Pestaggio a Firenze
La zona era popolata in quel momento, ma nessuno è intervenuto in alcun modo. In seguito al mio definirli “fascisti di merda”, mi hanno controbattuto: “fascisti sì e la merda sei tu” ed hanno continuato a picchiarmi. Ho cercato di difendermi creando uno spazio fra me e loro con il mio ombrello tascabile, che è stato da loro rotto malamente.
Cercando di svincolarmi, ho attraversato la strada, mentre loro continuavano a colpirmi, per recarmi in un punto più illuminato e popolato e mi sono rifugiata nel dehors del ristorante di fronte. Lì mi sono ritrovata un uomo davanti, sui circa 60/70 anni, che era fra me e la banda, che mi ha detto: “che cazzo c’hai contro i fascisti?”.
A quel punto ho iniziato a dirigermi verso casa, molto vicina a lì, quando dopo pochi minuti mi son sentita prendere per un polso, era un carabiniere che mi ha subito detto: “tu stasera finisci in galera”. I carabinieri, chiamati dagli aggressori presumibilmente per la targa, hanno preso solo me e portata con la volante in caserma. Nel tragitto, avvertendo dei forti dolori, ho più volte chiesto di avere dell’acqua e detto che stavo male perché mi avevano picchiata in banda. I carabinieri si sono un attimo fermati, uscendo entrambi dalla macchina per prendermi dell’acqua in un bar per la strada, quando me l’hanno data avevo difficoltà a bere e reggere il bicchiere per via dei dolori e dello shock, si sono spazientiti e mi hanno portato via l’acqua e chiuso di forza la portiera, ripartendo poi per la caserma.
Arrivati mi hanno messa a sedere su una sedia e mi hanno preso i documenti, per il resto non mi hanno fatto né testimoniare né mi hanno fatto domande sui fatti, non sono stata informata sui i miei diritti e su cosa avrei potuto fare per tutelarmi, né mi hanno informata di cosa stavano facendo loro a mio discapito. Allo stesso tempo non mi hanno soccorso nonostante i vari momenti di mancamento che mi colpivano, a causa delle mie gravi condizioni fisiche.
Del gruppo di aggressori sono arrivate con mezzo proprio solo 3 donne e un ragazzo, gli altri uomini del gruppo non essendo presenti, non sono stati né nominati né identificati, né comparsi come partecipi al pestaggio. Una delle 3 passando mi ha detto: “E ora ti stai più fermina”. Dalla stanza dove le donne parlavano con i carabinieri, ho potuto sentire che uno di loro aveva giocato a calcio con il fratello di una delle 3; inoltre un carabiniere ha fatto loro una pacata paternale riguardo all’errato parcheggio che avevano fatto con il suv. L’unica cosa su cui contavo era poter utilizzare il mio ombrello fracassato dagli aggressori, come testimonianza dell’efferato pestaggio che mi avevano arrecato, ma lo stesso oggetto in realtà mi è stato sequestrato dai carabinieri e da loro indicato falsamente come lo strumento che avevo utilizzato nel danno alla targa del veicolo che mi è stato attribuito. Dopo l’ennesimo svenimento e dopo aver ripetutamente chiesto dell’acqua, continuavo ad essere deliberatamente ignorata, finché non ho detto al carabiniere: “Potrei essere tua madre”, a quel punto ho avuto l’acqua.
Come ultimo atto sono arrivati gli operatori dell’ambulanza, dove mi hanno fatto salire per portarmi in ospedale. Nel trasporto mi è stato dato ossigeno ed è stato constatato il mio stato di shock, gli operatori mi hanno chiesto se fossi “borderline” e se fossi seguito da uno psicologo. Ho detto subito che ero stata picchiata da una banda di persone.
Sono uscita con una prognosi di 30 giorni, con una frattura alla costola e ponte dentario rotto. Due giorni dopo sono tornata in ospedale poiché avvertivo forti dolori e mi hanno rilevato una frattura anche alla costola destra.
La testimonianza di Anna a Radio Onda Rossa:
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