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Il tuo ordine online accumula ritardo perché H&M attacca operaie e operai

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Il 5 aprile scorso si è svolto uno sciopero, indetto dal SiCobas, in tutti i magazzini di XPO. Nel polo logistico di Stradella, in provincia di Pavia, la lotta è proseguita oltre quella data, a oltranza.

In questi otto giorni si sono alternati scioperi improvvisi ad alcune fermate totali dell’impianto, blocchi dell’intero polo logistico a blocchi a singhiozzo, condotti quasi esclusivamente con le forze interne al magazzino. Risultato: benché H&M non sia completamente paralizzata, i tempi di consegna degli ordini online sono passati da due a nove giorni, mentre centinaia di acquirenti si lamentano con H&M sulle pagine social. Un bel danno d’immagine e di incassi, che può proseguire attraverso tutte le forme di lotta e boicottaggio che lo sviluppo della situazione richiederanno. Le operaie e gli operai di Stradella stanno dimostrando come anche nel web 2.0 si può far male ad un padrone sfruttatore non più identificabile in una persona fisica ma in un brand social.

Il magazzino XPO di Stradella opera per conto del marchio della moda low cost H&M, gestendo gli ordini della piattaforma di e-commerce online. Si tratta, come ormai noto, di un settore in forte espansione, con lo spostamento di quote consistenti di vendite da negozi e centri commerciali agli store virtuali. Questa tendenza ha fatto sì che i colossi dello shopping online, come Amazon e Zalando, aprissero i loro magazzini nella zona tra Pavia e Piacenza. Per H&M è inoltre in corso il raddoppio del magazzino, in seguito alla decisione di chiudere la sede in Polonia.

Se la redditività dei negozi tradizionali diminuisce e i consumi si dirottano sui più convenienti acquisti online, il prezzo della vorticosa crescita dell’e-commerce viene scaricato sulle operaie e operai, costretti a sobbarcarsi una gran mole di lavoro per far lievitare i profitti dei padroni, ricevendo però in cambio stipendi insufficienti.

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Nell’agosto 2016 le facchine e i facchini del magazzino XPO/H&M si ribellarono alle durissime condizioni lavorative, con giornate da 12 ore al giorno, assenza di riposi per 30 giorni e orari comunicati via SMS da un giorno all’altro, e ottennero, finalmente, miglioramenti materiali a livello di organizzazione del lavoro e la stabilizzazione di molti contratti a tempo determinato. Se non fosse che i sindacati confederali, apparsi dopo le vittorie del SiCobas e assolutamente minoritari nel magazzino, hanno sottoscritto alcuni mesi fa un accordo, fortemente peggiorativo rispetto alle condizioni strappate con il precedente ciclo di lotte, e lo hanno imposto sulla testa di operaie e operai attraverso assemblee farsa. La vertenza di questi giorni va nel senso di recuperare le conquiste svendute dalla CGIL e di rilanciare, con l’obiettivo di ottenere salario, malattia, infortuni, ferie e permessi pieni. Il tentativo padronale, di sponda con la CGIL, è quello di eludere la richiesta di piena applicazione del contratto proponendo welfare aziendale (asilo e navette), che all’azienda non costerebbe pressoché nulla, grazie agli incentivi governativi.

In questo contesto, la CGIL cerca di svolgere il ruolo di garante della realizzazione dei profitti del padrone, svendendo gli operai e giustificando l’accettazione di condizioni di lavoro insostenibili con la promessa della creazione di nuovi 400 posti di lavoro da parte di H&M, sbandierata sui giornali locali da mesi, benché verosimilmente i posti di lavoro non saranno neanche saranno la metà. La messa a valore del territorio oltrepadano, oltre che per il suo posizionamento geografico e per la sua rete di infrastrutture, secondo i confederali venduti può passare sui corpi dei lavoratori attraverso la messa a disposizione di una forza lavoro acquiescente. Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, la CGIL, con un pugno di iscritti, ha cercato di infangare la lotta denunciando un’inesistente aggressione ad una sua delegata per poter permettere l’entrata in scena del suo partner istituzionale, ossia quel prefetto di Pavia che non ha esitato a schierare numerosi reparti di celere e a minacciare il loro impiego, sulla falsariga della recente vertenza di San Cipriano Po, quando i facchini sono stati violentemente manganellati dalla polizia.

I desideri di padroni, prefetto e sindacati confederali si scontrano, tuttavia, con l’ostinazione delle operaie e degli operai in lotta, ben consapevoli del fatto che la retorica del “c’è la crisi e bisogna accontentarsi” fatto dalla CGIL nasconde solo la sete di profitti dei colossi dell’e-commerce che, in un modo o nell’altro, torna comodo al ceto politico e sindacale di marchio PD, che può fregiarsi della creazione di posti di lavoro sulla pelle di chi lavora adesso e di chi lavorerà poi a queste condizioni.

La rappresaglia padronale non si è fatta attendere: oltre al mancato rinnovo di tre lavoratori a tempo determinato è arrivata la rimodulazione dei turni di lavoro, estesi, al fine di recuperare le centinaia di migliaia di pezzi di arretrati, alle ore notturne e alle domeniche.

Nell’era dei profitti 4.0 le operaie e gli operai di Stradella ci stanno dimostrando che il picchetto è ancora una forma di lotta valida e imprescindibile per far male al padrone, sia per le ricadute pratiche che per le dinamiche di condivisione, cooperazione, socialità e solidarietà che vi si creano, elementi fondamentali per l’avanzamento di una lotta capace di colpire anche in quella sfera virtuale e social così lontana, apparentemente, dai cancelli dell’Akno Park.

 

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