagiosa. Ne consegue che nessuno può entrare in relazione con essa sulla base di decisioni puramente personali. Questo è ciò che ci permette di parlare di negazionisti, un termine utilizzato per descrivere tanto coloro che negano l’esistenza della pandemia o il pericolo che essa rappresenta, quanto coloro che rifiutano di riconoscere il carattere sociale della nostra esistenza all’interno della società capitalista. Il più delle volte, come mostreremo, queste due forme di negazione risultano interconnesse.

Non è un caso che, indipendentemente da come la crisi attuale venga tradotta politicamente, queste forme di negazione siano onnipresenti, e determinino il quadro fondamentale in cui si svolgono tutte le obiezioni contemporanee. Tuttavia, esse non vengono mai espresse con franchezza. Al contrario, la maggior parte dei negazionisti finge che la loro critica riguardi la gestione della pandemia. E mentre va da sé che questa gestione sia stata (e continui ad essere) catastrofica, rimanere in questo quadro risulta fuorviante. Criticare la gestione della pandemia negando la sua esistenza o il pericolo che comporta è esso stesso, a dir poco, un approccio catastrofico. Questo non è solo visibile nell’adozione acritica (e a volte inconscia) di cospirazioni reazionarie proto-fasciste; più importante forse, è come essa rifletta e promuova una comprensione estremamente distorta del capitale, dello stato e del concetto di esistenza collettiva. Questo, di per sé, non rappresenta certo una novità all’interno della sinistra e degli ambienti radicali. Ma questa è forse la prima volta che queste distorsioni generano tali fratture esistenziali all’interno delle sue file.

Per tutte queste ragioni, e prima di procedere con un’analisi delle ragioni più profonde di tale negazione, vale la pena dare un’occhiata più da vicino a ciò che è stata (e non è stata) esattamente questa gestione della pandemia SARS-CoV-2, soprattutto in relazione alla nuova fase rappresentata dalla campagna vaccinale.

(Mala)Gestione della pandemia

Nel bel mezzo della stagione turistica estiva 2021, e dopo aver sostanzialmente abbandonato molte delle misure di contenimento della pandemia (tracciamento, distanziamento sociale, quarantena) che, nel periodo precedente, erano state imposte con un fervore repressivo senza precedenti5, il governo greco ha seguito l’esempio di molti altri paesi, concentrando la sua attenzione sulle vaccinazioni. Ciò significava imporre una serie di nuove disposizioni da attuare gradualmente dall’inizio di settembre.

La più significativa è stata l’introduzione della vaccinazione obbligatoria per gli operatori sanitari, sia nel settore pubblico che in quello privato, con la sospensione (senza stipendio né copertura assicurativa) dei non-vaccinati. Negli altri settori (come la ristorazione, il turismo, l’educazione, lo spettacolo e il mondo accademico) per coloro senza copertura vaccinale è stato reso obbligatorio un test negativo una o due volte a settimana, il cui costo è stato trasferito a carico del soggetto stesso (invece di essere sovvenzionato dallo stato, come accadeva prima delle nuove disposizioni). Inoltre, i test negativi sono stati resi obbligatori anche per i viaggi sulla lunga distanza sui trasporti pubblici e per l’ingresso nei luoghi pubblici, ad eccezione di ristoranti, luoghi di svago e centri sportivi, dove solo vaccinati o i guariti dal Covid sono autorizzati ad entrare. Gli alunni non vaccinati devono sottoporsi a due autotest a settimana, disponibili gratuitamente. Allo stesso tempo, il governo ha permesso ai datori di lavoro di richiedere la prova delle vaccinazioni (o test negativi) ai loro dipendenti, la cui inadempienza comporta una multa con importi variabili a seconda della portata e del campo di attività dell’azienda. In questo modo, una parte importante dell’applicazione delle misure è stata essenzialmente trasferita al settore privato, ad indicare un ritiro indiretto dello Stato dalla cosiddetta “campagna vaccinale”6.

La propaganda di stato ufficiale utilizzata per giustificare queste nuove misure è stata, come al solito, piuttosto fuorviante. Ponendo l’accento sul calo, senza dubbio significativo, del tasso di vaccinazioni durante il periodo estivo7, senza tuttavia ammettere alcuna responsabilità per la sua ridicola gestione, è emerso chiaramente come il governo sperasse di attribuire il significativo aumento dei nuovi casi (così come il conseguente aumento dei ricoveri e dei decessi) esclusivamente ai non vaccinati (una categoria confusa, che raramente fa distinzione fra coloro che rifiutano consapevolmente la profilassi e quelli non idonei alla somministrazione). In questo modo, la decisione criminalmente stupida di abbandonare di fatto tutte le altre contromisure durante il periodo turistico è sparita dalla scena8. V’erano pochi dubbi che questa stessa “strategia” avrebbe caratterizzato anche la gestione della pandemia dopo il periodo turistico.

Basato sull’irresponsabile diffusione della percezione del vaccino come lasciapassare e sull’abolizione di tutte le restrizioni (in barba a tutte le più affidabili evidenze scientifiche), il principio guida del governo è stato quello di cercare di evitare, a tutti i costi, un nuovo lockdown generale. Di fronte al tasso di trasmissibilità più elevato della mutazione Delta, così come al fatto che le vaccinazioni proteggano significativamente dalla malattia grave o dalla morte ma non eliminino la contagiosità, è più che certo che l’inverno in arrivo sarà devastante9. La combinazione di una nuova mutazione, di un’alta percentuale di non vaccinati (la Grecia ha il tasso di vaccinazione più basso dell’Eurozona) e di un ulteriore indebolimento (attraverso, tra l’altro, le sospensioni del personale sanitario non vaccinato) di un sistema sanitario già sovraccarico nell’ultimo anno e mezzo, rende inevitabile prospettare uno scenario da incubo. Il fatto che il governo, trasferendo tutta la responsabilità ai non vaccinati, sembri convinto di poter eludere le critiche per questa catastrofe preannunciata, dimostra ancora una volta come la preoccupazione principale di questa cricca si limiti ad un mera questione di comunicazione e di limitazione del danno, senza alcuna strategia significativa o a lungo termine.

In risposta alle nuove disposizioni statali e alla continua gestione contraddittoria della pandemia, ha preso piede, con più forza rispetto alla fase precedente, un movimento di stampo negazionista. Utilizzando la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari come base di partenza, questo movimento risulta tutt’altro che omogeneo. Come altrove, spazia dall’estrema destra ai preti ortodossi, e dalla sinistra/anarchici agli stessi operatori sanitari. Ciò che collega affiliazioni politiche così divergenti non è, come alcuni amano far credere, il loro comune rifiuto delle politiche autoritarie del governo. È piuttosto la negazione della pandemia e/o del pericolo rappresentato dal virus, l’invocazione della libertà individuale contro le misure esistenti o disponibili, e la rappresentazione della pandemia come un pretesto per l’imposizione di una moderna distopia da parte delle élite (identificate alternativamente come Big Pharma, Big Tech, la classe politica in qualità di  “venditori cinici e senza vincoli morali”10, un nuovo ordine mondiale o il “globalismo”). Alla base di queste tendenze, troviamo un profondo fraintendimento tanto della relazione capitalista quanto del ruolo dello stato all’interno di essa.

Una riproduzione contraddittoria

Da una certa prospettiva, per comprendere appieno le cause più profonde della gestione della pandemia, appare necessario sottolineare come lo stato rappresenti la forma politica dei rapporti sociali di produzione capitalista. Dato che questi rapporti sono per definizione contraddittori, tali contraddizioni si manifestano anche a livello della politica statale. Nel contesto del dispiegarsi di una pandemia senza precedenti, per esempio, la necessità di riprodurre una forza lavoro sana e produttiva può entrare in conflitto con l’esigenza di una prosecuzione senza interruzioni dello sfruttamento capitalista. Detto diversamente, la necessità della riproduzione materiale di tutti gli elementi costituenti il rapporto capitalista può contraddire l’esigenza di incrementare la creazione di valore e la redditività. In base a questo criterio, la redditività diretta e a breve termine delle imprese capitaliste (anche di quelle dominanti) può entrare in conflitto con il mantenimento a lungo termine del rapporto che le sottende. Questa contraddizione è emersa rapidamente sia nei termini di un conflitto sulla linea politica da assumere sia nella natura contraddittoria delle politiche perseguite.

