MAFIA A MODENA. E’ UNA QUESTIONE DI LEGALITA’?
Il nostro interesse per l’eliminazione della criminalità organizzata e dell’economia ad essa intrinsecamente connessa (a tale proposito, vi rimandiamo alle nostre inchieste ) risiede in una visione di classe, che ci porta ad avversare gli sfruttatori, siano essi legali o illegali, in quanto le loro fortune sono costruite sulla prevaricazione e sullo sfruttamento di soggetti sociali subalterni. Visto che la presenza della malavita organizzata sembra essere in continuo aumento nella provincia di Modena, ci preme esprimere la nostra opinione sulle strategie che le istituzioni locali intendono utilizzare per combatterla, ritenendo ciò intrinseco alla gestione del territorio dove ogni giorno lottiamo per realizzare un modo altro di pensare e di vivere.
Recentemente il binomio modenese politici – inquirenti ha ricevuto un colpo alla propria immagine in merito alla lotta contro la criminalità organizzata, a seguito di alcune dichiarazioni del Dipartimento Nazionale Antimafia, DNA. Nell’ultimo rapporto annuale del DNA viene confermato che la provincia di Modena è uno dei cinque vertici dell’area di influenza della ‘ndrangheta al nord e si lascia intuire come le misure prese per contrastare tale fenomeno rischino di sottovalutare l’entità del problema, anche a causa di priorità politiche ed economiche finora date.
Del resto, già nel 2009 il procuratore capo di Modena Vito Zincani si espresse in modo piuttosto eloquente in merito alla questione, affermando: «Se per magia eliminassi il crimine, i modenesi mi caccerebbero per il disastro finanziario».
Lo scorso ottobre, nell’ambito di un’iniziativa sul tema della criminalità organizzata in Italia e in Europa, il procuratore aggiunto di Modena Lucia Musti, parlando della situazione in Emilia-Romagna, si espresse come segue:
“La domanda di mafia è, allo stato dell’arte, certamente in Italia e nelle ricche regioni del Nord ma anche negli Stati europei, oggetto di richiesta da parte di imprese che operano in campo di legalità (quanto meno in prima battuta) dando così vita non solo a rapporti di scambio di ovvia reciproca utilità, ma anche a costituzione di fatto di società miste con fusioni di capitale legale e illegale.
Si è anche parlato, accanto alla vecchia figura dell’uomo di paglia, anche della nuova figura della società di paglia ovvero altresì della infiltrazione d’impresa: imprese assolutamente pulite ed inattaccabili anche sotto il profilo di quello che, per intenderci, potremo chiamare anagrafico storico, che in realtà nascondono patrimoni e/o interessi mafiosi.
E’ pertanto evidente che se una volta, nel secolo scorso, poteva serenamente affermarsi che il mondo imprenditoriale fosse vittima (con esclusione di poche eccezioni) delle organizzazioni mafiose, ora non è più così, non volendosi escludere per questo che ancora oggi vi siano imprese oneste, vittime autentiche che subiscono pagamenti di tangenti, intimidazioni e violenze, assunzione di manodopera, subappalti.
In realtà si distinguono due diversi livelli di illegalità nelle imprese che ricorrono alle mafie. Quelle che sono oggettivamente costrette (si pensi ad esempio al ricorso al credito da parte di aziende in difficoltà in luogo che ai comuni canali bancari) da quelle che compiono, per così dire, una scelta di campo e consapevolmente fanno impresa con la mafia, utilizzando essi stessi la metodologia mafiosa e, magari, ricoprendo cariche all’interno dell’organizzazione non potendo essere il contrario, per non incorrere nei controlli di legalità.
Questa osmosi con le mafie diventa particolarmente vincente quando l’attività economica da realizzare è articolata e richiede una filiera di imprese in partecipazione ovvero appalti e subappalti: in questo caso si creano i cd. cartelli di impresa che garantiscono il controllo dell’intera filiera produttiva, creando altresì una sorta di barriera protettiva per coloro che a tale cartello aderiscono con la conseguenza dell’isolamento ancor più isolato (mi si perdoni la cacofonia) per le imprese che restano fuori da questo sistema e che finiscono con lo scomparire dal mercato.
Questa importante scelta di campo comporta che il grande business si realizzi con la partecipazione necessaria dell’impresa, della mafia e della politica, da intendersi anche solo come amministratori, ma anche della libera professione (es. Cosentino/indagini/intercettazioni DDA Bologna; citare l’importanza del codice etico delle libere professioni), tutte componenti che tra loro interagiscono attraverso uomini cerniera in modo da tenere il più possibile lontano dalla lente d’ingrandimento della Giustizia l’illecita attività. Ciascuno svolge il proprio compito: gli imprenditori gestiscono l’accesso al mercato, i mafiosi riclano, partecipano e mettono a dispzione la metodologia mafiosa, i politici erogano denaro pubblico ed autorizzazioni, i liberi professionisti mettono a disposizione i loro saperi che si palesino necessari.
