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L’estate più lunga del teatro Valle

di Roberto Ciccarelli per Il Manifesto

La rivolta culturale del Teatro Valle, occupato da 67 giorni, ha ricevuto il premio Salvo Randone come «migliore evento del 2011». «Di solito – afferma al telefono Totò Nicosia il direttore del premio che sarà consegnato a Gibellina il 21 agosto – non si dà un premio a chi sta facendo una rivoluzione. Ma la giuria presieduta dallo scrittore e regista Giorgio Pressburger ha voluto premiare sia il teatro dove ha recitato Salvo Randone sia le persone che sono state capaci di creare una rivolta in un paese dove la cultura è paralizzata e imbavagliata. È un premio al coraggio di chi ha restituito al teatro il suo valore di bene culturale collettivo».

Nelle stesse ore di ieri è arrivata la notizia che una delegazione degli occupanti è stata invitata il prossimo 4 settembre al festival del cinema di Venezia per presentare «un video-provocazione sullo stato del cinema in Italia». Ancor prima di essere lanciata la provocazione ha subito colpito nel segno. Di ritorno dalle vacanze, e senza avere visto il video, il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Giro ha preso carta e penna: il Valle occupato, per lui, è «un centro sociale a cinque stelle» ed esprime la sua personale indignazione contro il presidente della Biennale, «l’amico» Paolo Baratta, e il direttore del Festival Marco Muller. L’invito agli occupanti proprio non gli è andato giù al punto da definire la loro presenza sul Lido «una catastrofe antropologica».

Enfasi a parte, il colpo di sole di Giro ha rianimato Dino Gasperini, l’assessore alla cultura del Comune di Roma, il quale ha puntato sulla roulette la sua fiche di maggior successo: «Gli occupanti – afferma – corrono il rischio di manifestare contro se stessi perché impediscono lo svolgersi di una stagione teatrale guidata dal Teatro di Roma e costruita insieme alle eccellenze della città, tra cui il Teatro dell’Opera e l’Accademia di Danza, tutta incentrata sul contemporaneo». Sorge a questo punto il dubbio che questa messe di dichiarazioni sia stata dettata dai riconoscimenti che la battaglia del Valle sta riscuotendo dalla Sicilia al Veneto. È sotto gli occhi di tutti che una stagione annunciata così è stata raffazzonata all’ultimo secondo. Senza contare che l’Opera e l’Accademia della danza non sono degli esempi nella ricerca sul teatro contemporaneo. Semplicemente, si occupano di altro. In più la soluzione prospettata dal Comune e dal Governo ha tutta l’aria del monopolio. A Gabriele Lavia, direttore del Teatro di Roma, toccherebbe gestire per un anno il Valle, insieme all’Argentina, il teatro India e ai teatri di cintura.

Ciò che il sottosegretario e l’assessore non sanno è che nei prossimi giorni gli intermittenti hanno ricevuto l’invito (ancora informale) a presentare la loro proposta di fondazione per il teatro Valle in una seduta congiunta delle commissioni cultura di Camera e Senato. «Per noi sarà solo un passaggio – conferma la regista Manuela Cherubini – il progetto lo presenteremo alla cittadinanza e dal primo settembre riprenderemo le assemblee pubbliche nelle quali discuteremo i punti nodali della proposta». Nella bozza giunta allo stadio finale di definizione è previsto, oltre alla fondazione con diritto soggettivo, un finanziamento pubblico da parte del Comune, la Provincia e la Regione e uno privato da parte di comuni cittadini e di altre fondazioni. I politici non potranno più nominare il direttore del teatro il quale sarà eletto per tre anni su bando pubblico. Se realizzato, questo progetto colpirebbe al cuore lo spoil system che permette alla politica di manipolare la gestione della cultura e di spendere risorse in maniera irresponsabile. «Miriamo a creare un modello esportabile a tutti i teatri pubblici nazionali – aggiunge Cherubini – anche perché l’Europa ci sta guardando con attenzione». «Il Valle – afferma il giurista Ugo Mattei che sta scrivendo il nuovo statuto insieme a Stefano Rodotà – è un’epifania locale di una battaglia che non si ferma ai nostri confini e riguarda l’intera eredità culturale del mondo. Stiamo assistendo ad un’esperienza unica di lotta costituente che farà sorgere un nuovo diritto da una situazione formalmente antigiuridica, in un paese dove maggioranza e opposizione sono impegnati a negare l’esito del referendum sull’acqua. La lotta per la cultura come bene comune ci offre un orizzonte migliore della cultura mercificata che si vuole far passare attraverso la privatizzazione striscianti».

Il pensiero degli occupanti è proiettato al 30 settembre quando hanno fissato l’appuntamento per un assemblea nazionale – forse la chiameranno «la furia dei cervelli» – rivolta a tutti i lavoratori della conoscenza e dello spettacolo. Questo incontro vuole essere «un propellente per le mobilitazioni contro la finanziaria – sostiene l’attrice Ilenia Caleo – e per dare una risposta all’esigenza di uno sciopero per i precari e gli intermittenti. La nostra sarà una sperimentazione del diritto vivente applicata alle pratiche artistiche».

Saranno molte le realtà a partecipare all’assemblea, tra queste gli scrittori della «generazione TQ». «Ci auguriamo – sostiene il poeta Vincenzo Ostuni – che il Valle sia un primo passo per la costruzione di un coordinamento tra questi movimenti. La proposta è costruire una lotta comune sul finanziamento pubblico della cultura, la scuola e l’università. Sullo sfondo c’è la riforma del welfare che non riguarda solo la cultura, ma l’intera popolazione».

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