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Odissea persecutoria della tortura del 41bis

Premessa introduttiva
La logica emergenziale con la quale ragionano i giuristi della legislazione sovverte il funzionamento del gioco probatorio. Messo da parte il corredo delle garanzie si da luogo a un metodo che permette il funzionamento di un sistema di tortura del “41bis” che per vie legali raggiunge obiettivi illegittimi.
In ambito penitenziario la competenza dei tribunali di sorveglianza viene sistematicamente offesa dalla pretesa superiorità del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) che si ritiene unico figlio legittimo del ministero della giustizia.
Così questo sistema di tortura del 41bis nutrito da preoccupazioni più virtuali che oggettive, rompe l’asimmetria fra mezzi legali e fini legittimi.
Attraverso funambolismi giuridico-investigativi, è permesso alla legge di aggirare se stessa, mentre intelligenze del diritto (le stesse che danno vita al ministero della giustizia) consentono la sistematica violazione delle più elementari regole del diritto che permettono il funzionamento legale della legge.
Succede con sistema del 41bis che decreti a firma del ministro della giustizia riportano note informative che in termini di prevenzione dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa, risultando, in assenza del gioco probatorio l’espediente legale, che attraverso l’eccessiva tolleranza imposta al controllo giurisdizionale, permette la permanenza illegittima di persone nel circuito speciale a tempo indeterminato.

Nota espositiva:
Venti anni di carcere, di cui quindici sottoposto a regime di tortura del 41bis; tre revoche disposte da tre diversi tribunali di Sorveglianza, disattese da tre ministri della giustizia, sono il risultato di come il sistema della tortura del 41bis si autoregola in funzione di modalità contrarie ai principi del diritto.
Cronaca dei fatti:
Cronologicamente, l’odissea che sto scrivendo e vivendo iniziò con il mio arresto nel 1993, e la contestuale sottoposizione al regime di tortura del 41bis.
Con la notifica del decreto a firma del ministro, venivano sospese nei miei confronti tutte quelle regole trattamentali previste dall’Ordinamento Penitenziario a salvaguardia dei diritti umani.
Dal 1993 al 2003 mi furono notificati 19 decreti di proroga; così per dieci anni ininterrottamente subivo ogni sei mesi il rinnovo del decreto ministeriale, in violazione dei principi giurisprudenziali fissati dalla Consulta, che imponevano a ciascun decreto di proroga motivazioni non stereotipe basate su fatti recenti (circostanza disattesa ad ogni notifica della proroga).
Contro il decreto di proroga, la Consulta stabilì che si poteva proporre reclamo entro dieci giorni dalla notifica; questa garanzia non ebbe altro che un valore formale: i tribunali di Sorveglianza fissavano la trattazione del reclamo a una data che superava il tempo d’efficacia (6 mesi) del decreto, e all’udienza veniva dichiarato inammissibile.
Succedeva che intanto il ministro firmava un altro decreto di proroga e quello precedente ormai inefficace non veniva valutato.
Così il sistema repressivo che usava la tortura istituzionalizzata, disattendeva quelle timide garanzie costituzionali, grazie alla complicità tollerante concessa dal legislatore sulla legalità del controllo giurisdizionale.
Nel 2003 il regime di tortura del 41bis non aveva più oggettive legittimazioni emergenziali. L’emergenza virtuale foriera di opportunità, fu il motivo reale per cui questo regime divenne stabile per legge.
Il legislatore corresse solo gli aspetti bocciati in precedenza dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, mantenendo alto il livello d’afflittività e salvando l’apparato repressivo.
Nel 2003, quando l’avv. Dominici propose reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma, il controllo giurisdizionale tramite una giurisprudenza ormai rivisitata dalla Corte Costituzionale e voluta dalla Corte Europea, aveva acquisito un maggiore potere di sindacabilità.
Così, dopo dieci anni di regime di tortura di 41bis, in assenza di qualsiasi elemento, mi veniva riconosciuto insussistente il pericolo di collegamenti con la criminalità.
Avvenuta la revoca nel 2003, mi ritrovai a regime di E.I.V. (elevato indice di vigilanza) dove restai circa quattro anni.
L’E.I.V. Era un circuito nato al di fuori di ogni regola, che in seguito fu rottamato nel 2009, cambiandone solo il nome in AS1; un’operazione truffaldina per eludere la sentenza della Corte Europea.
