Riflessioni di fine estate. Chi boicotta lo sciopero generale di ottobre?
Si va profilando una contrapposizione tra il 12 Ottobre e le giornate del 18\19 (sciopero generale e l’indomani manifestazione dei movimenti per il diritto all’abitare e in difesa dei beni comuni); l’obiettivo è quello da una parte di ridefinire una alleanza politica “a sinistra” del Pd (con la benedizione della Fiom ) e dall’altra far passare sotto silenzio accordi vergognosi come quello sulla
rappresentanza sindacale del 31 Maggio (fortemente voluto anche dallaFiom), non contrapporsi alle politiche economiche e sociali del Governo (la opposizione è demandata a Cgil Cisl Uil… c’è da stare freschi!) con il risultato di depotenziare sciopero e altre iniziative conflittuali senza le quali non è possibile materialmente esercitare i nostri diritti all’istruzione, alla salute e all’abitare. Potremmo anche sostenere che la 3 giorni del sindacalismo di base e dei movimenti è nata senza coinvolgere la società civile, ma quest’ultima perchè lascia fuori dall’agenda politica e dallepriorità le questioni sociali e sindacali?
La manifestazione del 12 \10 ruota attorno a due parole d’ordine: uscire dal Marchionnismo e dalle larghe intese. Parole sicuramente condivisibili ma come raggiungere questi obiettivi? Sostituire alle larghe intese l’alleanza con trasnfughi del 5 Stelle e con Sel? E con quale politica economica e sociale per uscire dalla crisi? Prendiamo solo l’esempio dell’Ilva di Taranto: Vendola, governatore della Puglia, per anni si è barcamenato per evitare di assumere posizioni ben definite contro i Riva e contro i Governi che hanno nominato tecnici e ministri con qualche confitto di interesse di troppo, in lista Sel alle elezioni ritroviamo qualche sindacalista della Uil, il sindacato che più di altri ha stretto una mortale alleanza con la proprietà dell’industria). La prassi di Vendola è l’alternativa alle larghe intese, lui che rimarrebbe alleato con il Pd anche se a capo dello stesso ci fosse Renzi?
E come si fa a contestare il Marchionnismo quando si sottoscrive l’intesa del 31 maggio (le larghe intese non vanno bene in politica ma sono all’ordine del giorno nel sindacato con il risultato di regalare i lavoratori -avviliti e rassegnati- alla causa padronale)? Come si fa a discutere di fabbriche occupate e di nazionalizzazioni in altri paesi quando in Italia queste parole d’ordine sono fuori dall’agenda politica della stessa Fiom?
Cerchiamo, allora, di essere seri ma soprattutto realisti. La contrapposizione tra il 12 e il 18\19 è costruita ad arte anche da chi non menziona lo sciopero. Abbiamo assistito a due giorni di dibattito al Municipio dei beni comuni di Pisa nel corso dei quali mai è stata pronunciata la data del 18 e del 19 come se la riappropriazione dei beni comuni fosse una sorta di esercizio spirituale o un gioco di società tra intellettuali
In questo paese c’è chi ha la coscienza sporca e invoca la spauracchio degli scontri di piazza per abbandonare sul nascere ogni elemento conflittuale nella società e nei luoghi di lavoro dimenticando che il Governo dalle larghe intese i provvedimenti in materia di rappresentanza sindacale, blocco dei salari, depotenziamento della contrattazione li licenzia ogni giorno, pensando che l’alternativa al neoliberismo sia quella di rinchiudersi in piccoli ambiti, porzioni diterritori, centri sociali, Gas, distretti di economia sociale dove all’ombra del capitale crescono pratiche alternative ma non per questo conflittuali.
La manifestazione del 12 a Roma ha vari sponsors, non ultimi Manifesto, Micromega, Rc, Fiom, appunto quella Fiom che a Taranto è invischiata nello scandalo Ilva (anche se Il Manifesto evita di dire come stanno le cose) e che ha sostenuto l’infame accordo del 31 Maggio.
Si parla di difesa della Costituzione e attorno a questo concetto astratto (noi siamo per la difesa di un principio della Costituzione che parla di direzione a fini sociali della economia, un principio che è stato sempre calpestato soprattutto in anni di liberismo sfrenato. Noi siamo per l’art. 43 della Costituzione per applicare il quale nessuna forza politica in 50 anni di Repubblica ha mosso un dito.
Citiamolo integralmente questo articolo
Articolo 43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”
Allora perchè non costuire altri scenari dagli stereotipi che vedono la centralità della lotta a Berlusconi come se il conflitto di interessi e la inelleggibilità del cavaliere fossero gli argomenti
principali sui quali costruire un agire politico conflittuale? La manifestazione del 12 non va sottovalutata perché serve a riposizionare chi è uscito sconfitto dal Governo delle larghe intese e dalle ultime elezioni e sta provando a ricollocarsi.
Ma la centralità della Costituzione astratta (ormai depotenziata ) dimentica che in questi giorni stanno lanciando quelle fusioni tra Comuni che senza contestare il patto di stabilità negli enti locali
rappresentano un vero attacco alla costituzione e alle autonomie locali, la mobilitazione contro l’indecenza come l’ha definita Rodotà lascia fuori dall’agenda politica le questioni salienti come quelle dettate dalla crisi che sta falcidiando i posti di lavoro alimentando (sul modello greco) forme e pratiche di razzismo e di nazismo del nuovo secolo.
Se qualcuno dei pensatori di sinistra (ma anche qualche sindacalista…) avesse la umiltà di girare per le case popolari e i mercati capirebbe che la discesa in campo di nuove forme di xenofobia e razzismo rappresenta una delle possibili risposte popolari alla crisi. Del resto se qualche intellettuale andasse a rileggere gli scritti sul fascismo di Gramsci e Togliatti arriverebbe alle stesse deduzioni senza muoversi per altro dalla tranquillità domestica.
Il sindacalismo di base non dovrebbe contrapporsi al 12 ma sviluppare percorsi che rimettano al centro della agenda politica, sindacale e sociale le questioni dirimenti, senza dimenticare che il conflitto non si fa nelle sale universitarie ma nelle piazze e nei luoghi di lavoro. E da qui, oggi come ieri, che dobbiamo ripartire trasformando i soggetti sociali di riferimento in autentici protagonisti dell’agire politico e sociale.
Federico Giusti
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