Il 15 ottobre 2011 sarà ricordato come la prima giornata globale di mobilitazione contro la crisi finanziaria e contro la governance degli stati nazionali. Stati nazionali che vedono nella somministrazione di liquidità alle banche e nelle politiche di austerity,fatte di tagli al welfare e nella socializzazione dei costi della crisi, la fuoriuscita dalla crisi stessa. Il 15 ottobre è stata la grande risposta collettiva.
Le piazze di tutto il mondo (New York, Il Cairo, Londra, Atene solo per citarne alcune), hanno visto milioni di persone manifestare per opporsi dal basso alle logiche del profitto e del capitale per un cambiamento reale dello stato di cose presenti. Una grande giornata internazionale di lotta, quindi, che pur nella differenza della composizione e delle pratiche, individuava nell’ assalto ai Palazzi del Potere (sia economico che politico) l’obiettivo verso cui orientare la propria rabbia di sfruttati e precari. Anche a Roma si è assistito ad una grande manifestazione che ha visto convergere dalle regioni di tutto il paese centinaia di migliaia di manifestanti (circa mezzo milione i dati forniti dai media). A Roma però, le cose sono andate diversamente. Sindacati e partiti della sinistra più o meno istituzionale, più o meno di movimento, convinti di poter incanalare la rabbia di una generazione e in qualche modo di poterla rappresentare hanno deciso di optare per una soluzione altra rispetto all’obiettivo che tutto il movimento auspicava e per cui aveva deciso di prendere parte a quella giornata: confluire sotto Montecitorio sede del Parlamento nazionale. Sindacati e partiti, dunque, hanno deciso di confluire in piazza San Giovanni, una piazza che, per gli organizzatori sarebbe dovuta divenire, suo malgrado, simbolo di un’opzione politica ormai superata, quella cioè della rappresentanza politica di novecentesca memoria. Se c’è un dato che è emerso con chiarezza dalla giornata di Sabato è proprio il fatto, tutto politico, che un’intera generazione quella così detta del no future, quella del 14 dicembre, non accetta più il diktat della mediazione e della rappresentanza e vuole farla finita con la retorica dell’”indignazione” utile solo alla propaganda elettorale dei soliti noti dal volto ripulito. Misero tentativo fallito sotto la potenza di una generazione che è capace di autodeterminarsi politicamente e decidere del proprio presente.
Poco prima di giungere in Piazza San Giovanni la polizia ha dato il via a pesantissime cariche con tanto di idranti e caroselli dei blindati a pochi centimetri dai manifestanti (in questo senso ha ragione Maroni quando dice che poteva scapparci il morto). La piazza, per nulla intimidita dalla violenza delle forze dell’ordine, ha dato vita ad una grande prova di resistenza non indietreggiando o abbandonando San Giovanni ma rispondendo ai lacrimogeni con quanto la piazza avesse da offrire in quel momento. Difesa del corteo e resistenza. Se questi dati fanno dare un bilancio più che positivo alla giornata del 15, altri, invece, destano non poche preoccupazioni. In primo luogo il tentativo di criminalizzazione messo immediatamente in atto dal governo, dai media e ancora più grave da settori di movimento nei confronti di altri settori più radicali. Ecco, quindi, che ritorna la solita retorica bugiarda del “Black Bloc” (così la polizia definiva gli Autonomen tedeschi degli anni 80 che utilizzavano abiti scuri e senza segni distintivi per non farsi identificare) a cui si aggiungono le frange ultras e i soliti “facinorosi” pronti ad infiltrarsi nei cortei pur di esprimere violenza. Niente di più falso, niente di più propagandistico da un governo ormai debole che tenta con la retorica della sicurezza di acquisire nuovamente credibilità, sui media pronti, pur di riuscire ad aumentare l’audience, ad inventarsi l’identikit del black bloc della porta accanto da rinchiudere immediatamente. Scandalose le campagne lanciate dalle grandi testate giornalistiche “Repubblica” e “Il Giornale” di vera e propria delazione con la raccolta di foto e video da passare alle questure di tutta Italia. Campagne appoggiate anche da alcuni soggetti di movimento che dopo aver promesso “ferro e fuoco” e “prese del palazzo d’inverno” si sono dissociati (anche da loro stessi) addirittura prima che la manifestazione avesse luogo. La vocazione elettoralistica di questi settori ha evidentemente avuto la meglio sulle aspirazioni di cambiamento reale che la piazza ha espresso durante il corteo di Sabato.
Non stupisce, a questo punto, come siano state tirate fuori (in un’ottica bipartisan lungo l’asse Di Pietro/ Maroni) proposte di rilancio della legge Reale, provvedimento che fu creato ad hoc a metà degli anni settanta per distruggere il movimento, che implicava arresti preventivi e fermi cautelari, a cui si dovrebbe aggiungere un Daspo per coloro che manifestano. Nuova ondata repressiva che ha già cominciato a farsi sentire quando all’alba di domenica, oltre agli arresti già avvenuti in piazza ed in tutto il territorio nazionale, sono partite perquisizioni. Perquisizioni avvenute a casaccio ed effettuate nell’isteria di dover, ad ogni costo, dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole per legittimare il proprio operato repressivo.
L’operato repressivo del ministero dell’interno che, sul piano locale, non ha sortito l’effetto sperato e che anzi ha visto riunirsi tutte le componenti del movimento, oltre a sindacati di base, parti dei confederali e molti soggetti appartenenti a diverse realtà cittadine, in un’assemblea che oltre ad aver espresso solidarietà, ha soprattutto voluto impegnarsi su una riflessione comune sulla giornata del 15 ottobre. Riflessione che, partendo da analisi diverse sulla giornata del 15, ha saputo bandire ogni logica di criminalizzazione delle forme di dissenso e delle pratiche espresse dalla piazza romana. L’assemblea ha congiuntamente criticato il tentativo, promosso dagli organizzatori del corteo del 15 ottobre, di trasformare una grande giornata di lotta nella solita sfilata, vetrina per quanti si stanno già preparando alla campagna elettorale. Altro punto condiviso da tutti in assemblea è stato, questa volta sì, la messa in valore della capacità mostrata dalla piazza di resistere agli attacchi efferati della polizia. L’assemblea palermitana è riuscita, con grande maturità politica, a scrivere un narrazione della giornata del 15 altra rispetto a quella che la stampa di regime (sia di destra che di “sinistra”) sta proponendo in questi giorni in tutti i canali comunicativi. Una narrazione che parte dal movimento e che ha visto (e continua a vedere) nella giornata del 15, un salto in avanti, una tappa, importante, ma iniziale, di un autunno ancora tutto da costruire.