Lo stato è responsabile dell’attuazione di una serie di politiche per sostenere l’accumulazione capitalista, come l’aumento della produttività del lavoro, l’adattamento della forza lavoro ai bisogni del capitale, il perfezionamento della divisione del lavoro e la riduzione dei costi di riproduzione. Ma si preoccupa anche della propria legittimità, e di quella dei rapporti sociali di sfruttamento che sorregge. La coesistenza di queste tendenze è diventata, durante la pandemia, esplosiva. In ultima istanza, le politiche che hanno prevalso non hanno rappresentato altro che un temporaneo bilanciamento di queste contraddizioni, senza mai essere in grado di superarle.

Al momento, non c’è dubbio che ogni governo voglia evitare a tutti i costi nuove misure restrittive generali che danneggino ulteriormente un’attività economica già vacillante. Questa tendenza era già stata evidente durante il secondo lockdown greco, nel novembre 2020, quando, nel tentativo di creare il minor danno possibile al processo lavorativo e all’accumulazione, soprattutto in quei settori ritenuti vitali per l’economia greca (come il turismo), le misure erano risultate già meno restrittive che nel primo lockdown. Mirando invece alle attività non direttamente produttive della popolazione, la seconda serrata si era concentrata quasi esclusivamente sulle attività del tempo libero, reprimendo anche qualunque mobilitazione collettiva.

La contraddizione intrinseca tra il bisogno di isolamento sociale e quello di concentrazione del lavoro per il mantenimento della produzione e della distribuzione economica, ha determinato fin dall’inizio la forma organizzativa del lato (non clinico) della gestione pandemica11. Infatti, è ormai abbastanza ovvio come l’iniziale sospetto e indifferenza mostrata dai paesi occidentali verso l’allerta sull’arrivo di un nuovo virus contagioso possa essere spiegata con le drammatiche previsioni di crollo del PIL globale, di blocco delle catene di approvvigionamento, di sospensione del commercio e tutte le altre difficoltà inerenti l’interruzione della produzione di lavoro e valore. Un approccio simile può essere utile anche per spiegare l’adozione finale di mezze misure contraddittorie, la cui potenziale efficacia risultava minata fin dall’inizio: il mantenimento dell’apertura della maggior parte dei luoghi di lavoro con controlli essenzialmente inesistenti e l’indifferenza (pseudo-scientificamente giustificata)12 verso i trasporti pubblici come evidenti cluster di contagio (mentre venivano pesantemente sorvegliati gli spazi pubblici all’aperto), sono tutte prove chiare a supporto di questo.

Ciò che risulta altrettanto preoccupante, tuttavia, è come questa contraddizione piuttosto diretta tra diversi aspetti della relazione capitalista e lo stato sembri aver messo a dura prova le capacità concettuali di alcuni radicali, portando ad interpretazioni centrifughe di rifiuto sia delle (semi)misure del governo che della pandemia stessa. Dal loro punto di vista, il fatto che i governi usino la pandemia come scusa per intensificare la propria stretta autoritaria sulla società è indicativo del fatto che non esista alcuna pandemia13. In alternativa, ammettendo che questa esista, essa risulterebbe pericolosa solo per una ristretta e già vulnerabile percentuale della popolazione. Il più delle volte, questa categoria è correlata costantemente (ed erroneamente) all’età14. In base a questo approccio, non esisterebbe alcuna ragione discernibile per l’imposizione di una qualunque misura generale, se non l’autoritarismo. L’alta trasmissibilità, il rischio e la significativa mortalità del nuovo virus vengono così trasformati concettualmente in un problema semplice e gestibile, facilmente risolvibile con una “protezione” degli anziani vulnerabili (già strutturalmente messi da parte), ovvero con una loro rimozione dal nostro campo visivo. Qualsiasi altra misura, sostengono i negazionisti, avrebbe il solo scopo di estendere il controllo e la disciplina dello stato.

Nei primi giorni della pandemia, la combinazione di una mancanza di dati affidabili, di un’incredulità esitante rispetto alla distopia in corso, e di raccomandazioni elargite da parte di organizzazioni ed istituzioni già delegittimate, hanno giocato un ruolo cruciale nella creazione di tali narrazioni. Più critica, tuttavia, si è rivelata la loro adozione da parte di soggetti con una pretesa “autorità” scientifica. Già nel marzo 2020, per fare un chiaro esempio, in un frangente nel quale la maggior parte della popolazione non era ancora al corrente dell’esistenza del virus Sars-Cov-2 e della minaccia in arrivo, John Ioannidis pubblicò un articolo che metteva in guardia contro misure esagerate di contrasto alla pandemia, non efficaci e potenzialmente disastrose15. L’argomento centrale era quello apparentemente ovvio, che non esistessero abbastanza prove per giustificare misure drastiche come l’isolamento, le mascherine e il distanziamento sociale. In maniera un po’ sconcertante, questa mancanza di dati non impediva a Ioannidis di suggerire come nessuna misura significativa dovesse essere presa. Pur con la parvenza di solide argomentazioni scientifiche, le affermazioni di Ioannidis in realtà rappresentavano un rifiuto specifico (e politicamente discernibile) dei protocolli esistenti di gestione della pandemia. Appurato come le mutazioni dei virus influenzali avvengano più o meno ogni decennio, i protocolli di salute pubblica esistenti negli Stati Uniti (e, per estensione, in altri paesi) sono stati largamente strutturati su un approccio che privilegia misure drastiche nei primi giorni di contagio, piuttosto che permettere ai virus di diffondersi, spesso con tassi di crescita esponenziali, fino a renderne impossibile la gestione16.

Non serve particolare intuito per immaginare gli effetti economici dell’attuazione di un tale protocollo. Per questo motivo, obiezioni come quelle sollevate da Ioannidis non rappresentano solo semplici disaccordi tecnici o scientifici con i protocolli esistenti. Piuttosto, la riluttanza verso l’applicazione di tali misure viaggia in parallelo con la contraddizione centrale prima identificata, cioè quel compromesso fra attività economica e redditività diretta (colpita dalle chiusure) da un lato e la riproduzione allargata degli elementi chiave del rapporto di capitale dall’altro. Ioannidis, e altri come lui, hanno sposato una parte specifica di questa contraddizione.

Eppure, nonostante la graduale consapevolezza della necessità di un blocco delle attività economiche per prevenire l’ulteriore diffusione del virus e le sue disastrose conseguenze per la totalità dell’economia capitalista, argomenti come quelli di Ioannidis hanno da allora definito il quadro centrale del negazionismo: la rappresentazione persistente (e contraria ai dati reali) del SARS-CoV-2 come semplice influenza; la messa in discussione cospiratoria del suo tasso di mortalità; l’uso selettivo, male interpretato o addirittura falsificato dei dati statistici, volto a minimizzarne i rischi17; la promozione dell’idea che solo le persone anziane con un sistema immunitario compromesso siano in pericolo. Tutti questi argomenti, che da allora sono stati ripetuti all’infinito dai negazionisti di tutto il mondo, sono tutti presenti nell’articolo di Ioannidis del marzo 202018.

