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Riflessioni su Roma, 15 ottobre 2011

Sono trascorsi alcuni giorni dalla manifestazione di sabato 15 ottobre a Roma, giorni lunghi  in cui abbiamo letto e sentito un po’ di tutto, dai deliri neofascisti di Di Pietro* e Maroni fino a quelli, più preoccupanti, di alcune frange di Indignados.

La casta politica che nega l’autorizzazione a procedere contro i propri membri in odor di mafia, che siede in parlamento con personaggi come Dell’Utri, la stessa casta che ci ha portato sull’orlo del baratro, la medesima che ha creato le condizioni per cui il 28% dei giovani italiani è disoccupato (fonte Ocse), si è affrettata a criminalizzare il corteo, invocando la forca per i violenti in un clima da santa inquisizione, in cui la delazione del vicino di casa è condizione sufficiente per meritarsi la gogna.

Ovviamente, non è mancata la zelante complicità di mass media (quasi) completamente asserviti e incapaci di produrre inchieste, analisi, senso critico.

Noi a questo gioco non ci prestiamo, non ci stiamo, la logica dei buoni e cattivi non ci piace; il movimento di Roma ha bisogno di dialogo, di affrontare alcuni nodi da tempo insoluti, ha bisogno  di un dibattito aperto e vivace sul 15 ottobre e soprattutto sulle lotte future, perché in questo contesto di lotte future inevitabilmente ce ne saranno parecchie.

Non ha bisogno di spaccature e non ne vediamo le ragioni.

Non stiamo dicendo che ci è piaciuto o che condividiamo tutto quello che abbiamo visto a Roma sabato scorso. Ma certamente non saremo noi a denunciare chi era dentro al corteo al nostro fianco.

Se il garantismo vale per quella combriccola di incapaci e corrotti che ci governa, non vediamo perché non dovrebbe essere lo stesso per un’esplosione collettiva di rabbia.

Perché di questo si è trattato, e compito della politica sarebbe porsi degli interrogativi e fornire delle risposte.

L’esplosione di rabbia non solo di una generazione, perché sono ormai due-tre le generazioni che in questo paese hanno faticato, faticano e faticheranno a ritagliarsi un posto. E, infatti, in corteo c’erano anche tanti 40enni.

Se nella prima parte della manifestazione i danni alle auto e alle vetrine possono essere stata la discutibile opera di poche centinaia di persone, le immagini di piazza San Giovanni mostrano migliaia di persone reagire ai caroselli dei blindati che provavano a investire i manifestanti per cacciarli dalla piazza.

Non c’erano i marziani per le strade di Roma, ma c’erano studenti, lavoratori, insegnanti, precari, metalmeccanici, ricercatori, disoccupati.

Tutti determinati a restarci, in quella piazza, dove i soliti noti avrebbero voluto tenere i loro comizi.

Allo stesso modo, non c’era una regia, non c’era una direzione politica precisa; mancavano, purtroppo, degli obiettivi non estemporanei.

Questa è una mancanza che scontiamo e di cui paghiamo il prezzo. Ai movimenti, alle organizzazioni della sinistra incompatibile, spetta il compito di riuscire a intercettare, gestire e incanalare quella rabbia verso obiettivi politici, verso la costruzione di un’alternativa reale e concreta al dominio delle banche e della finanza.

Un compito non facile per il quale, al momento, nessuno è pronto.

In questi giorni tornano inevitabilmente alla mente le giornate di Genova 2001, ed è piuttosto evidente come il meccanismo di criminalizzazione di quel movimento somigli molto a quello in atto verso questo movimento. Oggi, dieci anni dopo, sono in tanti a dire che a Genova 2001 avevamo visto giusto.

Quindi, prima di compiere quello stesso errore, vogliamo dire agli Indignados che hanno riempito le vie di Roma e non hanno condiviso quanto è successo, di mantenere calma e lucidità di analisi prima di scagliarsi contro una parte del movimento per una decina di auto in fiamme e qualche vetrina rotta. Abbiamo pagato centinaia di miliardi di euro per salvare le banche, paghiamo ogni giorno per la distruzione dello stato sociale, pagheremo anche il milione di danni di Roma.

A voi la scelta su quale sarebbe il male minore.

A coloro che hanno inneggiato alla “rivoluzione araba”, dimenticando accidentalmente del sangue con cui è stata pagata, ed ora sono pronti ad immolare i fatti di Roma sull’altare del giustizialismo, rispondiamo: noi abbiamo il coraggio di assumerci le nostre responsabilità, criticando certe cose ed apprezzandone altre. Ma non faremo un passo indietro.

Da www.insurgentcity.org

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