
Il lavoratore inesistente
La retorica della destra sul movimento “Blocchiamo tutto” ci racconta meglio di ogni saggio la visione dominante sul ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici nella società: farsi sfruttare, consumare e stare muti.
Per anni la propaganda della destra ora al governo ha cercato di fare leva sull’oggettiva politica anti-proletaria portata avanti dai governi tecnici e politici di matrice liberale, spesso non eletti, che hanno governato il nostro paese. Meloni e Salvini, sulla scia del berlusconismo, hanno provato a rappresentarsi come i difensori del lavoro messo in pericolo – a loro dire – dalla competizione sui salari degli immigrati arrivati in Italia e dalle lotte degli ambientalisti che si oppongono alla devastazione ed alla speculazione. Salvini ha fatto della battaglia contro la “riforma Fornero” uno dei trampolini della sua fulminea ascesa e caduta come leader della destra.
E’ superfluo sulle pagine di questo sito riaffermare che le responsabilità di questo slittamento retorico sono da imputarsi in primo luogo alla sinistra istituzionale ed al sindacalismo confederale che in questi decenni hanno contribuito alla macelleria sociale, alla sudditanza ai grandi interessi finanziari ed industriali ed alla privatizzazione dei servizi, allo sperpero di denaro pubblico in grandi opere inutili sotto il segno dell’austerità e del neoliberismo.
Dal punto di vista delle politiche economiche questi anni di governo Meloni non hanno segnato alcuna cesura rispetto al passato. La povertà assoluta nel nostro paese è in costante aumento, i salari restano tra i più bassi d’Europa in rapporto all’inflazione, la produzione industriale continua a calare ed il paniere dei beni a cui hanno accesso le famiglie si restringe a causa dell’aumento dei prezzi. Il Ministro dell’Economia Giorgetti non perde occasione per sottolineare la necessità di politiche di austerità, ma nel frattempo si finanziano mega-progetti inutili e devastanti come il Ponte sullo Stretto e si prevedono enormi voci di spesa per il riarmo nell’ambito della NATO. Il governo ha cancellato il Reddito di Cittadinanza che garantiva un minimo di dignità a 1,3 milioni di nuclei familiari introducendo l’assegno di inclusione i cui beneficiari sono circa la metà. In poche parole nell’agenda di Meloni e co. non vi è alcun interesse per migliorare le condizioni di lavoratori e lavoratrici, ma solo di continuare a favorire i soliti circuiti del profitto. Non parliamo della vertiginosa crescita dei morti sul lavoro a cui ormai viene dedicato qualche trafiletto nelle pagine interne dei giornali.
L’insofferenza verso le politiche economiche di questo governo si è iniziata a manifestare nelle mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici del settore metalmeccanico per il rinnovo del contratto nazionale. Per quanto queste non abbiano assunto un carattere particolarmente conflittuale e non siano uscite dalle stanche forme della contrattazione sindacale si sono diffuse su tutto il territorio nazionale, con particolare partecipazione nei distretti industriali del Piemonte, di alcune parti della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Queste mobilitazioni si sono subissate sostanzialmente dopo che i referendum sul Jobs Act si sono schiantati contro un muro tutt’altro che imprevedibile. E’ di pochi giorni fa la notizia che la trattativa tra Federmeccanica ed i sindacati si sta riaprendo: sarà un effetto “collaterale” dei due scioperi generali per la Palestina? Chissà, ma sicuramente oggi dopo queste settimane di mobilitazione chiunque può registrare l’oggettivo cambiamento dei rapporti di forza, più che altro in termini potenziali.
Il movimento “Blocchiamo tutto” è stato attaccato frontalmente dai partiti di governo e dal suo seguito di troll che hanno cercato di rappresentarlo come un coacervo di fannulloni impegnati a battersi per una causa lontana, facendo casino in giro ed impedendo ai “veri” lavoratori di timbrare il cartellino. Alcuni si sono spinti ad affermare che ci sarebbero tante buone cause su cui battersi in Italia, dai salari alle pensioni, salvo che in questo momento al governo ci sono proprio gli stessi che fanno queste dichiarazioni. Al di là della tristezza che si può provare per questa propaganda misera che serve solo ad occultare la complicità delle nostre istituzioni nel genocidio ciò che emerge in controluce è la visione dei lavoratori e delle lavoratrici che pervade la destra.
Per la destra i lavoratori e le lavoratrici sono “inesistenti” se non come agenti della produzione capitalista. Sono privi di una soggettività propria: non possono e non devono avere opinioni, pensare, incazzarsi e magari scendere in strada. Gli unici “diritti” che hanno sono quelli a farsi sfruttare e a consumare ciò che il misero stipendio gli permette ancora. Nel momento stesso in cui i lavoratori e le lavoratrici escono da questo copione, mostrano che la solidarietà tra gli oppressi è ancora un’orizzonte strategico importante, smettono di esistere come “lavoratori” e diventano nullafacenti. Ecco che qui si manifesta una delle più grandi mistificazioni capitaliste: i lavoratori e le lavoratrici sono rappresentati solo come dei fattori economici che contribuiscono al processo produttivo.
Anni di aziendalizzazione, di discorsi motivazionali, di finta meritocrazia hanno agito come un profondo meccanismo disciplinante tutto inteso a favorire la pacificazione del mondo del lavoro. Questa pacificazione sta iniziando ad incrinarsi man mano che questo dispositivo si dimostra per ciò che è, una cortina di fumo per nascondere i rapporti di sfruttamento. Il movimento “Blocchiamo tutto” ha contribuito a dissipare questa cortina rimettendo in campo la questione dei rapporti di forza e mostrando che praticamente, materialmente esistono interessi contrapposti nella società che si muovono lungo le linee del profitto. Il governo ed una parte dei media mainstream vogliono ad ogni costo rimettere il genio nella lampada, impedire che questa presa di coscienza si ampli e generalizzi. A malincuore prendono atto che sulle autostrade bloccate, sui treni fermi tanti e tante che non hanno potuto scioperare esprimono la propria solidarietà ai manifestanti. Non riescono a credere che il dispositivo di disciplinamento costruito in decenni di concertazione al ribasso si stia incrinando per una mobilitazione pienamente “politica”.
Nei giorni precedenti agli scioperi è successo a molti e molte impegnati/e nel movimento contro il genocidio di essere interpellati da colleghi e colleghe che non avevano mai scioperato prima sulle modalità per partecipare. Un po’ come il cavaliere di Italo Calvino il simulacro del “lavoratore inesistente” sta svanendo nell’aria ed i lavoratori, le lavoratrici, con la loro corporeità, il loro pensiero, la loro visione, la loro soggettività stanno riprendendo presenza nella società in forme diverse dal passato.
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