Nel panorama greco, tali approcci sono stati ulteriormente rafforzati dalle particolari circostanze della prima ondata della pandemia. All’epoca, la rapida imposizione di misure rigorose da parte del governo, quasi in preda al panico, il fatto che l’epidemia fosse scoppiata in un periodo non turistico dell’anno, con limitati viaggi internazionali, e la preoccupazione generalizzata della popolazione sulla tenuta di un sistema sanitario pubblico già decimato da un decennio di austerità (fatto che ha favorito una prudenza auto-imposta), hanno fatto sì che la Grecia abbia superato i primi mesi con un numero piuttosto limitato di casi, ricoveri o morti (rispetto all’Italia, per esempio). Questo successo (temporaneo) si è poi trasformato in un peculiare bias di conferma, generando la falsa impressione che la pericolosità del virus fosse gonfiata, e alimentando le argomentazioni dei negazionisti, che, comunque, continuano ad insistere sul fatto che il loro sia un rifiuto della gestione governativa.

In ogni caso, questi bassi tassi iniziali hanno portato ad un conseguente allentamento delle misure, facilitato dalla volontà del governo di riaprire durante la stagione turistica 2020, e che ha condotto direttamente alla seconda ondata di fine ottobre 2020. Quando fu chiaro che un atteggiamento così disinvolto non fosse solo sbagliato ma disastroso, era già troppo tardi; non solo per le migliaia di persone che si sono ammalate e le centinaia di persone che sono morte a causa di un virus ancora presentato come una semplice influenza, ma anche per tutti i negazionisti, che hanno continuato a interpretare la situazione sulla base dell’esperienza della prima ondata, innalzando saldamente i loro paraocchi ideologici e approcciandosi ai successivi sviluppi attraverso il filtro del rifiuto.

 

Le realtà divergenti della gestione pandemica

L’illusione comune che approcci come quello di Ioannidis o la ampiamente diffusa Dichiarazione di Great Barrington19 siano stati “messi a tacere” o ignorati, presuppone un livello sconcertante di negazione, visto e considerato come tali posizioni abbiano chiaramente condizionato il quadro d’azione di capi di stato come Trump, Bolsonaro e Johnson. Fino a un certo momento, almeno. La costante minimizzazione della necessità di misure anti-Covid e della realtà e pericolosità del Sars-Cov-2 alla fine è entrata in conflitto diretto con il tremendo aumento dei casi e il conseguente numero di ricoveri e di morti, costringendo anche questi governi ad adottare una qualche forma di chiusura e distanziamento sociale, e portando anche al blocco delle catene di approvvigionamento internazionale.

Il ragionamento è abbastanza semplice: la promozione della redditività diretta e la difesa più ampia del rapporto di capitale non sono mai stati obiettivi identici. L’inclinazione dell’equilibrio tra i due riflette, tra le altre cose, il livello e l’intensità delle lotte sociali e le questioni di legittimità. Ma l’abbandono assoluto e consapevole della possibilità di una riproduzione più ampia del rapporto capitalista per favorire una parte del capitale privato, o, peggio ancora, un qualche astratto proposito di disciplinamento, non è mai stato in discussione.

Allo stesso tempo, l’approccio inverso, promosso da molte componenti della sinistra, risulta altrettanto errato. Lo stato non costituisce un meccanismo neutrale che, alle giuste condizioni o con un diverso governo, possa essere messo al servizio dei lavoratori. La critica radicale non glorifica un polo statale ansioso di riprodurre complessivamente il rapporto capitalista, né si illude che un rafforzamento del meccanismo statale possa rappresentare una qualsivoglia vittoria per “il popolo”, concetto condensato e congruente come mai ce n’è stato uno. Quando lo Stato erige barriere all’accumulazione di capitale privato, non lo fa per difendere il proletariato dallo sfruttamento selvaggio. Lo fa perché il suo ruolo consiste anche nel garantire la sopravvivenza a lungo termine del rapporto capitalistico, e questo spesso si scontra con i piani a breve termine del (singolo) capitalista privato, indipendentemente dalla quota di surplus da esso prodotto. Lo stato interviene per alleviare la pressione sociale o, in sua assenza, si adopera di fronte ad una percepita incapacità di risolvere le rivalità intra-capitalistiche, per evitare che queste finiscano per minacciare il relativo equilibrio tra l’accumulazione del capitale privato ed una riproduzione più ampia. Non abolisce questa relazione.

Tuttavia, né le leggi che regolano il funzionamento del capitale privato (l’aumento perpetuo della redditività a tutti i costi), né il difficile equilibrio che la mediazione statale è chiamata a mantenere, sono preparati o adatti ad affrontare una grave crisi. Il capitale privato che non riesce ad ottenere benefici (nonostante l’assistenza comune garantita dal quadro giuridico e politico dello stato) sarà sacrificato sull’altare della competitività, mentre esistono molti esempi di come l’incapacità di uno stato a mantenere questo necessario equilibrio abbia minato le sue basi stesse, trasformandolo in uno stato fallito. In ogni caso, il tentativo di mantenere l’economia aperta, e di dare così la priorità ad un lato del rapporto di capitale, alla fine ha mostrato i suoi limiti, rendendo necessaria la protezione della sua riproduzione ad un livello più ampio.

Di fronte a questi sviluppi, ci si aspetterebbe che gli ostinati riduzionisti del Coronavirus a semplice influenza, una minaccia solo per gli anziani, si fermassero a pensare e riflettere. Se non altro, un tale approccio parrebbe già minato dal semplice fatto che i dirigenti dell’economia mondiale siano stati costretti (per quanto a malincuore e tardivamente) a bloccare l’attività economica per mesi e a sconvolgere i meccanismi di produzione, distribuzione e redditività, arrivando ad approvare anche l’innalzamento (fino a quel momento fatto impensabile) del debito pubblico come arma necessaria per affrontare le conseguenze di un tale disordine economico senza precedenti. Orientata al sostegno finanziario per i disoccupati o i licenziati, così come ai considerevoli investimenti (pubblici) per la ricerca sui vaccini, questa demolizione dell’ortodossia economica è avvenuta in un periodo in cui anche le economie più dinamiche (come Stati Uniti o Germania) risultavano già alle prese con una prolungata stagnazione economica e con bassi tassi di crescita. Il punto centrale del perché esattamente una chiusura così drammatica dell’economia mondiale fosse necessaria per far avanzare l’autoritarismo resta una questione ancora elusa dalle posizioni negazioniste.

Quello cui abbiamo assistito, invece, è stato un notevole incaponirsi, interpretabile solo come l’ennesima espressione di confusione che regna riguardo al funzionamento dell’economia capitalista e dello stato,  questa volta sposata ad un quasi incontrastato individualismo. Al posto della riflessione, si è cominciato a produrre tutta una serie di teorie complementari, che vanno dalle cospirazioni di estrema destra/antisemite intorno al 5G e a Bill Gates, fino alle narrazioni di sinistra o anarchiche su Big Pharma, Big Tech, nuovi totalitarismi, “apartheid sanitari” e sull’imperativo di “disciplinare” il proletariato20. Nonostante le differenze di contenuto ed enfasi, tutte queste teorie mantengono lo stesso punto di partenza: l’insistenza su come il virus non sia altro che un pretesto e, come tale, non rappresenti in sé una vera minaccia. Le differenze fra esse risiedono al massimo nel ragionamento su cosa rappresenti realmente questo “pretesto”.

L’emergere della pandemia di SARS-CoV-2 non ha costituito uno shock esogeno per una altrimenti stabile normalità. Essa rappresenta sia la logica conseguenza dell’economia capitalista e dei vari modi con cui “la produzione capitalistica si rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il “mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la produzione”21; sia un evento verificatosi in un periodo storico già caratterizzato dal difficile superamento di una prolungata crisi economica, esacerbata, in casi come la Grecia, dai già devastanti effetti di un decennio di austerità.

