Indesit/Teverola tra ambivalenze e possibilità di lotta.
Circa un mese fa l’Indesit Company ha annunciato un piano di delocalizzazione che porterà al dimezzamento del personale impiegato nello stabilimento di Teverola, in Provincia di Caserta, dove circa 540 operai rischiano di ritrovarsi senza lavoro. Questo primo mese di mobilitazione a bassa intensità, ha difatti portato a diversi scioperi, cortei selvaggi e picchetti, nella grande zona industriale di Teverola, che ospita la logistica di diversi grandi marchi, dall’alimentare agli elettrodomestici, risultando una delle più grandi in Campania.
Questa grande potenzialità di lotta e anche la possibilità di poter allargare le mobilitazioni alle altre aziende in crisi della zona industriale, a cominciare dalla TNT Express, con i picchetti dei giorni scorsi, ha subito palesato l’ormai consolidato lavoro al ribasso dei sindacati confederali, che hanno cercato di spegnere la rabbia con cortei istituzionali (come se le istituzioni fossero esenti da responsabilità), e con le solite pratiche di sfiancamento delle lotte. Una composizione quasi tutta giovanile e completamente autoctona, per nulla abituata a pratiche di contrapposizione e lotta per i propri diritti, né in possesso di saperi adeguati a gestire processi di rivendicazione: è questo uno dei primi limiti che balza agli occhi frequentando i picchetti alla Indesit. A questo sommiamo metodi di lotta arretrati e finalizzati ad una cogestione dello sfruttamento in fabbrica, incuranti della dignità dei lavoratori (che la triplice dice di rappresentare) e del loro futuro: lotte per ammortizzatori sociali (casse integrazioni e mobilità), lotte per essere partecipi di ristrutturazioni e via dicendo; appare chiaro che non è per nulla semplice sbrigliare questa matassa di ambivalenze e di difficoltà e gettare le basi per una battaglia chiara, forte e determinata.
D’altronde, sono gli stessi limiti e le stesse ambivalenze a cui da anni assistiamo nella lotta dei cassintegrati Fiat, dove la Fiom, ancora una volta, è in piazza con inutili cortei per ‘chiedere’ democrazia all’interno degli stabilimenti. Le solite rivendicazioni apparentemente ingenue che, dall’avvento di Marchionne e dell’omonimo modello, vengono portate avanti senza successo e che non fanno altro che rafforzare la controparte, sempre più legittimata a portare avanti senza ostacoli i propri propositi. Continuare a chiedere tavoli, incontri con istituzioni e padroni ha dimostrato di essere una strategia perdente, fatta solo di piagnistei e richieste al ribasso come quella di farsi sfruttare in cambio di un misero salario. Si continua a richiamare il concetto di democrazia sui posti di lavoro quando la stessa Cgil, e con essa la Fiom, assieme ai sui cuginetti, hanno svuotato questo concetto rendendolo congeniale ai padroni e alla governance dello sfruttamento di fabbrica.
Insomma, tutto quel vecchio bagaglio di mediazioni politiche e sociali che regolavano i rapporti capitale/lavoro nel vecchio mondo e che oggi più che mai sono inadeguati per poter tracciare nuovi campi di scontro e, soprattutto, poter costruire ed attivare un vero deterrente per la controparte, sapendo inquadrare ed inserire queste lotte in un più ampio campo di battaglia tra capitalisti e proletari.
Uno spiraglio, anche per queste lotte, di sicuro è stato dato ed indicato da quello che sta accadendo in Emilia con le lotte della logistica, dove forme inedite di determinazione, di conflitto, di uso operaio del sindacato, stanno determinando una lotta che a medio e lungo raggio sta dimostrando come siano possibili percorsi che sappiano darsi, senza mediazioni, come elementi di ricomposizione e di solidarietà di classe. Guardare alle lotte dei facchini in Emilia significa guardare a una lotta che è stata capace di far riemerge la realtà dell’irriducibile conflitto capitale/lavoro e, di conseguenza, ha rispolverato il vero significato, teorico e pratico, dello sciopero e dei metodi di lotta complementari agli scioperi durante le ore di lavoro.
Non siamo quindi a zero, anzi, proprio la lotta dei facchini e della logistica può e deve servire da ipotesi anche per queste lotte campane a cominciare dalla Indesit.
Da un lato, quindi, le ambivalenze che da anni vivono all’interno dei processi operai, dall’altro, però, nuovi spiragli e nuove possibilità di generalizzazione e di capacità di comporre contrapposizione, come ci suggeriscono le lotte della logistica.
Con questa consapevolezza ci si accinge ad attraversare il corteo di giovedì 4 luglio ad Aversa (Ce), corteo che, nei piani dei sindacati, dovrà essere l’ennesima sfilata pacificata, nonostante la concreta possibilità che 540 famiglie si ritrovino in mezzo ad una strada e che avrà come unico fine l’elemosina di qualche residuo di stato sociale, con la Indesit ormai più che convinta a scappare in Turchia.
Una piazza che però ha nella sua essenza tutte le potenzialità di palesare e di accelerare processi di contrapposizione e conflittualità, se esisterà la volontà dei lavoratori di mettersi in gioco sul serio, processi ai quali è necessario partecipare, alimentare e nei quali è necessario essere soggetti attivi della conricerca, sapendo uscire dalla semplice solidarietà distaccata ed esterna alla lotta, cercando di calarcisi dentro e di divenirne parte integrante, tendendo a forme di ricomposizione che sappiano darle lo stesso tipo di spinta determinata e caparbia che abbiamo visto altrove, come spiraglio e via di fuga dal solito viaggio di sola andata verso la fine (senza salario né reddito né tantomeno lotta) che i sindacati confederali da anni propinano ai lavoratori delle aziende in crisi.
Con questo spirito e con queste ipotesi di percorso abbiamo intenzione di attraversare quella giornata, e tutte le prossime a venire, dalla Indesit, alla Tnt, alla Fiat, consapevoli si delle difficoltà delle singole vicende, ma ancora di più consapevoli che oggi più che mai si impone la necessità di creare e organizzare contropotere non solo nei quartieri e nelle strade delle nostre città, ma in ogni luogo possibile, a cominciare dai posti di lavoro.
Crediamo che in questo scenario, in cui si moltiplicano le complessità dovute al triplice volto della controparte padroni/sindacati/gruppi-camorristici, che si presentano ai picchetti per spegnere la protesta con minacce poco velate, per far sì che i lavoratori tornino ai propri posti e continuino a produrre, sia necessario alimentare ogni piccolo focolaio che si manifesti, perché la Campania, nelle sue mille contraddizioni, ha un potenziale detonatore di cambiamento da non sottovalutare. Potenziale percepibile ogni giorno in tutti i luoghi che attraversiamo, dalle scuole alle università, dagli uffici alle fabbriche, dai supermercati ai call center.
Una regione che ha una densità abitativa di 446 ab/km², ed un livello di rabbia inespressa così alta, ha la possibilità di costruire forme di contropotere territoriale di una forza ed una portata inimmaginabili.
È per questo che, nonostante le moltissime ambiguità, abbiamo la necessità di stare all’interno di ogni processo, portando questi contenuti come unica possibilità che possa farci ipotizzare scenari diversi anche per le lotte che in questa fase si stanno dando nella nostra regione.
La Indesit vuole andare in Turchia
noi vogliamo portare la Turchia alla Indesit
c.s.o.a. Tempo Rosso
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