Quando il conflitto si fa arte: la storia di Aladin
Lui si chiama Aladin e viene dallo Yemen.
No, non c stiamo riferendo alla celebre fiaba delle “Mille e una notte”, anche perchè, a ben vedere, più che il protagonista, per il suo estro, lui ricorda più il genio della lampada. Infatti, Aladin Hussan Al-Baraduni, questo il suo nome completo, è uno street artist che vive a Roma da diverso tempo e sui muri della capitale, dei suoi centri sociali e delle sue occupazioni si è fatto conoscere da una platea sempre più vasta grazie alle sue opere che racchiudono esperienze personali, impegno sociale, militanza e denuncia di una società basata sempre più sulle iniquità e di una metropoli opprimente da tutti i punti di vista. Ci incontriamo alla Biblioteca Abusiva Metropolitana, alle porte di Centocelle, uno spazio liberato, una libreria non convenzionale in cui la cultura libera sembra quasi tuffarsi dagli scaffali dei libri per investire visitatori e che fa cornice ad un’esaustiva chiacchierata.
BdT:”Come hai iniziato?”
A: “Ho iniziato a fare lo street-artist facendo i murales per la strada; facevo il cantastorie, raccontando il conflitto sociale in città, nei territori, segnalando un posto vuoto, disegnando un palestinese che scaglia una pietra. In Yemen facevo quadri, dipingevo ad olio messaggi politici, come, ad esempio degli spazzini che pulivano le strade di notte, o i senzatetto che dormivano sotto le stelle. A Roma disegnavo artisti e musicisti di strada. Tutto proviene dalla strada, da quello che sento. Negli ultimi anni, ho avuto l’esigenza di disegnare murales e non quadri; sai, sono contro le gallerie, l’ultima volta ho <<rosicato>> al gallerista perchè voleva fare pagare il biglietto. Invece il murales è alla portata di tutti, la denuncia arriva prima: uno con la maschera antigas è una denuncia alla metropoli per l’inquinamento, ma è anche una legittimazione allo spingersi oltre durante le manifestazioni”.
BdT: “Quando sei arrivato in Italia? Com’è stato l’impatto col nostro paese e coi suoi movimenti di lotta?”
A: “Sono arrivato sette anni fa. Nei primi cinque sono stato clandestino, perchè in Yemen sono stato condannato a morte per ateismo ed avevo una taglia sulla mia testa di ben 50.000 $, inoltre l’autorità spirituale yemenita, durante le sue prediche del venerdì esortava i fedeli ad uccidermi; anche sui muri c’erano scritte dello stesso tenore. Questo perchè ero conosciuto: nel 2004, il dittatore dello Yemen Alì Abdullah Saleh, mi consegnò un premio da 5.000$ ed un’onorificenza per cercare di blandirmi; io accettai il premio , ma strappai l’onorificenza, e dopo scrissi una lettera ion cui motivavo ciò, spiegando che non potevano pensare di poter controllare la mia produzione artistica.
Arrivato in Italia, mi sono identificato con le istanze del movimento di lotta per la casa, un soggetto politico che in Yemen non esiste. Lì, infatti ci sono baraccopoli occupate per lo più da nomadi che di tanto in tanto vengono sgomberate. Ho conosciuto i centri sociali ed ho cominciato a frequentarli, ciò ha aiutato la mia crescita politica ed anche il mio italiano. E’ l’Italia che ha reso la mia arte militante, mentre prima era una sorta di denuncia leggera. Per me una pennellata ed un sasso hanno lo stesso valore: se credo nel conflitto ho il bisogno di rappresentarlo. In questo periodo storico importantissimo l’arte deve dare e dire la sua, deve agire ed essere complice lontano dai mercati e dalle gallerie. Tanti compagni artisti dovrebbero capirlo, altri lo sanno, ma fanno finta di niente.”
BdT: “Quali sono le principali differenza tra la street-art italiana e quella yemenita?”
A: “In Yemen non esiste la street-art anche se ultimamente sta venendo fuori qualcosa di piccolo ed autorizzato dalle istituzioni; si rappresentano prevalentemente scene di vita quotidiana. Siamo ancora lontani dalla street-art comunemente intesa fatta di stencil ed illegalità; tuttavia giudico positivamente questo progetto: i ragazzi hanno fatto un bel lavoro riuscendo a fare anche denunce importanti. E’ già un inizio, vediamo come si evolverà!”.
BdT: “Cosa ti spinge a scegliere quei determinati soggetti nelle tue opere?”