Un settore nel quale questa collaborazione o, per dirla in altra lingua, “societas sceleris” ha operato sin dagli anni novanta ed opera tuttora è il settore edilizio e gli appalti pubblici (due riferimenti al volo Expò di Milano 2015 e ricostruzione post terremoto). In questo campo un ruolo importante ha costitutito il cd. codice antimafia D.lvo n°159/2011 e recenti modifiche che ha regolamentato ex novo la disciplina della documentazione antimafia, oltre alla normativa sulla tracciabilità finanziaria.
(http://www.magazineuropa.eu/index.html?id=244)
Dunque, il quadro complessivo è abbastanza chiaro, il fenomeno ha continuato ad espandersi e siamo ben lontani dalla sua eliminazione.
D’altra parte, la risposta che le istituzioni intendono dare all’enorme problema è tutta incentrata sulla diffusione capillare sul territorio di una cultura della “legalità”.
Ebbene, è proprio in merito a questo che vorremmo esprimerci. Ci sembra evidente, infatti, che l’intera questione vada affrontata diversamente e che essa si debba inquadrare in termini politici ed economici, piuttosto che giudiziari. Crediamo che il radicamento crescente della criminalità organizzata al nord sia uno degli aspetti della fase che sta attraversando l’economia capitalista, in cui la crisi rende i settori produttivi del territorio sempre più interdipendenti coi capitali malavitosi.
Ci paiono praticamente inutili misure quali lo sporadico ritrovamento del covo di un boss o l’istituzione della “white list” contro le infiltrazioni malavitose nella ricostruzione della Bassa terremotata. Pensiamo che si debbano cambiare le politiche economiche, smettendo di dare la priorità agli interessi di ristrette lobbies, e che si debba rivedere completamente la gestione dei fondi pubblici, mettendo al primo posto i bisogni reali dei cittadini.
E’ inutile, se non addirittura strumentale, e sicuramente controproducente un uso cieco e decontestualizzato della “legalità”. Finché si continuerà a ragionare in termini di profitto nelle tasche di pochi, sarà sempre più difficile impedire le infiltrazioni dei capitali del crimine organizzato. Entrando nel concreto, se la giustizia continuerà ad assecondare politiche abitative territoriali, che in linea con quelle nazionali favoriscono i palazzinari, colpendo invece quei cittadini che occupano case per affermare il proprio diritto ad un tetto, l’appello alla legalità da parte delle istituzioni avrà un valore puramente retorico. Finché si continuerà a colpire chi cerca di opporsi alle contraddizioni prodotte da un sistema che non funziona, praticando concretamente risposte autonome ai problemi, attraverso la riqualificazione di spazi lasciati al degrado, la rivitalizzazione di interi quartieri prima infestati dal traffico di stupefacenti, l’occupazione di case lasciate vuote per fini speculativi, finché si continuerà a sanzionare gli studenti che reclamano una scuola strutturalmente sicura in cui siano protagonisti e non consumatori o chi reclama il diritto ad un trasporto cittadino pubblico e accessibile anche alle tasche di precari e disoccupati, ebbene quella legalità che reprime chi lotta per il diritto ad una vita migliore cercando di cambiare l’esistente avrà una funzione politica di puro appoggio agli interessi dei poteri egemoni, contribuirà ad esacerbare la crisi in atto e sarà fallimentare nella lotta alla malavita organizzata.
Ci viene in mente un piccolo esempio che fa riflettere. Ultimamente abbiamo ricevuto altre sanzioni per azioni “illegali” che avremmo messo in atto durante una protesta contro l’inceneritore di Modena avvenuta lo scorso ottobre. Dunque, la loro solerzia diventa ineguagliabile quando si tratta di colpire chi si è messo in gioco per denunciare la dannosità dell’ecomostro, che porta alla città solo inquinamento e spese mentre è fonte di buoni profitti per il gestore Hera. Eppure ci risulta che nessuno abbia mai mosso un dito per fare luce sulle possibili connessioni tra la stessa multiutility e i capitali dei casalesi (vedi dossier).
Per concludere, questa ossessione per la “legalità” ci sembra solo uno strumento dai richiami gattopardeschi: si grida di voler cambiare tutto per non cambiare nulla.
E noi, che lo stato delle cose vogliamo cambiarlo davvero, continueremo per la nostra strada a prescindere dalla loro “legalità”.
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