Soprattutto in luoghi come la Grecia, tali effetti emergono su più livelli. Da un lato, bisogna ricordare come la giustificazione ideologica per la dura fase di austerità, che nessuna rivolta proletaria è stata in grado di contenere, sia stata inquadrata in nome dell’interesse generale. La sconfitta finale dei movimenti sociali che tentarono di opporvisi sta ad indicare come la politica unilaterale di classe di questo “interesse generale” non ha prodotto un rafforzamento delle lotte proletarie contro il capitale e lo stato. L’impossibilità a mantenere una comunità di lotta contro le misure di austerità, dopo l’effettiva sconfitta delle mobilitazioni contro i memorandum nell’inverno del 2012, ha giocato un ruolo decisivo. Ciò a cui abbiamo assistito è stato invece il consolidamento di un ripiegamento su forme (preesistenti e socialmente filtrate) piccolo-borghesi di associazione e socializzazione fisica ristretta (la famiglia, le piccole cerchie di amici, il caffè locale) sulle quali, in contrasto con l’esplosione di esperienze collettive del periodo precedente, è più facile mantenere una forma di controllo sociale orizzontale, e dove l’emergere aggressivo dell’identità individuale, segregata ma glorificata, è quasi ineluttabile.

Lo sfondo sociale della pandemia

In questo contesto, le sconfitte accumulate e la perdita di prospettiva hanno minato significativamente la nozione di collettivo, sia come realtà sociale che come condizione necessaria per la resistenza alla macchina capitalista. Questo non vuol dire, naturalmente, che prima della crisi il concetto di esistenza e mobilitazione collettiva non fosse spesso tradotto e vissuto come sostegno a partiti/organizzazioni politiche (per la sinistra extraparlamentare e parlamentare), o riferito al concetto vago, temporalmente ricorrente ma costantemente fugace di  “insorti” (per il milieu anarchico/anti-autoritario). Ma sebbene la ritirata dei movimenti sociali sia servita a rafforzare tali separazioni, vale la pena notare come il sentimento generalizzato di riflusso seguito alle sconfitte abbia condotto ad ulteriori frammentazioni. Se questo è diventato ovvio a sinistra con l’elezione di Syriza nel 2015, con la sua serie infinita di spaccature e divisioni legate alla vicinanza al nuovo apparato statale, parti significative del milieu anarchico hanno utilizzato questo sviluppo come un’arma a conferma dell’isolamento antisociale, e della convinzione che non esista, di fatto, una posta in gioco collettiva, ma solo individui ribelli che si muovono in piccole forme organizzative o attraverso reti informali di amicizia.

C’è una certa inevitabilità storica a tali riflussi e ritorni al privato dopo una grande crisi ed una sconfitta cruciale delle rivendicazioni collettive. Ma i suoi effetti negativi possono anche essere in qualche modo mitigati: in primo luogo con un riconoscimento delle sue cause di fondo e della loro contingenza e, in secondo luogo, con un tentativo cosciente di resistere al radicamento di questa marginalizzazione come unica posizione possibile di contemplazione del sociale. In ogni caso, la resistenza a tali tendenze verso posizioni di debolezza ed isolamento può essere confermata (o smentita) solo all’interno del successivo ciclo di lotte. In questo senso, se il periodo della pandemia ci offre qualche indicazione, essa è di carattere negativo. Per una parte significativa del movimento antagonista, il graduale abbandono di una visione collettiva ha lasciato il posto o ad un consolidamento ed una difesa essenziale dell’autonomia (individuale) e dell’autodeterminazione, o all’attivismo segregato della setta politica. In questo ambiente, il sociale è stato visto come un intervento esogeno o, peggio ancora, un’invenzione ideologica in tandem con l’autoritarismo statale. Come reso ben chiaro nei propri focus ed interventi, gran parte del movimento antagonista non riconosce alcun reale problema di salute pubblica – fermo restando che esista, nei fatti, un qualche significato praticabile del concetto stesso di “salute pubblica”. Al contrario, essi identificano solo un tentativo di disciplinamento “biopolitico” e, a ruota, una serie di esagerazioni di stampo statale, o determinate dall’industria farmaceutica, volte a trasformare una questione riguardante solo una categoria ristretta di anziani e vulnerabili in un campo di prova per trasformazioni durature a livello sociale.

Nel dipingere coloro che prendono sul serio la pandemia come accaniti (o ingenui) sostenitori dell’autoritarismo statale strisciante22, tuttavia, i negazionisti hanno essenzialmente consentito allo Stato di presentarsi come esponente responsabile e razionale dell’”interesse generale” di fronte all’individualismo irrazionale. L’estensione infinita della libertà individuale come punto di opposizione ad un malessere collettivo come la pandemia, rafforza il quadro di una guerra di tutti contro tutti, permettendo allo stato di apparire come un mediatore (più) razionale; e questo in un periodo di crescente insoddisfazione e rabbia per gli scandalosi fallimenti dell’apparato statale e per la sua gestione della pandemia. Invece che un movimento sociale che lotti tanto contro una gestione orientata a minimizzare il blocco della produzione economica, quanto per un accesso universale e incondizionato alle opzioni protettive esistenti (dai vaccini all’astensione remunerata dal lavoro) e ad un’assistenza sanitaria più estesa, assistiamo allo sviluppo di tendenze che rivendicano, in nome della “libertà” e dell’autodeterminazione, il diritto di fingere che la Sars-CoV-2 non esista.

Un ammasso di individualità

Dietro l’uso di concetti come “autodeterminazione del corpo” e difesa del diritto di scelta individuale23, scorgiamo l’antropologia disperata di un’individualità soggiogata, perennemente in balia di forze oggettive, e di fatto incapace persino di costruire un’apparenza di esistenza collettiva al di là dell’illusoria aggregazione di individualità24. La libertà individuale non riesce a sfidare il quadro fondante della sua impotenza, estromettendo anche ogni obbligo, impegno, responsabilità e conseguenze legate all’esistenza collettiva. Se è vero che i legami sociali possono diventare un ostacolo, essi esprimono comunque delle connessioni tra le persone e sono quindi, potenzialmente, un campo di emancipazione.

C’è un’ulteriore ambiguità dialettica dietro al concetto stesso di libertà individuale. Per quanto sia arrivato a rappresentare, storicamente parlando, un rifugio sicuro contro l’autoritarismo clericale e feudale, ha rappresentato ugualmente un veicolo per l’incorporazione delle relazioni sociali capitalistiche di separazione, mediate non dalla religione o dal diritto divino dei re, ma attraverso le categorie astratte della legge e del mercato. Nella misura in cui il contenuto del negazionismo radicale contemporaneo non finge neppure l’implicazione di un impegno o di un riconoscimento delle sue conseguenze sociali, i suoi limiti e il suo orizzonte impoverito appaiano chiari, emergendo come schlechte Aufhebung dell’individualismo borghese. Se il liberalismo si sforza almeno di conciliare il vuoto dell’individuo isolato facendo appello alle sue universalizzazioni astratte (la legge e il mercato), nessun tentativo del genere viene fatto oggi.

All’interno di questa cornice, possiamo scorgere anche la forma mentale dell’individuo narcisistico moderno, con i suoi tentativi istintivi di mantenere la propria integrità contro le incessanti minacce di disintegrazione prodotte dalle pressioni del mondo contemporaneo, di cui egli è, ovviamente, un prodotto diretto. Proprio perché il narcisismo rappresenta la perdita del sé e non la sua autoaffermazione, esso è accompagnato da un’apatia selettiva verso la vita collettiva, che punta ad un’abolizione pratica dell’empatia. Allo stesso tempo, il contraddittorio senso di impotenza dell’individuo porta anche alla formazione di una difesa reattiva che genera sentimenti di superiorità sugli altri. In modo apparentemente paradossale, la discolpa e il predominio della libertà individuale come contrappesi all’autoritarismo statale portano all’eclissamento della soggettività individuale. Le persone possono funzionare come soggetti individuali (e non come astratte unità reificate) solo all’interno di processi e di relazioni collettive non mediate dal denaro, dal mercato e dallo stato, barlumi dei quali abbiamo fatto esperienza negli antagonismi di classe e nelle comunità di lotta sconfitte e dissolte nel decennio precedente.

