“Non facciamoci più mettere i piedi in testa”. L’urlo delle donne delle pulizie
Esce il quarto contributo della rubrica “il virus e la riproduzione sociale”. Qui di seguito condividiamo la trascrizione di uno degli interventi tenuti durante l’iniziativa telematica Jam the system, organizzata a giugno dalla rete Non una di Meno transterritoriale marche. Qui, come del resto in molti altri contributi, si fa leva sull’insopportabilità del lavoro multiservizi così com’è pensato, strutturato e vissuto dalle donne effettive. Si tracciano obiettivi e si raccontano esempi di lotte quotidiane contro la fatica di sentirsi “l’ultima ruota del carro”. Ma qui, nell’uso eccezionale della sanificazione nella gestione del coronavirus, si ribalta il concetto stesso di lavoro essenziale. Su chi vengono scaricati i costi di questa pulizia? Qual è il “nuovo valore” dei pulitori? Come guadagnano le multinazionali? Come si può spezzare il perverso ricatto che compromette salute, tempo, dignità in cambio di un misero stipendio?
chi siamo
Mi chiamo G., e sono un’operaia, ho sempre lavorato nel settore delle pulizie, ma l’ultimo lavoro che ho fatto fino a marzo era da badante, quando sono stata licenziata in piena pandemia in attesa di tampone.
Da anni con la rete Non Una di Meno Pisa abbiamo costruito un percorso di lotta contro le violenze anche nei posti di lavoro. Perchè la violenza è sistematica qui, per le donne. Se ti alzi alle 5 e sgobbi tutto il giorno, e nonostante questa degradazione e alla fatica del troppo lavoro, dei troppi problemi sul lavoro, non ce la fai mai a pagare le cose che ti servono.. come si chiama questa? In particolare questa violenza la combattiamo insieme alle lavoratrici delle pulizie delle grandi multinazionali che hanno in appalto il servizio di sanificazione e pulizia dell’ospedale di Cisanello di Pisa.
Da questo percorso abbiamo aggregato altre donne attorno ai temi della difesa dallo sfruttamento e dalla povertà, altre donne che subiscono la stessa condizione in altri settori sempre del multiservizi o affini. Ci siamo conosciute costruendo gli scioperi dell’8 marzo e stringendo relazioni che durano grazie agli spazi di lotta che abbiamo aperto.
Infatti, pur utilizzando lo strumento sindacale, non siamo un sindacato, ma un movimento che affronta i tanti aspetti della crisi della riproduzione sociale. Dalla lotta vittoriosa contro 80 licenziamenti di donne delle pulizie, abbiamo aperto diversi luoghi di confronto e d’inchiesta nell’ospedale. Abbiamo aperto spazi nei quartieri dove queste donne vivono e si “riproducono”, lottando contro la rapina degli affitti e la mancanza dei servizi. Cerchiamo di contaminarci con tutte le lotte contro la violenza della discriminazione.
Vogliamo fare i conti con i nostri limiti e con la grande esigenza di cambiare tutto per noi donne. E sappiamo che solo collegandoci tra di noi, solo studiando in profondità come ci sfrutta il sistema, ma studiando anche in profondità come già le persone lottano contro questo sistema, possiamo ribaltare il pregiudizio che ci opprime -che siamo deboli, che siamo sole, che siamo “poverine”, che siamo puttane, che abbiamo bisogno di un uomo e di un padrone – in una nuova forza capace di darci la libertà.
Il lavoro multiservizi nel covid
Per entrare nel merito di questa discussione – il lavoro multiservizi al tempo della pandemia – quello che ho vissuto è che la gestione di questo virus è stata tutta scaricata sulle spalle e sulle teste delle lavoratrici. In particolare dentro il cosiddetto lavoro multiservizi c’è il lavoro di cura e riproduttivo, e le pulizie che sono state sempre denigrate e penalizzate, affidate a quelle che sono l’ultima ruota del carro, si sono ritrovate ad essere essenziali. In ogni attività sia lavorativa che sociale, il lavoro delle pulizie e di sanificazione è diventato indispensabile. Lo possiamo rinominare un “metalavoro”.
