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Le giornate (contro l’austerity) di Napoli

La particolarità dentro la quale si sono contraddistinte le giornate napoletane sono state quelle del contesto di opposizione alla riforma del lavoro, firmata dal ministro Fornero, oggi oramai legge. E’ evidente che nell’apostrofare un No corale e congiunto all’ultima misura del governo Monti si siano incontrate, sui territori nostrani, differenti e molteplici insufficienze, che hanno irrimediabilmente impedito di superare steccati e resistenze che probabilmente valeva la pena di provare a tirare giù sotto l’altare dell’attacco sfrontato al lavoro, ai diritti, alle esistenze di tutti, aventi garanzie di articoli 18 o meno. Questo processo in termini di massa non si è costruito, il che ha dipanato soggettivi limiti politici ed oggettive difficoltà di fase.

Napoli è stata una delle poche piazze nelle quali qualcosa si è mosso, forse in ritardo, magari suggellando percorsi già iniziati (le mosse della triplice ma debole alleanza & la campagna contro lo strozzinaggio di Equitalia), per mettere nel mirino la riforma del lavoro della Fornero. Nel deserto della crisi, un embrione di mobilitazione con numeri e composizioni interessanti a Napoli si è presentata.

Nella celebrazione di un corteo confederale che tutti si sono affrettati a definire ‘riuscito’ è emersa la contraddizione di una piazza composita che ha contestato le teste gialle Bonanni ed Angeletti. Numeri significativi quelli della manifestazione indetta da Cgil Cisl e Uil, iniziata con una chiacchiera con l’immancabile cardinale Sepe e finita con il comizio agitato di piazza Matteotti. Indicativo osservare il ‘solito sparuto gruppo di provocatori politicizzati che nulla hanno a che vedere con i lavoratori ed il sindacato’ (definizione secolare del segretario della Cisl), in quanto sintesi aggregata delle lotte più importanti che si sono costituite in Meridione nell’ultimo anno: Fincantieri, Irisbus e Firema. ‘Buffoni’, ‘venduti’, urla, fischi; questa l’accoglienza riservata alle parole dei segretari di Cisl e Uil. Alla faccia della ritrovata unità sindacale, laddove componenti significative non si limitano più alla sopportazione e al silenzio ma criticano un modello di rappresentanza che a tutti i livelli scricchiola (si pensi anche alla contestazione ricevuta pochi giorni fa a Bergamo dal segretario Fiom Landini).

Sono quasi centomila i posti di lavoro a rischio nella Regione Campania, radice di una rabbia che cova dentro una moltitudine di individui e realtà, come ben evidenziato dalla partecipazione al corteo di lunedì: la determinazione dei lavoratori della linea 6 di Napoli che sono bloccati da fondi regionali che non sono stati ancora erogati, lo striscione degli operai Irisbus dell’Irpinia con sopra scritto ‘Non molleremo’, le tante tute blu con la maglietta ‘Pomigliano non si piega’. E poi gli elettrici, i chimici, i pensionati, i dipendenti pubblici, i pompieri. ‘Sciopero generale’ il refrain che ha attraversato la manifestazione.

Gli operai di Pomigliano arrivati in piazza Matteotti hanno abbandonato la piazza ‘perché non vogliamo restare ad ascoltare i comizi insieme ai fascisti’, contestando la vergognosa tolleranza concessa al Movimento Sociale di Rauti da parte degli organizzatori. Fatto che si caratterizza come macchia preoccupante di permesso concesso a coloro ai quali gli spazi debbono essere sottratti, negati.

Le realtà autonome di Napoli hanno compiuto invece un percorso differente, proprio, convocando il corteo sabato 30 giugno, contestando il governo dei professori e sanzionando le banche della crisi. Tutto ciò indubbiamente ci parla di composizioni differenti che non possono che cercare la loro ricomposizione possibile dentro le lotte, che purtroppo latitano ma che meritano di essere costruire con metodo e radicamento, ripartendo indubbiamente dai territori e rimettendo all’ordine del giorno il conflitto sociale in un paese stordito dagli annunci e dalle combinazioni artificiali di chi non considera sua prerogativa il (come si dice a Napoli) ‘fare la lotta’.

 

 

“Ripartiamo dal sud: 1500 in piazza

contro Monti, Fornero ed Equitalia – sanzionate le banche”

Circa 1500 persone si sono ritrovate in piazza a Napoli in questo torrido sabato di fine giugno per dire il proprio no al governo dell’austerity. Movimenti sociali e sindacati di base napoletani in primo luogo, ma anche delle delegazioni da Cosenza, Taranto e Salerno. Un ulteriore passo (con l’assemblea di coordinamento che ne è seguita) nella costruzione di un autunno caldo dal basso al sud sui diritti colpiti dalla crisi, contro l’ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro decisa dalla riforma Fornero e contro il salasso legalizzato dei mega-interessi di Equitalia, per porre il nodo politico di una moratoria del debito per le persone a basso reddito, i lavoratori dipendenti, i precari, i piccoli lavoratori autonomi. Una condizione che sta affogando larghe fasce di popolazione nella nostra città. Durante il percorso il corteo ha simbolicamente “sanzionato” alcuni sportelli bancomat lungo il Corso Umberto con degli interventi mirati a bloccarne il funzionamento, per indicare le banche come uno degli attori economici che si stanno arricchendo con la speculazione contro i diritti di tutti. Un azione che segue il blitz situazionista di ieri nella BNL di via Roma (quando gli attivisti sono rimasti in mutande con lo striscione “paghino i ricchi!!”). 

Comitato promotore manifestazione 30 giugno

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