Nonostante le affermazioni dei negazionisti e gli appelli alla “libertà”, se il concetto di realtà, ed il significato che esso ricerca, risultano in definitiva questioni personali e soggettive, senza alcun riferimento a qualcosa al di fuori dell’immediata esperienza personale, esse falliranno miseramente nl tentativo di offrire un rifugio o un supporto. La costituzione del sé e della libertà individuale come vettore di resistenza produce un sé tormentato da sentimenti di umiliazione e perdita di controllo, che cerca una “restaurazione della giustizia” con ogni mezzo, e si scaglia contro tutto ciò che sta al di fuori del suo esteso senso d’identità. In questo processo, essa produce anche un’immagine distorta dello stato, del mondo capitalista e di coloro che percepisce come alleati o nemici.

Legato al linguaggio dei diritti e alla richiesta di autonomia tipico di un’individualità intesa come proprietà privata inviolabile, il punto di vista dell’emancipazione sociale attraverso l’abolizione della società di classe e della proprietà capitalista viene abbandonato, precludendo così un attacco collettivo contro la combinazione di pericoli rappresentata da un virus infettivo e dal costo umano delle contraddizioni capitaliste.

Inoltre, coloro che inveiscono contro le restrizioni e le conseguenze negative dell’isolamento, rifiutando allo stesso tempo la realtà della pandemia, distolgono anche l’attenzione dal fatto che la libertà individuale, all’interno della società capitalista, è già qualcosa di formale e limitato. Nessuno sceglie liberamente e consapevolmente, dopo attenta riflessione, di andare a lavorare ogni mattina, né ha accesso diretto al modo in cui questo processo è organizzato. Le persone sono costrette a farlo per sopravvivere, e sono solo le loro lotte collettive a determinare i margini entro cui questa coercizione risulterà più o meno diretta e violenta. In questo contesto, il negazionismo non è (e non può essere) un campo di antagonismo contro la forma statale o i rapporti capitalistici in sé, ma un tentativo di proteggere una certa normalità contro un’oscura disarmonia (la pandemia globale). Per i negazionisti, la pandemia viene a rappresentare il brutto sogno di una società già incatenata, che lotta per il suo diritto al sonno.

Prima dell’emergere della pandemia di SARS-CoV-2, solo una manciata di anti-vaccinisti militanti con salde opinioni, già estremamente confuse, avrebbe considerato la vaccinazione obbligatoria degli operatori sanitari come espressione di un nuovo ordine autoritario emergente25. Se si togliesse di mezzo la SARS-CoV-2, infatti, risulterebbe subito evidente come solo degli sciocchi ottusi potrebbero sostenere per davvero che l’adozione di misure protettive contro le malattie infettive debba essere delegata al campo delle scelte personali, soprattutto considerando come tali “scelte”, anche tra i professionisti della salute, tendano a essere plasmate dalla cloaca dei social media, gonfiate da ideologie reazionarie e inquadrate attraverso il caleidoscopio dello sterile individualismo.

Sullo sfondo dell’istituzione immaginaria di una tale autonomia dell’io e di un approccio al corpo attraverso la terminologia dei diritti, riconosciamo, insieme a Dauvé, le tracce di “una rivoluzione borghese che si tenta di completare, di perfezionare indefinitamente invitando la democrazia a cessare di essere “formale”. La critica radicale non rifiuta questi tentativi: ne indica solo i limiti. Quando è impossibile affrontare le cause dell’oppressione, è inevitabile per gli oppressi lottare contro i suoi effetti. In questo caso, la rivendicazione del possesso del proprio corpo viene vissuta come una protezione contro la sua appropriazione […] Purtroppo questa salvaguardia si rivela un’illusione. La proprietà individuale non è una protezione contro l’espropriazione. […] La riappropriazione del sé non può che essere collettiva.”26

Una difesa radicale dei diritti individuali non è possibile se non riconosciuta come limite, tanto meno quando lavora a scapito della nostra esperienza collettiva. La costituzione estrema (e astratta) dell’individuo prodotta dall’immaginario liberale o, analogamente, l’incapacità di comprendere il carattere sociale di una malattia contagiosa, sono i presupposti perché una tale concettualizzazione possa prosperare.  

Tutti sanno che le percezioni dei falsi sé che ci connettono ad un’azienda, alla famiglia, ad una tradizione, alla nazionalità, alla nazione o alla società in generale, producono oppressioni in nome di un “noi” collettivo, che non fa che perpetuare il dominio esistente. Ma la risposta, come nota Dauvé, “non è l’aggiunta di nuovi ego, ma la creazione di sé non fittizi […] Tutto ciò che si conquista e tutto ciò che è positivo, ‘più umano’, è il risultato di azioni comuni […] Il nostro corpo è di quelli che ci amano, e ciò non in virtù di un “diritto” giuridicamente garantito, ma perché, carne ed emozione, noi viviamo e ci muoviamo grazie ad essi. E, nella misura in cui noi sappiamo e possiamo amare la specie umana, il nostro corpo è di quest’ultima”.

La preoccupazione e la cura per coloro che ci circondano, piuttosto che minare una qualunque nozione di esistenza collettiva, o persino il concetto stesso di salute pubblica, sono caratteristiche non negoziabile della critica radicale, proprio perchè concepire le relazioni sociali come ostacoli all’individuo è ciò  che annulla la vera ricchezza dell’esperienza umana. Questa preoccupazione per gli altri non è mai stata limitata al grado di vulnerabilità dell’altro, né è mai dipesa da una valutazione approfondita della ricerca scientifica. L’assenza o l’ambiguità di tali ricerche potrebbe mai essere una ragione valida per sospendere una tale cura o preoccupazione? Resta sconcertante e profondamente avvilente vedere persone (specialmente compagni a noi vicini) disposte a negoziare tale cura o tale preoccupazione in nome di una critica del “totalitarismo scientifico” o perché queste impongono limiti all’ego personale e alle libertà individuali. Non vediamo in queste posizioni una critica sistematica del discorso scientifico, né un’eroica disobbedienza all’autoritarismo dell’apparato statale o capitalista. Ciò che vediamo invece è un atteggiamento che riflette una lettura selettiva o confusa dei dati disponibili sulla pandemia e le sue più ampie implicazioni sociali, guidato, soprattutto, da un tentativo di razionalizzare (e rifiutare) il pesante fardello psicologico che il riconoscimento della distopia in cui viviamo richiede, nonchè la gamma di responsabilità che ci è stata improvvisamente imposta27.

 

Identità politica della negazione

L’egemonia dell’estrema destra all’interno del movimento negazionista a livello globale non è certo una coincidenza. Essa rappresenta uno spazio ideologico particolarmente suscettibile alle cospirazioni,  intese come razionalizzazione di un’estesa perdita di controllo, con una sottostante propensione alla disciplina autoritaria. Allo stesso tempo, le tendenze fasciste hanno una ricca storia di rapporti con la politica del Thanatos, diretta tanto contro coloro che “contaminano” il tessuto sociale quanto contro coloro che ne sono membri improduttivi. Il fatto che queste stesse forze politiche siano state in maggioranza a favore della riapertura totale dell’economia e del riavvio del processo produttivo a tutti i costi non è naturalmente un caso. Né lo è stata l’adozione entusiasta di narrazioni sull’immunità di gregge, dietro la quale si mal celava il loro darwinismo sociale ed un’eugenetica di ritorno.