Questo per me vuol dire che tutti i disagi e i conflitti che c’erano prima del coronavirus adesso stanno esplodendo. Per questo mi sento in dovere di riportare questa testimonianza di una lavoratrice delle pulizie che con le sue parole di qualche tempo fa racconta al meglio quelle che sono le grandi problematiche che da adesso in poi non vogliamo più sopportare.
“Ciao sono una donna che lavora nelle pulizie dell’ospedale di cisanello con la multinazionale prima Sodexo ed ora Dussman. Oggi, la maggior parte delle donne si spacca la schiena nel lavoro di cura e nelle pulizie. In questa azienda dove lavoro siamo tantissime donne. Un gruppo di noi donne delle pulizie ha deciso di scioperare l’8 marzo perché subiamo tutti i giorni una doppia violenza. Una violenza data dal fatto che tante donne siamo sole, con figli a carico, percepiamo stipendi da fame, ci manca la libertà di poter fare tutto, ci mancano i soldi perché i redditi sono bassi e le spese da affrontare sono alte, ci manca la possibilità di poter vivere. L’altra è la violenza del lavoro e delle istituzioni che ci sfruttano per questa nostra presunta debolezza.
Noi donne siamo quelle che si svegliano la mattina al buio mentre tutti ancora dormono per andare a lavorare, siamo quelle che devono organizzare la vita dei propri figli subendo il fatto di lasciarli anche da soli o pregare amiche, parenti (se ci sono) perché nella maggior parte dei casi siamo sole. Siamo quelle che di volata facciamo un boccone da mangiare per la famiglia, si sistema la casa e si riparte su un altro turno (se abbiamo gli spezzati) oppure si corre al doppio lavoro perché prendiamo 6 euro l’ora e non riusciamo a coprire le spese. Tante di noi accarezzano i loro figli di notte, e vivono con i sensi di colpa per non riuscire a starci dietro…ecco ma di chi è la colpa di tutto ciò.
Di certo non la nostra. Abbiamo deciso di dire basta, di farci carico di tutte queste violenze… i responsabili ci sono. Per questo abbiamo deciso di far parte della rete non una di meno e organizzare lo sciopero dell’8 marzo. Da ottobre abbiamo aperto uno sportello, facendo compilare dei questionari, dove tantissime nostre colleghe sono venute ad esporre le loro problematiche e ci siamo resi conto che le problematiche sono le stesse. Nella costruzione di questo sciopero tante donne iniziano a prendere coraggio e iniziamo a non avere più paura…però si sa quando una donna decide di alzare la testa l’abitudine è quella di bastonarla, minacciarla, offenderla e farla sentire una nullità.
Il 16 febbraio un gruppo di noi donne lavoratrici, ha deciso di mettersi insieme e abbiamo chiamato un assemblea sindacale all’interno del nostro posto di lavoro. Quest’assemblea già dall’inizio è stata boicottata dai sindacati confederali: cgil, cisl, uil… seminando paura e terrore sulle donne che già subiscono sul posto di lavoro: sovraccarichi di lavoro, ritorsioni per chi non sta a testa bassa, cioè se una di noi pretende i propri diritti ti minacciano con le lettere disciplinari, o mandati a fare un lavoro più pesante, cambi turni dati solo ai privilegiati, e siccome tante di noi hanno contratti par time 3, 4, 5 ore, l’unica maniera per arrotondare è fare qualche ora di straordinario. Su queste ore si gioca il ricatto nei nostri confronti e creano la guerra e divisione fra operaie. Ma nonostante ciò l’assemblea è andata bene e siamo uscite lanciando lo stato di agitazione verso lo sciopero dell’ 8 marzo. Noi abbiamo il coraggio di dire la verità, la verità di chi ha deciso come me, di lottare perché prendo 800 euro di stipendio compreso gli assegni familiari ed ho da fare fronte a 600 euro di affitto. La maggior parte di noi è abbandonata, senza nessun ammortizzatore sociale, senza tutela sul posto di lavoro.
