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Procura e Questura di Torino a spasso nello spazio-tempo

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Riprendiamo dalla pagina facebook del Centro Sociale Askatasuna, buona lettura!

 

Puntata uno: scorreria in armi nelle campagne e nelle pubbliche vie

L’assoluta inconsistenza dell’inchiesta per associazione sovversiva nei nostri confronti è piuttosto evidente  a chiunque ne capisca qualcosa di giurisprudenza, dunque Questura e Procura hanno l’unica strada di provare a costruire una continua operazione di delegittimazione pubblica per influenzare l’esito del processo e l’opinione di chi legge le veline confezionate appositamente. Per produrre questo effetto, in assenza di materiale probatorio, è necessario costruire intorno alle nostre attività prima l’idea che siano totalmente strumentali ad una non meglio specificata violenza, poi trasformare via via l’immagine di chi lotta in quella di un “nemico pubblico” nei confronti del quale è urgente agire in chiave emergenziale, in qualche grado sospendendo e forzando anche elementi del diritto consolidato.

Questa strategia arriva a raggiungere risultati paradossali e stranianti, al limite del comico, perché per costruire il mostro bisogna raffigurarlo più spaventoso, più pericoloso di quanto sia in realtà. 

Tra le ultime novità più grottesche c’è stato il tentativo da parte della Procura, in sede di Riesame, di aggiungere all’accusa di associazione a delinquere l’aggravante di “scorreria in armi nelle campagne e nelle pubbliche vie”. Se il nome di questa aggravante ha un sapore tardo-ottocentesco è perché di fatto è una norma di quel periodo, come d’altronde l'”associazione di malfattori” origine giuridica della moderna associazione a delinquere.  L’articolo 416 c.p (l’associazione a delinquere appunto) è infatti un’eredità che il fascismo prese in prestito dal precedente Codice Zanardelli e che consacrò, ampliandolo, nel Codice Rocco del 1930 con l’obbiettivo di reprimere l’organizzazione delle voci contrarie al regime. Per quanto riguarda l’aggravante di “scorreria” si tratta di una delle legislazioni dello stato liberale costruita appositamente per reprimere il brigantaggio, il banditismo e più in generale il conflitto sociale, che si accompagnava a tutta un’altra serie di norme volte a colpire i cosiddetti reati politici tra cui persino le prime manifestazioni dei tentativi di organizzazione sindacale. 

Ovviamente fa ridere che la Procura si appoggi ad un’aggravante di questo genere per un processo che avviene nel 2022 nei confronti di militanti ed attivisti di un centro sociale: produce appunto quell’effetto straniante di cui si parlava prima, ma serve ancora una volta per costruire un certo sensazionalismo intorno alla vicenda e d’altro canto ci permette alcune riflessioni.

La scorreria in armi nelle campagne e nelle pubbliche vie non è solo un espediente ma una vera e propria aggravante prevista per l’articolo 416 c.p che comporta un drastico aumento della pena: se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da 5 anni a 15 anni,  mentre parliamo di una pena che va dagli  1 a 5 anni per la semplice partecipazione ad un’associazione a delinquere. 

Un’aggravante questa, molto grave quindi che, oltre allo straniamento che porta, è indicativa della volontà da parte della procura di aumentare il peso delle richieste al massimo, nella speranza ovviamente che i giudici di primo grado ed eventualmente di appello ne riconoscano l’applicabilità. 

Che le procure italiane negli ultimi decenni abbiano resuscitato vecchie forme giurisprudenziali delle varie legislazioni emergenziali non è una novità: l’utilizzo di norme di origini fasciste come quelle del codice Rocco nei confronti del conflitto sociale è diventato sempre più comune. Ciò che fa pensare è che si arrivi a scavare addirittura nel diritto dello Stato Liberale nella fase antecedente alla prima guerra mondiale per colpirci. Se all’apparenza può sembrare banalmente una sparata, in realtà ci parla dei desiderata delle nostre classi dirigenti. Infatti è sempre più evidente una sorta di nostalgia verso quel periodo storico in cui il suffragio era per ceto e la giurisprudenza rispondeva con più certezza alle esigenze dei ricchi e potenti. 

Parlano i fatti: negli ultimi anni abbiamo visto una sempre minore tendenza ad indagare su episodi che coinvolgessero politici e imprenditori, mentre l’attenzione nei confronti del conflitto sociale è aumentata senza precedenti, sebbene questo sia diminuito come portata rispetto a solo qualche anno fa. D’altronde l’incistamento della politica nella magistratura si è reso sempre più evidente a partire dal caso Palamara.

Peccato che già a inizio novecento, persino negli ambienti liberali, ci si interrogasse con un certo timore sugli effetti che le leggi emergenziali di questo genere avrebbero potuto avere sul diritto e sulla società. D’altronde le ridondanze tra il periodo antecedente alla prima guerra mondiale ed il presente non si limitano a questi aspetti, ma non si tratta di analizzarli qui.

In secondo luogo è evidente l’opera di revisionismo storico che maldestramente portano avanti Questura e Procura. Infatti ormai è universalmente riconosciuto dagli storici che la legislazione anti-brigantaggio ha avuto effetti devastanti per la società del tempo e ha lasciato ferite insanabili che riemergono tutt’ora nella storia del paese. Ma per chi sta portando avanti la persecuzione nei nostri confronti la storia non ha alcun valore, è solo un’accozzaglia di immagini da cui trarre quelle più congeniali allo scopo di presentarci come un pericolo. L’ignoranza rispetto alla storia del conflitto sociale in questo paese è evidente a partire dai vari paragoni che vengono fatti con gli anni ’70, tutti puramente strumentali, ma anche nel tentativo di resuscitare dal cassetto del passato legislazioni speciali per fare del nostro caso un esempio per chiunque porti avanti una critica alla società in cui viviamo.

Per sostenere queste accuse bisogna frugare un po’ a casaccio nello spazio e nel tempo, tirando fuori briganti, brigatisti, guerriglieri curdi (su cui torneremo nel prossimo capitolo) e tutto ciò che può generare timore o può sembrare esotico o ostile. 

Ecco dunque che per sostenere l’accusa di “scorreria in armi” servono ovviamente delle armi, e siccome non ve ne sono bisogna scavare tra migliaia di pagine di intercettazioni per trovare qualche frase ad effetto che si adatti a questa evenienza. Spiegati così gli articoli di questi giorni in cui dire che un tipo “strano”, “tutto bardato” si presentava al campeggio prima delle iniziative con uno “sparapatate” diventa la pseudo-prova che i militanti di Askatasuna siano dotati di sparapatate (anche qui non c’è fine al ridicolo), come estrapolare una considerazione sulle proteste in Nicaragua da una conversazione più ampia diventa “nutrire interesse” per la fabbricazione delle bombe tubo, quando chiunque ci conosce si fa delle grasse risate.

Qui il precedente articolo.

 

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