L’ascesa di tali tendenze post-fasciste è, certamente, un fenomeno globale28. Nel caso della Grecia, tale tendenza è stata favorita dalle proteste nazionaliste di massa contro la Macedonia ed i pogrom razzisti contro i migranti nelle isole greche (e nelle regioni di confine), attività che hanno trasformato tali tendenze in un blocco sociale significativo, che alla fine si è riversato ed integrato nell’apparato statale29. In un contesto generale caratterizzato dalla separazione fra individui, una certa ricerca di universalizzazione è destinata a legarsi ad astrazioni come una rinforzata appartenenza religiosa, o ai contorni dell’identità nazionale. Come affermato da alcuni compagni di Salonicco, “le comunità basate su nazione e religione [acquistano significato] come spazi di rifugio che promettono stabilità, un senso di protezione e un recupero del controllo individuale/collettivo, [in un momento] in cui tutti gli altri potenti riferimenti simbolici o materiali (l’affetto patriarcale dello stato, le sue politiche di welfare, etc.) sembrano crollare”30. Nel tentativo di riconfigurare questa struttura patriarcale dello stato (ovvero fornire obbedienza in cambio di protezione), queste prospettive fasciste hanno trovato nella pandemia un terreno fertile per l’opposizione, sia attraverso il copia-incolla di cospirazioni ampiamente note (ebrei-massoni, 5G, Bill Gates, Soros) che attraverso l’introduzione di varianti greco-centriche (la fede ortodossa come scudo contro il virus, deliri su un DNA greco resistente al contagio, ecc). Per questa folla coordinata, “l’invocazione della patria e dell’ortodossia […] e le esortazioni ad una rivolta nazionale cercano di costruire ossessivamente un immaginario in grado di affrontare un nemico invisibile, le cui origini possono rimanere oscure, ma i cui obiettivi sembrano chiari: la frammentazione del territorio greco, l’impedimento dei suoi riti religiosi, lo strangolamento economico dei suoi settori più redditizi, la sottomissione e la disciplina di un popolo intrinsecamente impotente”.

Accanto alle tendenze fasciste, si può anche osservare un flusso costante dall’ambiente libertariano (la cui preoccupazione ossessiva è proprio la difesa incondizionata della proprietà privata e dell’individuo contro ogni nozione di interesse collettivo e/o di bene comune) e, per la prima volta in maniera così pubblica, una coalizione negazionista (spesso descritta con l’etichetta Querdenken) formata da fanatici di Q-Anon, mistici omeopati o antirazionalisti spiritualmente sensibili, che hanno trovato nelle mobilitazioni anti-lockdown, anti-mascherine e anti-vaccino un’opportunità per diffondere le proprie superstizioni new age, per vendere ricette di “guarigione” alternative e per promuovere chiacchiere senza senso sull’astrologia.

Qui la seconda parte.

 

Note

[1] L’intera Eubea settentrionale, un’enorme parte delle foreste a nord di Atene e molti altri boschi e insediamenti sono stati consumati dagli incendi sviluppatisi nell’estate del 2021 in tutta la Grecia. Gli incendi hanno bruciato più di 1.200.000 acri di foresta, a causa del degrado cronico del servizio forestale e l’assenza cronica di qualsiasi misura sostanziale di prevenzione e protezione. Durante gli incendi, che hanno creato per molti giorni un’atmosfera irrespirabile ad Atene e in molte altre zone, la risposta dello stato è stata praticamente inesistente, a parte una politica simil pubblicitaria di evacuazione di tutte le zone colpite, e l’invio di forze di polizia dove c’era bisogno di pompieri. Questa politica ha avuto risultati disastrosi, giacché la partecipazione della popolazione locale nella lotta contro gli incendi è un fattore insostituibile, come dimostrato molte volte in passato e durante la catastrofe di quest’anno. Dopo gli incendi, il governo ha approvato una legge che, invece di rafforzare il già decimato dipartimento forestale, ha istituito uno “sponsor per la riforestazione” che copre in toto il progetto di ripristino della foresta. A parte il fatto che il rimboschimento artificiale delle aree bruciate dovrebbe essere effettuato solo una volta fallito il rimboschimento naturale, sembra che l’istituzione di tale  sponsor torni utile alle grandi imprese capitaliste coinvolte in quei progetti che prevedono il disboscamento e la distruzione di aree forestali (estrazione dell’oro, produzione di energia, ecc.). Queste imprese sono obbligate per legge a realizzare a loro spese il rimboschimento di un’area di egual superficie, per ristabilire l’”equilibrio ambientale”. Pertanto, assumendo il ruolo di sponsor, esse riescono a soddisfare in anticipo i requisiti ambientali, e risultano così autorizzate a distruggere grandi aree senza ulteriori obblighi, dal momento che la legge non contiene alcuna disposizione che precluda tale compensazione. È indicativo come finora società come “Hellenic Petroleum”, “Independent Power Transmission Operator”, “Public Power Corporation” e “Coca Cola 3E” siano tra le prime ad essersi fatte avanti.

[2] Tutti le inchieste più recenti mostrano inequivocabilmente come la nuova strategia di “gestione” delle ondate migratorie consista principalmente in respingimenti illegali, che spesso sfociano nell’omicidio dei migranti.

[3] Per una sintesi, si veda Roufos, Pavlos (2021) “Governing the Ungovernable”, in: Brooklyn Rail (April), https://brooklynrail.org/2021/04/field-notes/Governing-the-Ungovernable

[4] Siamo ovviamente consapevoli che il concetto di salute pubblica non abbia alcun significato storico in una società non dominata dallo stato capitalista. Tuttavia, l’atto di negare il concetto di salute pubblica come mezzo per dimostrare l’opposizione allo stato è tanto infantile (e libertario in prospettiva) quanto rifiutare il salario a causa della propria critica al denaro. Da parte nostra, usiamo il concetto di salute pubblica non per indicare la gestione statale della salute in sé, ma per descrivere l’esistenza di un carattere sociale e collettivo della salute.

[5] Il fatto che lo Stato abbia imposto queste misure in modo autoritario ed irrazionale è espressione della sua incapacità a risolvere la natura contraddittoria di obiettivi che andrebbero invece conseguiti simultaneamente, così come è riflesso dei feticci ideativi di chi è al potere. Tuttavia, è veramente assurdo che ci siano ancora persone incapaci di comprendere come minimizzare il contatto sociale di fronte ad una malattia trasmissibile sia una misura ragionevole, applicabile tanto in un moderno stato capitalista, quanto in una società feudale o anche in una comunista, e non una qualche espressione di totalitarismo strisciante.

[6] Il punto è che il compito di tracciamento dei casi, di monitoraggio dell’efficacia dei vaccini e dei test non ricade più su un sistema in qualche modo centralizzato, ma viene trasferito alla discrezione delle aziende private, sotto minaccia di multe.

[7] Le 93.000 dosi giornaliere somministrate in giugno sono diventate 69.000 in luglio e solo 28.000 in agosto. All’inizio di ottobre, il tasso giornaliero di vaccinazioni era sceso a circa 5.600 dosi al giorno (Bouloutza, Penny (2021) “Vaccinazioni in caduta libera”, in: Kathimerini, 14 ottobre, https://www.kathimerini.gr/society/561538141/emvoliasmoi-se-eleytheri-ptosi/). Da novembre in poi, un confronto diretto è piuttosto inutile, poiché sono iniziate anche le somministrazioni delle dosi di richiamo.

[8] Chiunque abbia viaggiato in Grecia durante l’estate può testimoniare come non ci fossero seri controlli sulle vaccinazioni, sui test o sui certificati di guarigione, ma solo la loro pretesa. La conseguente esplosione di casi nelle mete turistiche non coglie quindi di sorpresa. Come spesso accade, una situazione assurda produce risposte risibili: in alcune isole, per esempio, le misure restrittive contro l’aumento delle infezioni consistevano nel vietare la musica nei bar e nei club (comunque aperti). E’ diventato comune per i lavoratori stagionali continuare a lavorare da infetti, dato che i capi non erano disposti a perdere profitto. Allo stesso modo, i turisti che risultavano positivi nelle isole si affrettavano a partire, data l’assenza di infrastrutture o rifornimenti adeguati a consentire la quarantena (presumibilmente) obbligatoria di dieci giorni.