Il D.A.P., senza emettere un provvedimento motivato e senza una notifica, decideva nei miei confronti l’esclusione da tutte le opportunità al di fuori della sezione, obbligandomi alla permanenza in un circuito fantasma, senza la tutela di un giudice competente per giurisdizione.
Il 10 gennaio 2007, dopo anni di permanenza abusiva in regime di E.I.V., il ministro della giustizia firmava un nuovo decreto di tortura del 41bis.
Questi signori ritengono che la tortura persecutoria, avvenendo in democrazia, si legittimi.
Seconda applicazione:
Per la seconda volta, fui sottoposto alla tortura “democratica” e trasferito al carcere di Ascoli Piceno.
La nuova riapplicazione, non si fondava sui fatti commessi dopo la revoca, disposta nel 2003 dal tribunale di Sorveglianza di Roma, né su elementi nuovi non considerati dal giudice all’atto della revoca.
Il tribunale di sorveglianza di Ancona, investito per competenza con reclamo proposto dall’avv. Dominici, in udienza dispose il rinvio per chiedere al ministero quali fossero gli elementi nuovi sopravvenuti alla revoca del 2003; il tribunale, pur riconoscendo che il decreto era identico a quello revocatomi nel 2003 (tribunale di Sorveglianza di Roma), non sospese il regime di tortura del 41bis.
Alla nuova udienza, il ministero in risposta confermava l’esigenza del ripristino della tortura del 41bis, anche in assenza di fatti nuovi. Riteneva sufficienti la latitanza di mio fratello e riproponeva gli stessi motivi, già non ritenuti idonei dalla sentenza di Roma che a suo tempo lo disapplicò.
Purtroppo in materia penitenziaria la competenza dei tribunali di Sorveglianza viene sistematicamente offesa dalla pretesa “superiorità” del DAP che si ritiene figlio unico legittimo del ministero.
L’unica speranza per avere giustizia rimaneva la Corte Suprema di Cassazione.
Il ricorso per cassazione presentato dall’avv. Dominici, venne dichiarato ammissibile dal Procuratre generale, e su sua richiesta fu annullato dalla Corte, con rinvio agli atti per la trattazione presso il tribunale di Sorveglianza di Ancona.
Rimasi in regime di tortura del 41bis fino alla fissazione dell’udienza nel luglio del 2008. in udienza sopravvenne un fatto nuovo: la morte, durante un’operazione di polizia, condotta dalla questura di Caltanissetta, di mio fratello Daniele, all’epoca latitante.
L’unica nota su cui insisteva il ministero decadeva con la morte di mio fratello.
Il tribunale di Sorveglianza di Ancona, l’11 luglio 2008 disponeva la revoca della tortura del 41bis. Per la seconda volta una corte mi revocava la tortura fisica, che ormai si era impadronita della mia serenità, e che rimarrà sempre dentro di me.
Come mai il ministero della giustizia violava le norme che non ignorava?
Disposta la revoca fui trasferito nella sezione abusiva di E.I.V. Del carcere di Voghera (PV). Dopo quattro mesi, il 18 novembre 2008 i ministro firmava un nuovo decreto, così mi ritrovai in una cella della sezione di tortura del 41bis del carcere di Opera (MI).
Terza riapplicazione:
Un nuovo decreto di sottoposizione al regime di tortura del 41bis sarebbe stato legittimo solo nel caso in cui, dopo la revoca, fossero stati commessi nuovi reati. Ma questo non fu neanche ipotizzato.
Fu una nota informativa, vero funambolismo giuridico-investigativo che permise (e permette) alla legge di aggirare se stessa.
Queste note informativa che danno vita ai decreti ministeriali, dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa in termini di prevenzione, ma la logica emergenziale con cui il legislatore impone di ragionare, sovverte il gioco probatorio: non è ciò che è accertato a provare ciò che è sospettato, ma ciò che è sospettato è provato dalla sua stessa verosimiglianza; il resto viene regolato dal sistema.
Il corredo delle garanzie è stato dimenticato dai giuristi della legislazione e il sistema di tortura del 41bis si autoregola meccanicamente attraverso modalità simili all’ostracismo ateniese (dalla nota non si sa chi è la fonte, non si conosce il dove, quando come e perché dei fatti).
Successe nel mio caso, che la squadra mobile di Caltanissetta scrisse una nota informativa che recitava testualmente: “… da attività investigativa è emerso che l’Emmanuello è in contatto con l’attuale reggente esterno della famiglia al quale impartisce ordini, ricevendo anche comunicazioni” (va premesso che tutto ciò venne smentito indirettamente negli anni a venire da un’ondata di collaboratori).