A: ” Sono due fattori differenti: il primo è la denuncia e riguarda i disegni con la maschera antigas: si tratta di denuncia del dissesto ambientale o dello sfruttamento delle metropoli; il secondo è l’entusiasmo che mi viene fuori dopo le manifestazioni più calde, quelle, come ad esempio il 31 ottobre, in cui mi piace rappresentare un forte conflitto, un momento di rabbia vera che scatena l’azione e viene rivendicata da tutti; è proprio per questo senso di complicità condivisa che rappresento sui muri certe scene, per mostrare che le cose si possono cambiare tutti insieme dalla TAV al Piano Casa ecc.”.
BdT: “Pensi che quello che faccia la street art come la tua sia una semplice estetizzazione del conflitto, oppure che possa attivamente inserirsi nel rapporto dialettico tra immaginario e conflitto alimentandoli vicendevolmente?”
A: “Quando rappresento un conflitto come un blindato in fiamme o una prigione che brucia (ovviamente senza nessuno dentro), lo reputo una cosa bella, ma io spero che traspaia un messaggio di incoraggiamento, perchè le persone rintraccino la ragione, il significato ed il messaggio che c’è dietro. Quando qualcuno che fa quelle cose, vede quei disegni e si entusiasma, oppure chi non le ha fatte prima da allora ha lo stimolo di emularli, mi sento soddisfatto e penso che il mio messaggio abbia raggiunto il suo obiettivo, altrimenti no.”
BdT: “Secondo te l’idea di rendere questo tipo di opere accessibili a tutti, alla collettività, può dare il via ad un fenomeno vero e proprio di avanguardia controculturale?”
A: “Secondo me è ancora presto per affermare o meno che si tratti di avanguardia, ma sicuramente p un qualcosa di controculturale che parte dal basso. E’ questa la nostra vera grande bellezza! Ci rappresenta perchè ci siamo tutti noi ed alimenta l’entusiasmo e la voglia di lottare nonostante arresti e denunce. Un murales, una poesia, una canzone, sono tutte cose che possono alimentare le nostre lotte. Ad esempio l’AQ 16 di Reggio Emilia, mi ha contattato senza conoscermi di persona, per dirmi che cercavano da due anni un artista che li rappresentasse e lo hanno trovato in me. Questo è il massimo riconoscimento per la mia arte e mi ha riempito di orgoglio. Se la collettività si ritiene rappresentata da questo tipo d’arte, questa potrà diventare avanguardia!”.
BdT: “Un punto molto dibattuto ultimamente, anche in modo polemico, è la differenza tra la street-art ed il writing, cosa ne pensi?”
A: “Credo che la differenza tra street-art e writing sia da ridefinire più tra arte militante e arte non militante. Io mi sento più vicino a tanti giovani writers, non mi reputo uno street-artist e neanche un artista; questo senza togliere niente a nessuno: puoi disegnare molotov, ma anche fiori se gli riconosci un messaggio sociale. Però questo non va bene quando i tempi e le regole sono dettate dai galleristi e dalle istituzioni: lì ti ritrovi in mezzo ad un meccanismo di mercato capitalistico e questo per me non va bene, non è concepibile!.
La street-art nasce per togliere l’arte dai salotti di nobili e borghesi per restituirla al popolo, se ti fai comandare dalle istituzioni e queste organizzano visite guidate e a pagamento per le tue opere, tradisci i principi originari. E’ da questo che nasce il sempre più frequente dissenso nei confronti della street-art non degli street-artist, perchè quest’arte deve continuare a restare dal basso per il basso “.
BdT: “Visto che oltre ad essere un artista, sei anche un militante, qual è il tuo giudizio sul particolare momento che sta vivendo il movimento in Italia?”
A: “Attualmente il movimento in Italia vive un duro attacco: dai 4 NO-TAV accusati di terrorismo, agli arresti subiti dal Movimento di lotta per la casa romano. Tuttavia quest’attacco repressivo non deve fare desistere il movimento, anzi bisogna rilanciare ed essere pronti ad occupare repentinamente dopo ogni sgombero. Non bastano le semplici barricate come risposta. La risposta del movimento negli ultimi anni è stata enorme e di grande unità, per questo ha spaventato questo sistema che non sapendo rispondere a quelle istanze, ha deciso di rispondere mediante la repressione. Un esempio lampante è il Piano Casa del Governo Renzi e del Ministro Lupi, soprattutto l’art.5. Un articolo infame!”.
BdT: ” In chiusura, che consigli ti senti di dare per i giovani che desiderano approcciarsi alla street-art?”
A: (fragorosa risata) ”Non sono il tipo a cui piace dare consigli, mi limiterò a dire che bisogna essere spontanei e militanti, allontanandosi dalla forma sbagliata di street-art che sta invadendo le città”.
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