[9] Questo testo è stato pubblicato alla fine di settembre 2021. Il tasso di infezione all’epoca era di circa 1.500 nuovi casi al giorno. In questo momento (inizio dicembre 2021), il tasso di infezione è di oltre 7.000 casi al giorno, i ricoveri sono aumentati in modo massiccio, le unità di terapia intensiva sono completamente occupate e il numero medio di morti giornaliere ha raggiunto i 90 casi circa.

[10] Amiech, Matthieu (2021) “Ceci n’est pas une crise sanitaire: Pourquoi s’opposer à l’installation du pass sanitaire et à l’obligation vaccinale”, éditions La Lenteur, p. 27.

[11] Il lato clinico ha riguardato, da un lato, l’assurdo sforzo di coprire i bisogni del sistema sanitario senza prevedere investimenti strutturali sostanziali e a lungo termine e, dall’altro, l’iniezione massiccia di fondi pubblici destinati alla ricerca sui vaccini.

[12] In una dimostrazione di sprezzante indifferenza o di spaventosa idiozia, il primo ministro greco Mitsotakis si è recato in Parlamento per placare le preoccupazioni riguardo ai mezzi di trasporto pubblico come cluster d’infezione, citando una ricerca condotta in Francia che riporta come “solo l’1,2% dei clusters sia legato ai mezzi di trasporto di massa”. Se il primo ministro o i suoi consiglieri fossero andati oltre il titolo della ricerca, avrebbero probabilmente notato come essa si riferisse a “aeroporti, navi e treni”, non a bus pubblici, tram o metropolitane. La ricerca è stata pubblicata sul Point Epidemiologique Hebdomadaire il 1° ottobre 2020, https://www.santepubliquefrance.fr/content/download/285453/2749950.

[13] Come hanno notato Rene Riesel e Jaime Semprun in un testo del 2008 sulla crisi ecologica e la sua gestione: “assistiamo al caso di curiosi ‘rivoluzionari’ che sostengono come la crisi [ecologica], sulla quale siamo ormai inondati di informazioni, non sia in definitiva che uno spettacolo, un’esca con la quale il dominio cerca di giustificare il suo stato di emergenza, il suo consolidamento autoritario […] il sillogismo si sviluppa come segue: dato che l’informazione mediatica è ovviamente una forma di propaganda a sostegno dell’organizzazione sociale esistente e che tale informazione concede ora  grande attenzione ai vari aspetti terrificanti della “crisi [ecologica]”, ne risulta che questa crisi non sia altro che una messinscena inventata per diffondere i nuovi slogan di sottomissione. Altri negazionisti, come si ricorderà, hanno applicato la stessa logica allo sterminio degli ebrei europei: dato che l’ideologia democratica del capitalismo era evidentemente solo un falso travestimento del dominio di classe e siccome questa ideologia, nella sua propaganda, ha fatto ampio uso degli orrori nazisti negli anni del dopoguerra, ne consegue che i campi di sterminio e le camere a gas non possano che essere invenzioni e messinscena.” Si veda: Semprun, Jaime e Riesel, René (2020) Catastrofismo. Amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile. Ortica Editrice

[14] Questo malinteso nasce, come molti altri, da un nocciolo distorto di verità. Poiché il sistema immunitario gioca un ruolo nel combattere i virus e i loro effetti, coloro che hanno un sistema immunitario compromesso (come gli anziani) sono per definizione più vulnerabili. Ma la vulnerabilità non è una categoria che si applica specificamente o esclusivamente agli anziani. Come suggerisce Dauvé, “il Covid-19, come ogni grave malattia, è probabile che uccida persone indebolite dall’età, da una comorbidità e/o da uno stile di vita debilitante: cattiva alimentazione, inquinamento atmosferico (si stima che questo uccida tra 7 e 9 milioni di persone in tutto il mondo), inquinamento chimico, abitudini sedentarie, isolamento, anziani senza lavoro e quindi esclusi dalla società […] L’insieme dei vari fattori non misurabili creano un eccesso di mortalità non quantificabile, che assume una dimensione di classe: disoccupazione, abitazioni insalubri, cibo spazzatura (l’obesità è più comune tra i poveri).” La vulnerabilità, in altre parole, fa parte della condizione proletaria contemporanea. Inoltre, le morti da Covid non sono, e non sono mai state, l’unica conseguenza. Il Covid-19 colpisce una pletora di organi e funzioni corporee, mentre le recenti ricerche sul Long Covid (soprattutto nelle fasce di età più giovani) risultano sempre più preoccupanti (vedi, ad esempio, l’intervista ad Akilo Iwasaki, “What’s causing long COVID?”, in: The Naked Scientists, (16 agosto 2021) https://www.thenakedscientists.com/articles/interviews/whats-causing-long-covid).

[15] Ioannidis, John P.A. (2020) “A fiasco in the making? As the coronavirus pandemic takes hold, we are making decisions without reliable data”, in: STATNews.com, 17 marzo, https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/.

[16] Quando lo scoppio di un’epidemia di influenza suina in Messico nel 2009 sollevò la questione dell’attuazione di questo preciso protocollo, l’amministrazione del neoeletto Obama, alle prese all’epoca con la crisi finanziaria globale, decise di non procedere. Il fatto che questo focolaio non si fosse poi trasformato in una pandemia confermò a posteriori questa scelta e rafforzò l’idea (determinante nella posizione di Ioannidis) che aggirare il protocollo rappresentasse la scelta più saggia. Seguire questo approccio ha determinato il fatto che, quando la Sars-Cov-2 è stata ufficialmente riconosciuta come pandemia nei paesi occidentali, fosse ormai troppo tardi.

[17] Essere critici nei confronti dei dati ufficiali potrebbe sembrare un atteggiamento ragionevole, ma non coincide con l’avere un atteggiamento critico verso il mondo che li produce. Se non c’è una chiara comprensione delle potenziali ragioni per cui i dati possono essere ingannevoli, si può facilmente ricadere (come accaduto a molti) nella diffusione di ulteriore confusione e pensiero cospirazionista. Nel caso dei negazionisti, per esempio, è più che evidente che il loro uso selettivo dei dati sia orientato a sminuire il numero dei casi o dei morti, proprio perché lo scopo di fondo è quello di far vacillare la narrazione sulla pericolosità del virus. Questo approccio ignora la possibilità che sia più veritiero il contrario, ovvero che le stesse autorità ufficiali pubblichino cifre che sottostimano il numero reale dei casi e dei decessi, non a causa di una cospirazione, ma semplicemente a causa della mancanza di test e della difficoltà di mappare i decessi da Covid al di fuori degli ospedali.

[18] Nonostante la smentita sistematica di molteplici errori, interpretazioni errate o addirittura travisamento dei dati da parte di Ioannidis, nonchè le critiche ricevute dai suoi colleghi, egli non ha ammesso un solo errore. Nascondendosi dietro ad un linguaggio accademico formale e spesso ambiguo, respinge ogni critica come frutto di un’incomprensione. Certo, questo non gli ha impedito di avvicinarsi alla Casa Bianca con un gruppo di consiglieri nell’aprile 2020 e cercare di convincere Trump a non adottare misure di lockdown, consiglio che il presidente americano ha accolto (con la prevedibile tragedia che ne è conseguita), influenzando altri leader come Bolsonaro e Johnson. Ultimamente, Ioannidis si è anche espresso contro la vaccinazione dei giovani, sostenendo come coloro che sono vaccinati non siano così attenti e quindi sarebbero più contagiosi (cfr. Ioannidis, John P.A. (2021) ‘COVID-19 Vaccination in Children and University Students’, in: European Journal of Clinical Investigation, Vol. 51, Issue 11. Curiosamente, il fatto che i non vaccinati siano ancora più contagiosi sembra non preoccuparlo. L’ambivalenza di molte delle scoperte di Ioannidis e il modo in cui viene utilizzato da vari negazionisti dell’HIV/AIDS e dai negazionisti climatici è stato già sottolineato nel 2007. Cfr. ‘The cranks pile on John Ioanidis’ work on the reliability of science’, in: Respectful Insolence, 24 settembre 2007, https://respectfulinsolence.com/2007/09/24/the-cranks-pile-on-john-ioannidis-work-o/.