Queste aziende sono ricche e si stanno arricchendo ancora di più sulle nostre spalle, noi sappiamo che questo mal di lavoro compromette non solo i nostri stipendi e la nostra salute: è la pulizia dei reparti che è messa in grave pericolo. Chi ci rimette sono anche i pazienti.
Il nostro stato di agitazione prevede che dal giorno dopo dell’assemblea abbiamo iniziato a dire di no ed ha trovare la forza per migliorare le nostre vite rifiutandoci di accettare carichi di lavoro, minacce, ritorsioni, perché vogliamo lavorare con il sorriso, vogliamo il rispetto delle procedure giuste. Vogliamo i controlli e le verifiche dei lavori svolti come da capitolato.”
E’ il nostro momento
Se il covid ha esasperato le condizioni di vita e lavoro precedenti, oggi è necessario fare i conti con delle potenzialità e delle possibilità che la pandemia ci ha mostrato. Voglio fare due brevi esempi per ragionare su alcune proposte. Il primo riguarda una lavoratrice della Dussman delle pulizie dell’ospedale gli era stato ordinato dalla capoturno di andare a sanificare una stanza che risultava infetta dal covid. Questa lavoratrice era sprovvista di mascherina e dispositivi adeguati e si è rifiutata di svolgere quella mansione. Dopodichè il capo impianto della multinazionale gli ha detto “sei una buona a nulla” minacciandola di ritorsioni. Solo per aver preteso di lavorare in sicurezza. Sono seguite lettere disciplinari e cambi turno senza avviso, da orario fisso continuato a spezzato. Cioè vuol dire lavorare tutto il giorno e vivere in macchina. La lavoratrice insieme ad altre stanno reagendo e si stanno organizzando per avere la giusta formazione e far cancellare queste ritorsioni che oramai sono la regola dell’organizzazione di questo lavoro. Questo ci fa dire che il lavoro multiservizi, sottopagato, sfruttato, e usurante non deve più esistere in questo modo. Bisogna ribellarci alla stessa esistenza di questo lavoro per così com’è fatto e pensato. In particolare la discriminazione che subiamo essendo in appalto. Questa discriminazione è violenza e si attua grazie al risparmio su tutto quello di cui chi lavora e vive ha bisogno, mascherine, tamponi, scarpe giuste, stipendi, prodotti giusti, formazione, indennità, panni, guanti, tempi e ritmi di lavoro, contratti part time. E’ questo risparmio che fa arricchire le multinazionali in combutta con le committenti. E’ questo risparmio che rende il lavoro una nocività per noi.
Perchè il contratto multiservizi è scaduto e non lo rinnovano? Perchè c’è uno scontro sulle “malattie”. Perchè le donne hanno bisogno di riposo, di malattie professionali riconosciute, di non ammalarsi più per via di queste procedure lavorative usuranti.
Il secondo esempio riguarda un’altra lavoratrice delle pulizie, mamma di due figli che si è ribellata al marito dopo anni di violenze. Questa donna appena prima del lockdown è scappata di casa per salvarsi dalle botte del marito, con tanto di codice rosa e denunce e inserimento nei percorsi antiviolenza. Il lavoro usurante del multiservizi non gli ha permesso di liberarsi dalla costrizione del marito, di andare a vivere da sola in affitto. 1000 euro di stipendio non bastano per essere indipendenti per una donna di 50 anni. È scappata di casa rifugiandosi da amiche, compagne, sorelle e colleghe. Non poteva riprendersi le sue cose, e durante la quarantena è rimasta sprovvista dei suoi effetti personali perchè il marito non gli permetteva di riprendersele, continuando a minacciarla. Per questo si è creata una rete di donne che l’hanno sostenuta e accompagnata, a fine quarantena, sotto la sua casa, e noncurante delle provocazioni del marito violento, l’obiettivo è stato raggiunto.
Tutto questo per dire che quando parliamo di doppia violenza del lavoro riproduttivo parliamo ora più che mai di un legame fortissimo soprattutto nelle resistenze e nelle lotte tra i diversi ambiti di sfruttamento. La liberazione è quindi da pensare complessivamente in tutto il territorio dove viviamo e lavoriamo.
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