La nota informativa non era corredata da alcuna indicazione che ne consentisse la fondatezza.
Ciò fu motivo di reclamo proposto dall’avv. Dominici al tribunale di Sorveglianza di Milano. Il tribunale milanese, il 3 aprile 2009 rinviò la trattazione per acquisire i dettagli necessari su quanto accertato con testuale richiesta: “posto che della suddetta attività investigativa appare rilevante ai fini del decidere, essendo stata espressamente menzionata nel decreto impugnato, ma le cui risultanze non sono state inviate come invece avrebbe dovuto essere”.
Richiesta che il tribunale avanzò tramite il DAP esercitando il potere di sindacato giurisdizionale che in materia di proroga concerne nella piena valutazione dei presupposti applicativi.
Questa richiesta avanzata dal D.A.P. Conforme alla giurisprudenza costituzionale non ebbe risposta.
In sostanza, succedeva che la nota informativa non conteneva altro che parole in libertà, e prima ancora del tempo a confermarlo, già la risposta negativa degli apparati di sicurezza lo dimostrava.
All’udienza del 19 giugno 2009 per la trattazione, il tribunale milanese, contraddicendo la richiesta avanzata dal D.A.P., concludeva: “la circostanza che il D.A.P. Non abbia inviato l’esito dell’attività investigativa come richiesto da questo tribunale alla scorsa udienza, appare del tutto ininfluente”.
Con queste testuali parole il tribunale dichiarava ininfluente un’attività investigativa in forza della quale unicamente, sarebbe stato possibile, al sistema, in modo legale per la terza volta, ripristinare il regime di tortura del 41bis già revocato precedentemente da ben due tribunali.
Questo è il metodo che permette il funzionamento del sistema di tortura del 41bis, che ottiene per vie legali ciò che non sarebbe legittimo attraverso acrobazie giuridico-investigative.
Se il tribunale di Sorveglianza di Milano si fosse attenuto alla giurisprudenza costituzionale, in risposta della nota informativa avrebbe preteso il riscontro probatorio, ristabilendo ciò che il sistema di tortura del 41bis esclude, cioè l’asimmetria fra mezzi legali e fini legittimi.
Il reclamo da noi proposto fu così rigettato, e il ricorso per cassazione, pur ritenuto censurabile dal Procuratore generale, fu dichiarato infondato.
Il decreto aveva efficacia fino al novembre 2010; puntualmente il ministero allo scadere mi notificò la proroga per altri due anni.
La nota informativa “incriminata”, che aveva fatto scattare preventivamente il regime di tortura del 41bis venne tolta dal decreto di notifica, mentre il nuovo venne motivato con fatti riesumati dai decreti precedenti, che erano stati ritenuti inidonei dai tribunali che avevano revocato il regime di tortura del 41bis.
Sarebbe assurdo immaginare intelligenze del diritto, le stesse che danno vita al ministero della giustizia, ignorare le regole più elementari delle leggi e del loro funzionamento.
Come da prassi, l’avv. Dominici propose reclamo; per competenza intervenuta con la nuova legge, fu presentato al tribunale di Sorveglianza di Roma.
Dopo un anno, l’udienza fu fissata il 28 ottobre 2011, e l’esito fu l’annullamento del decreto ministeriale con la testuale motivazione: “…in assenza di circostanze veramente nuove, concrete e attuali… il collegio reputa non legittimamente emanato il decreto impugnato” (ordinanza 5 novembre 2011).
con la revoca, da Opera (MI) fui trasferito nella sezione AS1 di Catanzaro, dove attualmente sono ristretto.
Oggi, dopo la revoca, mi trovo ad attendere penosamente una quarta decisione, perché la suprema Corte di Cassazione, per cavillose questioni di diritto, ha accolto il ricorso della D.N.A., annullando di conseguenza l’ordinanza di revoca.
Una situazione insostenibile, una lenta agonia per la quale non appare risolutiva la garanzia giurisdizionale.
Una forma di persecuzione paragonabile ad una sofisticata tortura psicologica studiata dalle stesse menti del diritto…
Tutto appare insufficiente per neutralizzare gli espedienti messi in atto da una macchina burocratica, programmata per l’annullamento dei diritto fondamentali della persona.
Catanzaro,  agosto 2012
In fede
Pasquale De Feo.

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