Omsa, che licenziamenti!
La vicenda di Faenza risale al 2010 quando arrivò, all’improvviso e senza nessuna comunicazione ai sindacati, l’avviso di chiusura e l’inizio della cassa integrazione. I macchinari furono immediatamente portati via e rimase solo una produzione minima. Allora nello stabilimento lavoravano 350 lavoratori, quasi tutte donne, ora 30 lavoratrici continuano a tenere aperta la ditta, lavorando su turni di 4 ore per 15 giorni al mese.
La vicenda Omsa è stata immediatamente accompagnata da iniziative di solidarietà. L’ultima è la campagna di boicottaggio lanciata su Facebook dalla pagine “Mai più Omsa”, che in 36 ore ha raccolto 40mila adesioni, in continuo aumento. Artisti e musicisti si sono schierati contro la chiusura dello stabilimento di Faenza, il Mei, il Festival della Produzione Musicale e Culturale Indipendente Italiana che si svolge proprio nella cittadina romagnola ha lanciato nel 2010 un contest “Un brano per l’OMSA”, vinto dai Khorakhanè con il brano “Ma quale crisi”. Le lavoratrici della Omsa hanno anche prodotto un documentario, “Licenziata”, fatto in collaborazione con la regista Lisa Tormena che verrà proiettato giovedì 5 gennaio alle 18 in piazza del Popolo a Faenza insieme al Teatro Due Mondi e le Brigate Teatrali con il “cinema volante”.
Contro i licenziamenti è stato organizzato anche un mail bombing al Ministro Corrado Passera.
Mentre l’etichetta “crisi” diventa spesso il pretesto per chiedere sacrifici da parte dei lavoratori, nei confronti di imprenditori e aziende, in nome di una generica “solidarietà” nazionale, il caso Omsa dimostra come anche laddove la crisi non c’è a prevalere sono sempre gli interessi dell’1%. A Faenza le lavoratrici non hanno accettato il licenziamento come inevitabile e stanno ancora lottando. L’appello al boicottaggio lanciato a tutti, donne in particolare, vuole essere un segnale anche a chi come Pompea e Calzedonia potrebbero imitare l’esempio della Omsa: “Piuttosto che vestire sfruttamento le calze ce le disegneremo sul corpo”.
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