[19] La Dichiarazione di Great Barrington (GBD) consiste essenzialmente in una petizione anti-lockdown firmata da “migliaia di scienziati”, che promuove la teoria della “immunità di gregge” e normalizza l’idea che concentrarsi su “misure a protezione dei vulnerabili” sia l’unico approccio accettabile. Il costo umano di questa strategia del laissez-faire rispetto a morti, ricoveri e patologie di lunga durata non rientra, chiaramente, nelle loro preoccupazioni “scientifiche”. Facendo appello all'”autorità degli scienziati” ed utilizzando il tropo comunicativo della “minoranza scettica” e “ingigantita” che esagera sproporzionatamente le opinioni contrarie, l’essenza della petizione non sta nella (pseudo) competenza scientifica dei firmatari, ma nella loro “persecuzione” da parte del mainstream. In questo senso, la GBD segue la linea di petizioni simili contro la teoria darwiniana, il negazionismo dell’HIV/AIDS, le teorie del complotto sull’11 settembre e, infine, il negazionismo climatico. Per una critica, si veda Gorski, David (2020) “The Great Barrington Declaration: COVID-19 deniers follow the path laid down by creationists, HIV/AIDS denialists, and clime science deniers”, in: Science-Based Medicine, 12 ottobre, https://sciencebasedmedicine.org/great-barrington-declaration/.

[20] Disciplinare i proletari non è, né mai è stato, un fine in sé. Si svolge nel contesto della riproduzione della classe operaia e tende a perdere il suo significato quando i proletari si ammalano e muoiono in massa. Stupefatti da alcune letture mal digerite di Foucault, più di qualche radicale è arrivato ad intendere la disciplina come autonoma dalla creazione di valore, vedendola come un fine senza nessun altro obiettivo o scopo particolare oltre a sè stessa. Per dirla in altre parole: un proletariato malato in fila fuori da un luogo di lavoro chiuso non è un modello per l’accumulazione capitalista, per quanto “disciplinato” possa essere. Inoltre, l’approccio che vede l’attuazione di misure così drastiche, ad esempio la chiusura dell’economia globale, come strumento per “disciplinare” i proletari, dovrebbe dimostrare, in modo concreto, la precedente esistenza di una classe operaia indisciplinata a livello mondiale. Un’argomentazione simile potrebbe valere anche per il tropo, costantemente evocato, di una deliberata diffusione di “panico e paura ossessiva” nella società,  al fine di instaurare un “governo attraverso la paura”. (Amiech, Matthieu (2021) “Ceci n’est pas une crise sanitaire: Pourquoi s’opposer à l’installation du pass sanitaire et à l’obligation vaccinale”, éditions La Lenteur) Non riusciamo a cogliere  come esattamente le relazioni capitaliste traggano vantaggio dalla paura diffusa di stare chiusi nella stessa stanza con altre persone.

[21] Chuang (2020) “Social Contagion. Microbiological Class War in China” https://chuangcn.org/2020/02/socialcontagion/. Traduzione italiana: https://pungolorosso.wordpress.com/2020/03/12/contagio-sociale-guerra-di-classe-micro-biologica-in-cina/. Vale la pena menzionare qui l’ossessione sull’origine del virus Sars-CoV-2 come prodotto in qualche laboratorio segreto. Le mutazioni sono parte integrante dello sviluppo naturale in quanto virus. Che queste caschino in un periodo storicamente contingente, che determinerà come avverrà la loro gestione (o non gestione), non significa che siano deliberatamente create in laboratori segreti (ed erroneamente o volontariamente rilasciate nell’ambiente). Come le trattazioni più serie sull’argomento hanno dimostrato (ad esempio i lavori di Mike Davis, Chuang, Andreas Malm e Rob Wallace), il passaggio di agenti patogeni attraverso il confine fra animale e umano (noto come spill over zoonotico) a causa della deforestazione, cioè della riduzione della differenza spaziale tra ambienti tropicali e popolazioni umane, è fenomeno tutt’altro che nuovo, e corrisponde direttamente allo sviluppo della produzione, della circolazione e dell’asservimento capitalista. Per più di un decennio, la letteratura scientifica ha costantemente messo in guardia su come “le malattie infettive stessero emergendo a livello globale ad un ritmo senza precedenti”, due terzi delle quali attraverso processi di zoonosi.

[22] “Una parte della sinistra (compresi gli ambienti ‘anticapitalisti’) è diventata per lo più sostenitrice attiva dei tecnocrati al potere” (Amiech, Matthieu (2021) ‘Ceci n’est pas une crise sanitaire: Pourquoi s’opposer à l’installation du pass sanitaire et à l’obligation vaccinale’, éditions La Lenteur, p. 16).

[23] È utile ricordare come nel contesto attuale, il contenuto proprio di questa “scelta” risieda nel diritto di non prendere le misure necessarie per limitare il contagio o nel decidere personalmente quali rispettare. La metodologia attraverso la quale tali decisioni personali vengono prese non viene mai messa in discussione.

[24] La rappresentazione del “movimento negazionista” come reazione complessivamente sana, a cui l’estrema destra e gli ideologi religiosi si attaccherebbero parassitariamente, è un segno di questa confusione.

[25] In Grecia, come altrove nell’UE, gli operatori sanitari erano già sottoposti all’obbligo di vaccinazione (o di comprovata immunità) contro malattie contagiose come morbillo, parotite, rosolia, epatite A e B, varicella (per coloro che si impegnano con pazienti ad alto rischio), alcuni tipi di infezioni meningococciche coniugate (per i microbiologi) o tetano, difterite e pertosse. Questo requisito obbligatorio è stato, per molto tempo, parte degli impegni e delle linee guida dell’UE in relazione alla protezione dei lavoratori e dei pazienti dall’esposizione a elementi biologici. Per quanto ne sappiamo, nessuna di queste disposizioni e obblighi è mai stata descritta come “apartheid sanitario”.

[26] Dauvé, Gilles (2010) “Pour un monde sans morale” [1983], Troploin, https://www.troploin.fr/node/37>;. Trad. italiana: La banquise (2013)“Per un mondo senza morale” Edizioni Anarchismo

[27] Sarebbe sbagliato non riconoscere come l’appoggio quasi fanatico a tutte le misure statali e alle loro estensioni medicali derivi ugualmente da una simile posizione di paura. Ma la questione non è mai stata quella di criticare la “paura”. Come suggerisce succintamente Théorie Communiste, “bisogna avere un certo rapporto con l’esistenza per sostenere che la paura rappresenti un impedimento, come se fosse una scelta”. Théorie Communiste (2021) “Conspiricism in General and the Pandemic in Particular”, in Cured Quail, https://curedquailjournal.wordpress.com/2021/02/14/conspiricism-in-general-and-the-pandemic-in-particular/>;.

[28] Tamás, G.M. (2001) “What is Post-fascism?”, in: Open Democracy, (13 settembre), https://www.opendemocracy.net/en/article_306jsp/

[29] Il governo di Nea Dimokratia ha assegnato incarichi ministeriali a tre noti politici di estrema destra, mentre molti dei suoi deputati rigurgitano costantemente argomenti dell’alt-right.

 

[30] “Ci stanno nascondendo qualcosa”, in: Tyflopontikas, luglio 2021, in greco https://yfanet.espivblogs.net/.

 

 

 

 

 

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