Parma, processo per il Mario Lupo
Siamo stati assolti e non ci sentiamo in pace. Qual’era la nostra accusa? Avere animato e difeso lo spazio sociale dedicato a Mario Lupo. Cominciamo da qui.
Mario era un ragazzo immigrato dalla Sicilia, che a Parma faceva il piastrellista. Un immigrato che pensava anche di avere il diritto di vivere una vita migliore, in una società diversa. Un comunista, un “extraparlamentare” di Lotta Continua. Per tutti questi motivi un gruppo di fascisti organizzati l’ha ucciso, non aveva ancora vent’anni. Il solito giornale degli industriali parlò di liti fra bande. Ma anche a Parma qualcuno si è accorto allora che i giovani del “movimento” stavano lottando da soli e in prima fila contro qualcosa di più serio di una banda di picchiatori fascisti. I fascisti avevano denaro, santi in paradiso e ogni mezzo necessario, il coltello, le bombe. Lavoravano, come sempre, al servizio dell’ordine costituito, cioè l’ordine in base al quale uno come Mario Lupo doveva stare zitto e subalterno. E invece non ci stava. Oltre alla colpa di coltivare questa memoria scomoda, lo Spazio sociale aveva colpe più attuali agli occhi della manica di galantuomini che governava la città col vento in poppa e tanta complicità da parte di ogni sorta di opportunisti. Un ceto politico tutto intento ad ingrassare se stesso e la borghesia parassitaria che l’aveva preso a servizio.
Lo Spazio Sociale Mario Lupo è stato sgomberato non perchè fosse inagibile o abusivo, ma perchè si è opposto con campagne politiche all’intreccio (oggi ancor più palese) fra amministrazione e interessi delle lobbies economiche finalizzato ad alimentare con risorse pubbliche la speculazione privata. C’è bisogno di esempi? Parliamo di cose attuali, che ancora proseguono e proiettano effetti nel futuro. La così detta “riqualificazione”, la “città-cantiere”, la metro, la svendita del patrimonio, l’Ospedale vecchio, i POC ad personam, il disinvestimento dai servizi pubblici che fa prosperare le “imprese sociali” in un “mercato” fittizio e privo di rischi, la paranoia della “sicurezza” usata come strumento di distrazione di massa e di propaganda ideologica a sostegno di una gestione autoritaria e repressiva non della criminalità ma delle contraddizioni sociali.
Alcuni dei protagonisti del “caso Bonsu” sono comparsi in aula, come testimoni dell’accusa a nostro carico. Qualcuno forse ricorda che nel 2005 il Mario Lupo denunciava, con tanto di dettagli, la militarizzazione del corpo dei vigili urbani che in quel momento l’amministrazione Ubaldi affidava all’addestramento di un poliziotto; la prima azione della nuova squadra di super-vigili fu lo sgombero violento della ex-cartiera di via degli Argini, dove trovavano riparo molti rifugiati senza casa, che furono cacciati a dormire sotto la neve. Grazie al coraggio di un ragazzo di nome Emmanuel il problema della vigliacca violenza di quel commando è finito sotto i riflettori.
Ma chi paga per gli ignobili esiti di quelle scelte? Non a caso, solo la manovalanza che serviva ad applicare una precisa linea politica dell’amministrazione. E abbiamo pagato anche il film di Salemme. Chi avesse ancora qualche dubbio sui veri motivi che spinsero l’amministrazione a togliere di mezzo il Mario Lupo, portebbe chiedersi:
1. se davvero lo stabile era occupato abusivamente, perchè non fu richiesto uno sgombero per questo motivo ma si fece ricorso ad una ordinanza del Sindaco motivata da una presunta e non dimostrata inagibilità dell’edificio;
2. se davvero quello spazio era l’unico in grado di ospitare le attività del Comitato anziani di Parma centro, perchè da quando è stato inaugurato (in pompa magna) rimane aperto mediamente soltanto 10 ore alla settimana (in altre parole: è quasi sempre chiuso).
Quel giorno l’allora presidente della Circoscrizione Mora, espose un tricolore festoso sull’edificio sottratto ai “rossi”, che esibiva come trofeo. Col suo passato e presente di neofascista, deve aver provato soddisfazione, almeno quanta ne ha avuta anni dopo nell’inaugurare una lapide ai repubblichini di Salò insieme a vecchi e giovani camerati, ormai “sdoganati” e liberi di servire ancora l’ordine costituito.
Qui tutto cambia e niente cambia. Non andiamo in pace e non abbiamo imparato la lezione del silenzio.
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