Smascherare Torino: chi comanda, all’insaputa dei torinesi
«I guai, per il sindaco di Torino, cominceranno quando i torinesi si accorgeranno di quello che sta per succedere: pensano che la Torino-Lione sia un problema della valle di Susa, mentre l’impatto della grande opera – tra rumore, polveri, disagi, rischi per la salute, crollo del valore degli immobili – assumerà proporzioni enormi quando i cantieri dovessero lambire la città, le sue periferie e la sua cintura». Marina Clerico, docente del Politecnico torinese nonché assessore della Comunità Montana valsusina, spiega che la grande opera non è ancora stata percepita come pericolo grave dalla popolazione di Torino, grazie ai media così spesso reticenti. Con qualche eccezione, naturalmente: «Secondo un ingegnere della Regione Piemonte – dice Luca Rastello, che ha firmato un recente reportage su “Repubblica” – il tracciato Tav alle porte di Torino taglierebbe irrimediabilmente la falda idropotabile che alimenta i rubinetti della metropoli: una pazzia catastrofica, di cui a Torino per ora nessuno parla».
Torino, infatti, sembra immersa in un lungo sonno dal quale un giorno potrebbe svegliarsi amaramente. Prime avvisaglie: il diluvio di fischi che ha sommerso Piero Fassino il Primo Maggio, sindaco in fascia tricolore scortato dalla polizia antisommossa nel giorno della festa del lavoro. Stessa accoglienza ostile, pochi giorni dopo, nello stadio della Juventus per la festa-scudetto. Emblematico il gesto di Franco Battiato, impegnato in un concerto gratuito in piazza San Carlo: a fine serata, l’artista ha salutato il pubblico sventolando la bandiera No-Tav e mandando la folla in visibilio. Segnali eloquenti: cresce l’insofferenza popolare nei confronti di una “casta” dimessa, che non ostenta il potere ma lo esercita con mano ferrea, ben al di sopra del consenso democratico. E allora: chi comanda Torino? E’ la domanda che si pone Maurizio Pagliassotti, nell’ultimo libro-inchiesta scritto per “Castelvecchi”. Risposta: a “comandare” Torino è un regime blindato, fatto di politici, industriali, palazzinari e soprattutto banchieri, che decidono tutto nel chiuso di poche segrete stanze. «Con una sola differenza rispetto al passato: chi ha comandato (e comanda) Torino oggi sta comandando anche l’Italia».
Torino, denuncia il libro di Pagliassotti, è la città più indebitata d’Italia, messa sul lastrico da grandi opere e grandi eventi, come le Olimpiadi Invernali del 2006, volute all’epoca di Gianni Agnelli per mascherare la crisi epocale apertasi col declino inarrestabile della Fiat. «Torino – dice l’autore – è anche una metropoli anomala, la cui programmazione economica è decisa a tavolino dagli istituti di credito». Incredibile ma vero: il Comune è primo azionista della Compagnia di San Paolo, la potente fondazione bancaria dell’istituto di credito, e – al tempo stesso – proprio Intesa Sanpaolo è il maggior creditore del Comune stesso. Chi comanda Torino è dunque «un grumo di potere stabile da circa vent’anni: un nucleo ristretto di uomini, e qualche donna, che sta tentando di inventare una metropoli moderna che possa vivere senza la Fiat, con solo due risorse a disposizione: il debito e il territorio da edificare». Con la crisi economica, il meccanismo si è inceppato, mostrando fragilità e pericoli: esauriti gli applausi, si apre dunque l’era dei fischi.
«Chi ha deciso e decide le sorti di Torino?», si domanda Pagliassotti. «Dove sono i veri centri del potere?». L’autore parla di «un corpuscolo molto, troppo influente, che si confonde tra i Palazzi della politica piemontese, tenendo in pugno i rappresentanti del popolo»: quelli che oggi, appunto, cominciano a registrare le prime forti proteste. L’avvocato Fabio Balocco, blogger del “Fatto Quotidiano”, è un fiero detrattore dello strano “regime” subalpino. Balocco ricorda che Torino è la città più inquinata d’Italia: 800 morti all’anno, solo per le polveri sottili. Mistero italiano, il sindaco Sergio Chiamparino celebrato come saggio amministratore: sua l’idea di creare parcheggi (sotterranei) in centro, anziché nelle periferie: «Più parcheggi in centro, più auto in centro». Il piano regolatore torinese, aggiunge Balocco, fu varato nel 1995: da allora ha subito circa 200 varianti, «il che significa che il piano è diventato poco più che carta straccia».
Cemento su cemento, senza aree verdi: migliaia di nuovi alloggi, anche se nella primavera 2011 le abitazioni sfitte erano quasi 150.000, e già allora Torino vantava un altro record poco inviabile, quello della più alta percentuale in Italia di espropriazioni immobiliari. Con le Olimpiadi, Torino è diventata la sesta meta turistica italiana: niente, in confronto alla massa spaventosa del debito accumulato, tra ingombranti edifici inutili come il Pala-Isozaki o le strutture sportive alpine, dal trampolino di Pragelato alla pista di bob di Cesana, in perdita secca perché inutilizzate. Già col sindaco Valentino Castellani, Torino è stata il paradiso di archi-star come Massimiliano Fuksas, che ha ridisegnato Porta Palazzo, e Renzo Piano, progettista del maxi-grattacielo del San Paolo; anche la Regione vuole il suo, sull’area dell’Alenia Aeronautica. Per non farsi mancare niente, c’è anche il cantiere del nuovo inceneritore, «quasi che l’inquinamento non fosse già sufficiente», e non importa se ne fa a meno una città come Novara, che ha «una raccolta differenziata più che doppia rispetto a Torino».
Tutto merito del clan Chiamparino, che mentre tifava per Marchionne contro gli operai e intanto si spendeva per la Torino-Lione (senza mai svelare ai torinesi il disastroso impatto dell’ecomostro alle porte della città), plaudeva apertamente al decreto Ronchi per la privatizzazione dell’acqua pubblica: «Chi è contrario alla privatizzazione dell’acqua parte da un pregiudizio ideologico», diceva il sindaco di Torino, prima che il decreto Ronchi venisse spazzato via, a furor di popolo, dalla maggioranza assoluta degli italiani. Oggi, continua Balocco, per far fronte al “patto di stabilità”, il Comune di Torino «si venderebbe anche le mutande, se potesse». Fa costruire dappertutto, per introitare gli oneri di urbanizzazione. «Ma non basta: vende allora i servizi pubblici». E forse non basta neanche quello: così Fassino «esternalizza gli asili: e questo sarebbe un Comune di sinistra?».
Intanto, a Torino l’industria manifatturiera scompare, il polo tecnologico è di là da venire, e si punta sul turismo, neanche se il capoluogo piemontese fosse Portofino. «Cos’è Torino oggi? Difficile dirlo. Una città senza passato (ne mancano perfino le vestigia, seppellite da brutti condomini ed ipermercati), senza un presente definito, forse senza neanche un futuro». Ma niente paura: nel Quadrilatero Romano, nel quartiere San Salvario e ai Murazzi del Po, la movida impazza ogni notte, crisi permettendo. Fino a quando, appunto, non si sveglieranno persino loro, i torinesi, di fronte all’amara scoperta: a comandarli sono i boss delle banche, veri padroni di quel che resta di una polverosa casta politica che, per sembrare ancora viva, si inventa la crociata contro i No-Tav. Raccontando, naturalmente, che la Torino-Lione è un problema remoto, lontanissimo dalla città: una terribile rogna, riservata ai soli “montanari” valsusini.
da Libreidee
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